Ministro Sandro Bondi, dopo l’annuncio della mozione sui cinque punti il quadro politico è mutato?
«È significativo che da alcuni collaboratori di Fini e persino dal Pd si siano alzate euforiche e baldanzose grida di battaglia elettorale».
Come lo spiega?
«È davvero incredibile la schizofrenica incoerenza del Pd che in pochi giorni è passato dal “no” indignato all’ipotesi elezioni a un dichiarato entusiasmo per le urne».
Cosa c’è dietro?
«Forse il progetto di un governo tecnico. Una santa alleanza auspicata da Casini, Franceschini e Vendola: ultimo atto di una politica disperata che teme il verdetto del popolo. Giusto che stiano insieme per combattere l’ultima battaglia a difesa dei propri interessi di casta».
Dopo i primi commenti positivi alla bozza anche i finiani sono tornati a tuonare. Perché?
«Se la legislatura è giunta a questo bivio lo si deve unicamente al comportamento irrazionale e incomprensibile assunto da circa un anno da Fini».
Ha capito perché?
«I nostri elettori non sanno spiegarsi il perché della sua strategia del logoramento, specie dopo l’ottima prova offerta dal governo in questi due anni, tormentati da una crisi economica che non ha precedenti e dopo i successi ottenuti in tutte le prove elettorali».
E lei come se lo spiega?
«Il comportamento di Fini è stato ed è incomprensibile: è intervenuto quasi quotidianamente con critiche immotivate nei confronti del Pdl, dell’azione di governo e persino del presidente del Consiglio».
Ma ha anche posto temi politici.
«Non contenuti nel programma di governo e in netta dissonanza rispetto ai volori del Pdl. Tutto ciò utilizzando come cassa di risonanza mediatica il ruolo di presidente della Camera che imporrebbe, al contrario, un profilo di imparzialità e di prudenza».
Da qui la sfiducia?
«Certo. Culminata con una approfondita e sofferta discussione dell’ufficio di presidenza, approvata con 33 voti a favore e 3 contrari».
Insomma, Fini si dovrebbe dimettere?
«Le sue dimissioni, oggi, sono ancora più necessarie».
Oggi perché è scoppiato l’affaire Montecarlo?
«Certo la vicenda di Montecarlo, sollevata dapprima in perfetta solitudine dal Giornale, diventa sempre più imbarazzante in assenza di chiarimenti convincenti da parte di Fini. Ma…».
Ma?
«Le ragioni obiettive, di natura politica istituzionale e morale sono altre: venne designato presidente della Camera da una maggioranza che non rappresenta più, essendosi impegnato a dividerla».
Insomma, dovrebbe fare come Pertini?
«Non credo Fini abbia questa sensibilità politica e istituzionale. Ma c’è un’altra ragione per cui dovrebbe dimettersi».
Ossia?
«Non c’è un altro caso nella storia della nostra Repubblica in cui il presidente della Camera è nello stesso tempo leader di un gruppo parlamentare e di un nascente partito politico».
È un’incompatibilità così forte?
«Se vivessimo in un paese normale e non ammorbato dalla partigianeria e dalla disonestà politica anche l’opposizione dovrebbe denunciare questo pericoloso connubio. Un’incompatibilità che emergerà sempre più chiaramente man mano che Fini dovrà tenere il piede più nella scarpa del partito che in quella di presidente della Camera».
Quando dovrebbe dimettersi?
«Prima lo farà meglio è. Sia per il Paese che per la piena agilità politica dello stesso Fini».
I rapporti con i finiani saranno sempre più tesi?
«Comprendiamo e rispettiamo il sentimento di lealtà personale verso Fini che molti ex An hanno mantenuto aderendo al nuovo gruppo parlamentare».
Le cosiddette “colombe”?
«Sì e siamo certi che questi stessi parlamentari avvertono un identico dovere di lealtà nei confronti dei nostri elettori e nei confronti del presidente Berlusconi».
Le truppa finiana è destinata ad assottigliarsi?
«Sono convinto che con il passare del tempo la maggioranza dei parlamentari che hanno manifestato un debito di lealtà personale nei confronti di Fini si preoccuperà di mantenere un rapporto di lealtà con il popolo di centrodestra e con Berlusconi».
Bocchino propone un nuovo governo retto da finiani, Rutelli, Casini e delusi del Pd. Soltanto una provocazione?
«Le continue esternazioni dell’onorevole Bocchino, tanto supponenti quanto provocatorie, confermano che fin dall’inizio l’obiettivo di Fini era quello di giungere alla liquidazione di Berlusconi».
Dall’inizio quando?
«Ha aderito per opportunismo e per debolezza al Pdl. Ricordiamo quello che disse alla vigilia del predellino?».
Sì: «Siamo alle comiche finali».
«In seguito ha perseguito consapevolmente la crisi del governo e la divisione del partito senza alcuna considerazione per gli interessi del Paese. Non dimentichiamo, poi, che già in occasione della campagna elettorale del 2006, Fini disse che la leadership di Berlusconi era finita, contribuendo così alla sconfitta elettorale».
Quella per un soffio?
«Esatto. Ma anche allora Fini non aveva previsto che Berlusconi da solo e nell’irrisione di molti, avrebbe messo in crisi il governo Prodi. E da solo vinse le ultime elezioni. Senza Berlusconi, Fini non sarebbe mai diventato né ministro degli Esteri né presidente della Camera».
Bocchino sostiene anche che per Berlusconi un nuovo governo sarebbe l’unica via d’uscita al «logoramento». È così?
«Bocchino è come quelle persone che appiccano il fuoco e poi intervengono per primi per spegnerlo. Figura molto nota nel Meridione. E si addice perfettamente alla sua levatura politica».
Esiste un asse Tremonti-Bossi?
«Esiste un rapporto molto stretto tra la Lega e Tremonti che ha avuto finora una funzione positiva. Non bisogna mai dimenticare, tuttavia, che il garante dell’evoluzione positiva della Lega, in un quadro di responsabilità di governo e di modernizzazione del Paese, resta il Presidente Berlusconi. Bossi questo lo sa, perché è un politico avveduto e serio».
Sempre Bocchino sostiene che a volere le elezioni sono loro: entrambi motivati a scalzare il premier. Vero?
«Bocchino è un seminatore di zizzanie. La verità è che la coppia Fini-Bocchino vuole prendere tempo per assemblare un’armata brancaleone: un governo tecnico per estromettere Berlusconi mentre, proprio a causa del loro comportamento, Lega e Pdl non escludono le elezioni, che comunque vedrebbero la riconferma di Berlusconi e di un governo delle riforme, questa volta senza l’intralcio di Fini e di Bocchino».
Nessuno «scudo» finiano alla trappola Bossi-Tremonti?
«Ripeto: Fini e Bocchino hanno determinato la crisi per ragioni personali. Berlusconi non ha bisogno di scudi. Il suo scudo sono il popolo e le libere elezioni democratiche, che i politici levantini di ogni risma, interessati al mantenimento delle loro poltrone, temono come la peste».
Intervista a Il Giornale, 24 agosto 2010