Da inizio anno 101 suicidi in carcere

La viceresponsabile per la Giustizia dell’Italia dei Diritti «In Italia la detenzione non è una punizione eseguita secondo la legge, ma una leva che porta a forme di annullamento e perfino alla morte»

Roma, 15/7/2010 – Da ieri mattina sono 101. In faccia ad un sistema che non se ne cura, in faccia ad un’opinione pubblica per la quale il fenomeno non esiste, in faccia ad uno Stato che non vedendo il problema, non si preoccupa della soluzione.

Centouno, la carica dei detenuti suicidi. Centouno dall’inizio dell’anno. «L’aumento vertiginoso dei suicidi in carcere negli ultimi anni ci obbliga a concepire nuovi modelli organizzativi, che risolvano come da Costituzione i problemi delle disfunzioni, del sovraffollamento e della crescente invivibilità delle carceri», dice Lea Del Greco, viceresponsabile per la Giustizia dell’Italia dei Diritti.

Costituzione Italiana, articolo 27, terzo comma:«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Rincara la dose l’esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro:«Ho la ferma convinzione che il circuito penitenziario non possa e non debba essere concepito come luogo vuoto di diritto, in cui possa accadere di tutto, purché non si sappia all’esterno».

Antimo Spada, 35 anni, camorrista e detenuto a rischio, trasferito dal carcere di Lecce a quello di Torino, direttamente nella settima sezione, blocco A, destinata ai prigionieri con problemi di equilibrio mentale, sorvegliata – in teoria – 24 ore al giorno.

Antimo Spada che per il pianeta-carcere, unica stella di una galassia isolata e senza contatti con le altre, è poco più di un rumore di fondo in una traccia musicale già sgradevole. «Per i detenuti a rischio non esiste alcuna norma specifica. Quelli che tentano il suicidio vengono sottoposti al regime di vigilanza previsto dall’articolo 14 bis del’ordinamento penitenziario. Lo stesso che viene applicato a coloro che turbano l’ordine. Vuol dire che l’amministrazione li considera come fossero una turbativa, un problema».

Problemi che trovano da soli la loro soluzione. Un lenzuolo attorno al collo sotto gli occhi di una telecamera di controllo, come nel caso di Spada. O vetri nello stomaco. O gas inalato da fornelletti da campo. O vene tagliate con mezzi di fortuna, quando l’equilibrio già precario tra disperazione e costrizione diventa insostenibile. «Manca del tutto una reale indagine sulle cause scatenanti dietro a gesti tanto estremi – continua la Del Greco – che deve essere tempestiva, e scattare molto prima che vengano oltrepassati i limiti della tollerabilità umana. E poi serve più trasparenza rispetto alle regole interne alle carceri. E lo sviluppo di un sistema di pene più aderente al Trattato costituzionale».

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