La controffensiva del deserto

Organizzata dall’Onu, si celebra oggi la 16esima Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione. Un fenomeno che minaccia il 47 per cento del Pianeta e la vita di un miliardo di persone. Anche nei Paesi ricchi

Rafforzare i suoli ovunque rafforza la vita dovunque». Nell’Anno internazionale dedicato alla biodiversità la Convenzione delle Nazioni unite per la lotta alla desertificazione (Unccd) usa questo slogan per presentare la 16esima Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione (World Day to Combat Desertification).
L’evento si celebra oggi in tutto il pianeta on una serie di manifestazioni che mirano a sensibilizzare il pubblico sul fatto che la desertificazione, il degrado dei suoli e la siccità causati dai cambiamenti climatici e dalle attività umane nelle zone caratterizzate da carenza di piogge e da alte temperature, possono drammaticamente compromettere gli ecosistemi. Andando a incidere in primis su quel 47 per cento di superficie terrestre già inaridita, con drammatiche ricadute anche sugli equilibri socio-economici nelle zone progressivamente colpite. Per desertificazione si intende il processo che porta a una riduzione irreversibile della capacità del suolo di produrre risorse. In totale a essere minacciato da questo fenomeno è oltre un quarto della superficie terrestre (regioni aride, semi aride e sub umide secche presenti in tutti i continenti). La più interessata è l’Africa, on circa il 75 per cento delle terre aride coltivate che subiscono degrado e desertificazione, ma esistono vaste aree degradate o minacciate anche in Asia, in America Latina e nel Nord del Mediterraneo, quin-di anche in Italia. Non sono esenti da rischi nemmeno Paesi tra i più viluppati come Stati Uniti e Russia. Desertificazione e flussi migratori “forzosi” sono due processi strettamente legati. Esperti dell’Onu hanno calcolato che entro il 2020 un numero pari a 60 milioni di persone potrebbe spostarsi dalle zone desertificate dell’Africa Sub-sahariana verso il nord Africa e l’Europa. Mentre in generale cresce al ritmo di circa un milione l’anno la lunga scia di profughi che abbandonano la propria terra per olpa di un clima divenuto totalmente ostile. Nel complesso sono oltre un miliardo le persone a rischio salute e benessere in più di 100 Paesi. Il futuro non si prospetta affatto roseo, considerando che le “fughe” causate dalla desertifi- cazione si integrano con quelle legate ad avversità ambientali che gli esperti ritengono in assoluto il fattore più decisivo per la migrazione: eventi meteorologici estremi, alluvioni e uragani, guerre per il controllo delle materie prime del territorio. In totale nel 2050, i “profughi del clima” potrebbero arrivare a essere oltre 200 milioni, oggi (in base a stime sul 2010 calcolate dalla Organizzazione per le migrazioni, Iom) dovrebbero essere almeno 50 milioni, senza contare i 192 milioni di persone che non vivono nella loro terra di nascita, pari al 3 per cento della popolazione mondiale. Le cause ambientali sono dunque da considerare come vere e proprie questioni geopolitiche. La pensa così da tempo il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon, che in occasione della 14esima Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione scriveva: «Ogni volta che si discute di Darfur se ne parla in termini militari, ma guardate invece alle cause scatenanti e scoprirete una dinamica più complessa. Negli ultimi venti anni il Sudan ha registrato un calo nelle precipitazioni, dovuto in parte al riscaldamento globale causato dalle attività umane. Gli agricoltori e i pastori nomadi che abitanoil Darfur hanno convissuto paci- ficamente fino a quando siccità e mancanza di cibo hanno scatenato la tragedia di cui oggi siamo testimoni». E proprio l’agricoltura, insieme alle conseguenze dell’effetto serra provocato dal processo mondiale di industrializzazione selvaggia, è da considerare uno dei fattori scatenanti del processo di desertificazione. «Produrre più cibo con meno acqua» fu l’appello lanciato con forza dal palco del quinto Forum mondiale dell’acqua che si è tenuto a Istanbul nel 2009 dal direttore generale della Fao, Jacques Diouf. In quella sede Diouf puntò il dito contro la cattiva gestione delle risorse idriche in agricoltura auspicando al contempo un aumento del sostegno ai contadini nei Paesi in via di sviluppo per affrontare i problemi della scarsità d’acqua e della fame. Per un preciso motivo: l’agricoltura assorbe il 70 per cento di tutto il consumo di acqua potabile a livello mondiale. Se bastano dai due ai tre litri di acqua al giorno per soddisfare il fabbisogno giornaliero di liquidi di un individuo, ne occorrono infatti 3.000 per produrre l’equivalente del nostro fabbisogno quotidiano di cibo. «Di fronte al crescere di desertificazione e siccità – ammoniva Diouf – il ruolo del settore primario deve essere salvaguardato investendo in un’agricoltura sostenibile basata su una buona gestione dell’acqua che potremo soddisfare i nostri bisogni di cibo e di energia, e allo stesso tempo salvaguardare le risorse naturali dalle quali dipende il nostro futuro». Parole oggi ancora valide, ma inascoltate.

Federico Tulli
TERRA

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