RIFLESSIONI SU "IL LINGUAGGIO DELLA POLITICA E QUELLO DEL SUPERMERCATO"

di Giuseppe Pasero

Ho letto con attenzione – e sostanziale condivisione – l’articolo di Mario Michele Pascale -“Il linguaggio della politica e quello del supermercato”- intitolato ai linguaggi e, soprattutto, a quelle che dovrebbero essere le differenze tra i linguaggi della politica e quelli del supermercato. Condivido quello che Mario scrive e vorrei aggiungere qualche ulteriore osservazione nello specifico delle differenze, provando a segnalare alcuni fattori di base, linguistici e contenutistici, che governano sotto il profilo espressivo i due mondi di cui si sta parlando.
Intanto, una prima considerazione. Il linguaggio dei supermercati, caleidoscopico, frammentato e colorato, sostenuto da colonne sonore accattivanti e sempre più esploso in una “fiera delle vanità” apparentemente inesauribile, percorre la via della superficialità e della semplificazione a tutti i costi, si rivolge in misura sempre maggiore alle componenti emotive del nostro pensiero, fondandosi su messaggi tranquillizzanti quanto fittiziamente rassicuranti. Una “non-filosofia” del linguaggio esemplarmente rappresentata e spiegata dal direttore del settimanale Chi : …la crescita delle vendite non è affidata alla discussione dei problemi veri, ma alla fabbrica dei sogni e dei desideri delle lettrici”. Questa verità lapidaria ha costituito il capo d’accusa rivolto a due giornaliste – licenziate, naturalmente – recidive nel volersi occupare, per l’appunto, di problemi veri. L’importante è che le persone acquistino e cosa c’è di meglio, per favorire gli acquisti, dell’armamentario di tutti i trucchi dell’illusionismo commerciale? Quell’illusionismo che fa abbassare le difese razionali, che fa dimenticare il peso di quell’acquisto su bilanci familiari che sempre più spesso non sono in grado di reggerlo. Ma via, bando ai pensieri neri. E poi, salvo qualche inveterato pessimista di sinistra, ormai tutti sanno che la crisi è finita, la maggioranza sarà millenaria, mentre l’Aquila ricostruita è lì a testimoniare il miracolo berlusconiano e le infinite, magnifiche sorti progressive di cui il nostro fortunato Paese ha beneficiato e, beninteso, beneficerà.

Una seconda considerazione. Il linguaggio dei supermercati ha progressivamente permeato il mondo della politica, in concomitanza con il distacco di quest’ultima dalla vita e, ancora una volta, dai problemi veri delle persone reali. Quanto più i personaggi della politica si sono trasformati nei componenti di una casta orientata soprattutto alla difesa degli interessi particolari e, proprio per questa ragione, sempre meno disponibile ad un confronto trasparente con il Paese, tanto più il linguaggio della politica ha cominciato a scimmiottare quello del supermercato. Consapevoli della sempre minore capacità di arrivare ai Cittadini percorrendo la strada della ragione, della sincerità e della trasparenza, dei piani e dei programmi condivisi, un numero crescente di uomini politici e di partiti ha adottato comportamenti che certo avrebbero certamente l’incondizionata approvazione del direttore di Chi. Le tecniche di marketing, dapprima in forme improvvisate e rozze e poi sempre più perfezionate, diventano la “non-cultura” dominante di quasi tutto lo scenario politico e di tutti i suoi rappresentanti più spregiudicati; che, naturalmente, si sono preoccupati soprattutto di trasformarle in occasioni più o meno volgari di accrescimento dell’utile personale. E quest’ultima nota dev’essere sottolineata: da parecchi anni a questa parte si sente parlare esclusivamente di utile personale, di vantaggi esclusivamente per sé e per la propria famiglia, senza neppure il pur debole alibi di aver agito magari disonestamente, si, ma in favore dei rispettivi partiti. Oggi attendiamo tutti col fiato sospeso che Scajola acclari (sic!) i nomi di quelli che gli hanno pagato l’appartamentino romano…

Campione indiscusso del marketing politico è, evidentemente, l’attuale presidente del consiglio. Dotato di un fiuto indiscutibile (non di strategie a lungo termine, si badi bene, che sono appannaggio e caratteristica solo dei pochi veri statisti), ha saputo coagulare una serie di pulsioni oscure e disordinate ma storicamente diffuse, anche se non sempre esplicitamente dichiarate, in tutti gli strati ed i gruppi che costituiscono la base votante della nebulosa Italia. Una base qualche volta consapevole, in altri casi distratta, ipnotizzata o comunque deprivata di una reale capacità critica. Uno dei piani su cui è più facile ed immediato verificare l’abilità di autopromozione e di vendita dell’attuale presidente del consiglio è rappresentato dagli slogan che tanto hanno contribuito alla sua peraltro resistibile ascesa. Mi limito a citarne due.

Il primo e , per certi versi, il più “storico” è quello che ha suscitato, e qualche volta continua a farlo, l’antico fantasma delle “sinistre”. Pur essendo ormai evidentemente scomparse in quanto movimenti politici dotati di reali poteri eversivi, il timore superstizioso nei loro confronti sembra ancora abbastanza radicato nella fantasia popolare. Una fantasia condizionata dalla cultura confessionale, da sempre detentrice di un potere d’influenzamento pesantemente rinforzato dalla lunga storia dei governi a maggioranza democristiana. Un rinforzo insperato, e di stampo oggettivamente conservatore in alcuni casi più realista del re, fu dato durante gli anni del dopoguerra dalla struttura tendenzialmente “ecclesiale” del Partito Comunista Italiano, definito da molti osservatori italiani e stranieri come la “seconda Chiesa”, con dogmi ed infallibilità ex-cathedra compresi.

