• Dichiarazione di Michele De Lucia, Tesoriere di Radicali Italiani
La vicenda dello stabilimento Fiat di Pomigliano D’Arco porta su di sé le stimmate di un Paese malato da tutti i punti di vista: delle grandi imprese, del sindacato, delle relazioni industriali.
Da una parte, abbiamo “la” grande impresa italiana per antonomasia che, a differenza del caso di Termini Imerese (“prendo i soldi e chiudo”), a Pomigliano si impegna a investire e rilanciare. Dall’altra, abbiamo un sindacato più che mai tetragono, corporativo, conservatore, ideologico e con una sensibilità a dir poco intermittente e selettiva per quanto riguarda la Costituzione: se si vuole parlare di Carta fondamentale, la Fiom inizi dall’articolo 39, mai attuato, e dalla rinuncia alla prassi – tanto sistematica, quanto impropria – dello sciopero politico e di altre “armi sindacali non convenzionali”: che a Pomigliano vi siano seri problemi, tra cui diverse forme di assenteismo, è pacifico.
Le urgenze sono quindi due, per far sì che né Marchionne (erede di cent’anni di capitalismo italiano inquinato, per dirla con Ernesto Rossi), né la Fiom possano contare su facili alibi: da una parte, bisogna vigilare affinché gli impegni presi dalla Fiat vengano questa volta rispettati; dall’altra, le obiezioni della Fiom potrebbero essere facilmente superate indicendo un ulteriore referendum tra i lavoratori che abbia ad oggetto il capitolo della trasparenza e degli inevitabili controlli e garanzie che ad essa si devono accompagnare. Si distingua, in altre parole, tra i privilegi e i diritti. Se la Fiom non avrà questa capacità, non farà altro che continuare a segare le tavole della zattera sulla quale (ancora) galleggia. E gli imprenditori di rito Fiat potranno continuare a far festa, anche a scapito dei colleghi non assistiti.