Lombardi nel Mondo – Italiani dimenticati di Luigi Rossi

In queste settimane Thilo Sarrazin lo trovi a ogni ora su ogni canale
televisivo o stazione radiofonica. Su ogni quotidiano. Ne parlano mentre
attendo il bus, persino al mercato e sulle scale mobili della stazione
ferroviaria. E il suo libro fa capolino in ogni vetrina. Bel lancio per
l'imminente Fiera del Libro di Francoforte. Ottimo assist per certa politica
populistica, pronta a creare un partito “conservatore” a destra della
CDU-CSU. L'opera è un perfetto autoritratto d'un burocrate “prussiano”
cresciuto a Recklinghausen (cuore del Bacino della Ruhr) tra i Gastarbeiter
degli anni Sessanta – Settanta del secolo scorso. Da qui il volo verso
l'Ente Federale per la privatizzazione delle imprese statali dell'ex DDR, i
consigli d'amministrazione delle Ferrovie tedesche e della Bundesbank.
Senatore a Berlino. Socialdemocratico. E ora autore d'un best seller (non
facile da digerire per nessun lettore) da decine di migliaia di copie (come
si racconta in giro).
Deutschland schafft sich ab, è il (brutto) titolo dell'opera sua (Edizioni
DVA, pagine 464, 22,99 euri). Traducibile con L'autodistruzione della
Germania. Non sempre (o quasi mai) un libro che obbliga i media a parlarne a
ogni ora è un buon libro. La fatica di Thilo Sarrazin non fa eccezione:
specchio di un autore che mai ha rinunciato a far parlare di sé. Niente di
meglio, di questi tempi, che rivolgersi alla comunità musulmana.
Criminalità, disoccupazione, disinteresse per ogni tipo d'integrazione,
renitenza per l'istruzione e l'apprendimento d'un mestiere. L'unica nota
positiva di questa operazione mediale – editoriale (e politica) è che si
parla e discute (anche) degli errori commessi dagli autoctoni a partire
dagli accordi bilaterali degli anni Cinquanta – Sessanta – Settanta del
secolo scorso, quando giunsero nella Repubblica Federale milioni di
Gastarbeiter (lavoratori ospiti). Dall'Italia. Spagna. Portogallo. Grecia.
Ex-Jugoslavia. Turchia. Ben presto molti si accorsero che i Gastarbeiter
erano “persone” con una loro cultura, tradizioni e lingua. E diritti.
Sull'onda delle discussioni aperte da Sarrazin (che non ci risparmia neppure
il solito “siamo stranieri nella nostra patria” e disquisisce del gene delle
minoranze), è apparso in questi giorni un articolo che riguarda anche la
comunità italiana. Il quotidiano WAZ (uno dei maggiori) ha pubblicato
l'intervento Gli Italiani dimenticati, a firma di Gregor Boldt. Sullo stesso
numero, in una pagina dedicata a un Forum con i lettori, compare una
bellissima lettera di un lettore di Essen, Ilhami Küplüce, in risposta alle
discussioni nate attorno alla fatica letteraria del socialdemocratico di
Recklinghausen e che presenta ai lettori tedeschi la sua “esperienza di
straniero”.
Gli Italiani dimenticati riporta osservazioni della docente universitaria
Ursula Boos-Nunning, dell'ex ministro per l'integrazione nel Nord Reno
Vestfalia, Armin Laschet, e della presidente del Comites di Dortmund,
Marilena Rossi. La signora Boos-Nunning afferma che gli italiani “passano
per integrati, in quanto nella società in cui vivono non creano problemi” (e
qui mi viene in mente il classico “italiani, brava gente”). È questo il
problema, aggiunge la professoressa. Poi conclude con una sua teoria,
alquanto bizzarra per una persona che ha dedicato decenni allo studio del
fenomeno, affermando: “resta un mistero la miseria dei risultati scolastici
dei bambini italiani. Forse non vengono aiutati nel loro curriculum
scolastico proprio per la loro cultura e modo di vivere: sono amati e non
vengono considerati difficili” (perciò sono i clienti più affezionati delle
scuole differenziali). Se, alcune decine di anni orsono, bastava aprire una
gelateria o pizzeria invece di proseguire negli studi, oggi ciò non basta
più. Se gli interventi della docente e dell'ex-ministro risentono (molto)
degli stereotipi tipici del docente e politico la cui educazione sociale si
svolse proprio negli anni del boom delle imprese italiane in Germania senza
minimamente accennare agli errori di quegli anni che chiudevano (anche i
“buoni” italiani) nei ghetti (che ancora oggi non sono scomparsi per la
nostra comunità), Marilena Rossi tocca il sistema scolastico tedesco, forse
il maggiore responsabile di questa “crisi di crescita di una società
multietnica”. Riferisce la presidente del Comites di Dortmund: “In Italia i
bambini rimangono per otto anni insieme. In Germania si seleziona troppo in
fretta”. Ricordo (e non commento) che la scelta delle superiori, in
Germania, avviene al termine della quarta classe elementare (in un sistema
scolastico antiquato e in piena crisi di personale, identità e contenuti).
Marilena Rossi, impegnata nella vita e attività di patronato, osserva che
“gli italiani immigrati di prima e forse anche seconda generazione, non
consideravano la Germania come patria. Desideravano, prima o poi, ritornare.
Di qui il decifit linguistico”. Di qui la necessità della doppia
cittadinanza e della partecipazione sociale e culturale che, in passato, si
limitava all'offerta di momenti folkloristici (che ai tedeschi piacevano
moltissimo). Marilena Rossi, bresciana d'origine, ricorda anche l'esempio
positivo della minoranza spagnola nella scuola e le sperimentazioni sociali
e didattiche nella provincia di Unna dove la quota degli italiani nei licei
è salita alla considerevole quota del 25 %. Un caso? O il frutto di impegno
sociale e culturale sia da parte italiana che tedesca? Senza dimenticare il
coraggio necessario per affrontare nuove e scomode vie sociali, culturali e
didattiche.

Solamente negli ultimi anni volti, voci e firme provenienti dalle minoranze
etniche cominciano a far capolino dal video, dai giornali e settimanali,
come dalle produzioni cine-televisive, o semplicemente negli uffici postali,
bancari e comunali. Mi rammarico che la Germania non abbia avuto maggiore
fiducia nei suoi Gastarbeiter e non abbia maggiormente investito in quelle
strutture che, per loro natura, sono destinate all'apprendimento di una
lingua e ai primi approcci con la cultura o le culture.
Thilo Sarrazin conosce bene questa realtà. Lui è cresciuto a Recklinghausen,
dove le torri minerarie e le ciminiere puntarono il cielo per alcuni
decenni, oscurandolo. Lui li ha visti e sentiti, i Gastarbeiter. Li ha
scansati, ignorandone bisogni e necessità. Il suo libello (di quasi 500
pagine) offre l'immagine d'un cittadino tedesco impaurito
«dall'integrazione» e angosciato «dallo straniero» sempre e solo considerato
come “forza lavoro e Gastarbeiter”. Due stati dell'anima molto pericolosi.

Luigi Rossi (Bochum)
www.luigi-rossi.com

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