LE FABBRICHE DI NICHI. QUANTE INCERTEZZE TRA METODO E MERITO

La vittoria di Nichi Vendola alle Regionali Pugliesi è stata analizzata con una certa sufficienza da parte della stampa, quella più vicina al Governatore come quella più tenace nell’opposizione al fenomeno mediatico che, indubbiamente, l’ex politico comunista è riuscito a creare. Essa è stata sostanzialmente riletta o come felice eccezione, nel quadro di una consultazione elettorale locale nuovamente sfavorevole al centrosinistra, o come esempio di un modo nuovo dell’agire politico nella società meridionale. In entrambi i casi, qualche ulteriore approfondimento critico si impone. Esso, per altro verso, potrebbe giovare sia ai sostenitori di Vendola -che magari lo vorrebbero alla guida di una coalizione avversa al centrodestra- che ai suoi più convinti detrattori, forse distratti dagli impressionanti successi dell’amministratore pugliese nell’elaborare una risposta politica seria ed alternativa.

Il successo di Vendola si consuma con la parabola delle Primarie come strumento di selezione della classe dirigente: sull’onda emotiva di una Sinistra al di fuori degli schemi dell’allora costituendo Partito Democratico, vinse prima una contesa interna e poi, contro Fitto e la rete di alleanze trasversali all’appartenenza politica che questi riusciva a raccogliere in sé, colse un successo inaspettato, ma numericamente molto risicato. La stessa riconferma del 2010, pur più sostanziosa nelle cifre, non è quella di un plebiscito né di un osanna incondizionato al leader di Sinistra, Ecologia e Libertà.

Nichi Vendola si trova nella difficile posizione di dover armonizzare un’amministrazione locale, alle prese con guai giudiziari ed emergenze territoriali vere, col ruolo politico nazionale che la sua base gli chiede di assumere. È un crinale difficile, che porta i primi scontenti. Il progetto di “Sinistra, Ecologia e Libertà” procede, ma la quota elettorale raggiunta è insufficiente, dal suo tre e mezzo per cento, a porre le basi per una chiara egemonia nel centrosinistra. È una porzione insufficiente anche per sostenere un dialogo con le ipotesi di allargamento della coalizione che, in buona sostanza, rimetterebbero, contro Silvio Berlusconi, un ammasso di partiti coagulati intorno a programmi troppo complessi e vacuamente compromissori. Ritardare l’ora delle scelte non significa che quelle scelte non dovranno essere compiute. In secondo luogo, l’organizzazione di propri pensatoi e luoghi di conflitto e azione sociale, le “Fabbriche di Nichi”, rivela soggetti non pervenuti nel concreto della quotidianità italiana. Appare grottesco o caricaturale parlare di “fabbrica”, quando lo zoccolo duro del consenso elettorale di Vendola e del suo partito pesca nei lavori intellettuali e in un’area sociale che esperienze di fabbrica forse non ha mai avuto. Esse, poi, non potrebbero avere sul territorio nazionale la stessa incisività che poterono dispiegare in Puglia: in Puglia Vendola veniva da cinque anni da apprezzato governatore. Con la sua cerchia di sostenitori, i suoi (forse in alcuni frangenti enfatizzati) risultati politici, la sua rete di beneficiati che quasi ineluttabilmente accompagna le amministrazioni locali quando cambiano, dopo molti anni, colore politico. Una base di partenza incomparabilmente più corposa di quella che attenderebbe Vendola nello scenario politico nazionale: dove i partiti della Sinistra contano poco e anzi continuano a perdere terreno, dove lo stesso partito più forte, quello Democratico, è attraversato da scossoni interni, non eccelsa discussione politica e idee molto, molto diverse sulla società italiana, in genere, e sulla leadership di coalizione nel caso specifico. I richiami al solidarismo fatti da Vendola possono inoltre scontentare laici e cattolici: i primi bisognosi di vedere più nel concreto i pur validi e meritevoli proclami; i secondi, almeno in parte, ancora restii verso le aperture (in campo bioetico e farmacologico, soprattutto) che il governatore pugliese sta cercando di promuovere. A Vendola è talvolta rinfacciata la magniloquenza. Certo, il fraseggiare denso, intessuto di citazioni non banali, esprime il disperato bisogno di ripensare una politica più alta, meno schiava dell’incultura e del consenso. Ma il rischio è di non esser compresi, o di restare nel vago o di sembrare -all’opposto- concentrati su obiettivi troppo distanti da quelli reclamati dalla corrente attualità italiana.

Inoltre il saltum “territorio”-“politica nazionale” ha illustri precedenti (Cacciari, Chiamparino, Bassolino…) di personalità significative nel novero delle amministrazioni locali, ma in definitiva sin qui non capaci di proiettare il buono che giungeva dalla propria azione in un discorso più ampio, accettabile, sostenibile.

Vendola non volle l’ingresso radicale in Sinistra e Libertà; sulla piattaforma rivendicativa, però, dall’ecologismo ai diritti civili, molto spesso ne propone quasi pedissequamente l’approccio. Vendola resta perciò a metà tra un “terzaforzismo di sinistra” e un “partito massa” a destra, rispetto alla tradizione del movimento operaio italiano.
Queste contraddizioni, bisognerà capire, possono essere particolarmente feconde o terribilmente evanescenti, ma non per questo è possibile rifiutarsi di porle. Se si sciogliessero alcuni nodi qualificanti, dalle alleanze alle politiche per il lavoro, dall’impegno regionale allo sforzo per un dibattito politico di rilievo nazionale, dalla richiesta di riforme alla materiale e visibile dimostrazione pratica di cosa e dove si voglia riformare, Vendola ne uscirebbe rafforzato: non più immagine popolarissima, e però difficilmente distinguibile nei contenuti, ma aggregatore di un più compiuto sforzo di alternativa alla Legislatura in corso. L’idea che organizzando conventions nazionali questi nodi possano, ex se, risolversi è piuttosto illusoria e c’è da augurarsi che il Governatore non scelga di seguirla.

Domenico Bilotti

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