Il secondo, probabilmente di minor impatto immediato ma, forse, destinato ad una vita più lunga ed a chissà quali trasformazioni, è quello che definisce l’attuale maggioranza come “il governo del fare”. Sa tanto di Compagnia delle Opere, senza però le nuvole d’incenso di cui quest’ultima ama circondarsi; il “governo del fare” ha un piglio più imprenditoriale, più sbrigativo e vagamente compratore che rassicura i furbetti di ogni tipo e d’ogni età. Basta seguire la bandiera e qualcosa si potrà “fare”: non solo accumulare denaro e mentire ai Cittadini ed ai Giudici, ma anche cambiare la storia e piegare le Leggi alla volontà del padrone e dei suoi amici. Così, tutto il mondo dei senza-speranza, o per meglio dire, di tutti coloro che hanno perso la fiducia in sé stessi e nella possibilità di ragionare liberamente con la propria testa, contribuisce più o meno volonterosamente ad aumentare il livello di consenso necessario al pifferaio che, sia pur con sempre minore successo e lucidità, sta ancora guidando esclusivamente a proprio vantaggio il nostro Paese. In coerenza con quanto ho appena detto, mi pare che il “linguaggio del supermercato” stia dilagando e con proterva insolenza voglia accreditarsi in quanto linguaggio tout court, occupando con tutta la propria volgarità e superficialità un numero sempre maggiore di aree ivi compresa la comunicazione pubblica e politica. Anche se molte cose si potrebbero dire risalendo ai modelli teorici che hanno portato a questa situazione, vorrei stringere il discorso domandandomi che cosa sia possibile fare per contenere la resisitibile ascesa di questo fenomeno, quanto mai deprecabile sia in termini etici che politici.

Proporrei di farlo, intanto, dando al concetto di “fare” una declinazione diversa da quella degli slogan di governo. Proporrei, in altre parole, che tutti coloro che hanno la possibilità di diffondere la propria voce si impegnassero prima di tutto a decodificare i termini che consentono alla casta dominante di mentire quotidianamente ad un grandissimo numero di cittadini. Mi limito a due esempi particolarmente vistosi.

Il primo. Continua il bombardamento mediatico relativo ai consumi degli italiani ed al P.I.L. che non cresce. Il P.I.L. uno strumento talmente consunto che, già nel 1968 fu definito da Robert Kennedy come qualcosa che: “Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.“. E come mai il P.I.L. non cresce? Per la sfiducia instillata dai disfattisti, i nemici sciocchi e, naturalmente, le tenebrose sinistre che complottano contro le buone intenzioni e le ancor migliori azioni dell’infaticabile Capo. Non sarà, per caso, che gl’italiani comprano e consumano meno perché, banalmente, il loro potere d’acquisto si è drasticamente ridotto e le retribuzioni di tutti i lavoratori dipendenti sono state convertite all’euro con un rigore degno di miglior causa mentre quelle dei grandi parassiti agganciati al carro del big game politico- finanziario sono state affidate a formule di trasformazione di fatto ignote ancor oggi alla maggior parte dei Cittadini. Si potrebbe azzardare che in questi casi si è fatto generosamente riferimento al potere d’acquisto che, si sa, non è così facile da stabilire. E poi non si tratta di volgari salari, ma di ben più nobili “redditi” che non possono ohibò, confrontarsi con i prezzi del latte, della pasta, del pane e delle uova, ma piuttosto con misteriosi pacchetti azionari, transazioni incomprensibili ai comuni mortali per arrivare a case di cui si entra in possesso senza saperlo, ad appalti a catena che riguardano i soliti furbetti. Contemporaneamente, checchè ci racconti l’ineffabile e un po’ confusionario Sacconi, il numero di persone che possono far conto su lavori stabili ( ce ne sono ancora? ) diminuisce vistosamente.

Il secondo esempio. Quando qualcuno della cricca governativa afferma che “la crisi è finita”, sta vergognosamente mentendo. Ma la menzogna non per una questione temporale del tipo “c’era PRIMA ma ADESSO non c’è più”, bensì per qualche cosa di molto più radicale: si riferisce cioè al fatto che non ci troviamo in una crisi, ma stiamo sperimentando con ogni probabilità un sistema di vita e, soprattutto, di iniquità nella distribuzione della ricchezza, che ha tutte le caratteristiche di uno scenario destinato a durare per moltissimo tempo. Bisognerebbe rivolgersi ai cittadini spiegando che il concetto di crisi presuppone un inizio ed una fine e che il cambiamento, a sua volta implicito nel concetto di crisi, non può né deve essere concepito come un ritorno automatico alle condizioni precedenti o verso condizioni migliorative rispetto a quelle precedenti. Bisognerebbe ricordare con insistenza che le crisi richiedono strategie di governo a lungo termine, capaci di dire anche le verità più scomode e, soprattutto, un tipo di comunicazione che si rivolga in maniera matura e trasparente ai cittadini considerati soggetti altrettanto maturi, in grado di capire, di interagire e di contribuire alla gestione del presente ed alla costruzione del futuro.

Giuseppe Pasero
Libertà ed Eguaglianza

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy