Se gli italiani ritengono storicamente quello della casalinga un vero e proprio lavoro che contribuisce al buon andamento della vita familiare e quindi allo sviluppo dei singoli componenti, secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, la singolare sentenza della Cassazione n. 20508 del 30 settembre 2010 ne sminuisce in un sol colpo il diritto a ritenersi proprietaria della metà dell’immobile costruito sul terreno del marito nel corso del matrimonio, pur essendo in comunione dei beni.
Almeno è questo il principio sancito dalla Suprema Corte a seguito del rigetto di un ricorso da parte di una moglie che chiedeva il diritto alla metà dell’immobile fabbricato sul terreno del marito pur avendo contribuito al menage familiare ma non avendo dimostrato di avervi contribuito economicamente in via diretta.
Pur avendo sostenuto di essere in comunione dei beni ed avendo contribuito alla vita familiare con il suo lavoro in casa arrivando a definirlo quale “lavoro manageriale diretto alla cura dei figli”, le due corti di merito il Tribunale di Terni e poi la Corte d’Appello di Perugia avevano rigettato le sue richieste anche perché non aveva dimostrato una partecipazione economica alla fabbricazione dell’immobile la cui realizzazione era quindi da ritenersi regolata dai principi generali in materia di accessione.
Anche la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha rigettato le istanze della moglie motivando in questo modo la propria decisione: “la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno dei coniugi è di proprietà personale ed esclusiva di quest'ultimo in virtù dei principi generali in materia di accessione. L'altro coniuge, che pretenda di ripetere le somme spese, è onerato della prova d'aver conferito il proprio apporto economico per la realizzazione della costruzione attingendo a risorse patrimoniali personali o comuni; di contro il coniuge proprietario non è tenuto a dimostrare d'aver impiegato denaro personale né personalissimo”.