Teniamo il cantiere aperto, perchè se il Quirinale…

di Carmelo Briguglio

Sentiamo rullare tamburi di guerra. I soliti tamburini stavolta annunciano l’assedio al Colle più alto. Opposti estremisti disegnano scenari di scontro istituzionale. Anche in casa nostra, intendiamo il Pdl. Vorremmo calmarli con qualche riflessione.
Innanzitutto mettiamoci d’accordo una volta per tutte su Giorgio Napolitano. Il presidente della Camera e con lui i “finiani” in questi anni hanno sempre espresso sul Capo dello Stato un apprezzamento positivo e incondizionato. Sempre vuol dire sempre. Diciamo, con una punta d’orgoglio, che siamo gli unici nel Popolo della Libertà e nel centrodestra, a potere rivendicare questa linearità e coerenza di giudizio. Anche questa condotta è costata in termini di ironie e sarcasmi subiti cristianamente da Gianfranco Fini, spesso dipinto dalla stampa vicina al premier come infatuato o ipnotizzato da un Presidente della Repubblica che veniva da una storia lontanissima da quello che pure è stato il delfino di Giorgio Almirante e il capo di Alleanza Nazionale.
Per dire le cose come stanno e che tutti sanno, al tempo del caso Englaro e della bocciatura del “lodo Alfano” da parte della Corte Costituzionale Silvio Berlusconi si lasciò andare a giudizi diciamo inappropriati sul Capo dello Stato, ricevendone repliche molto determinate da parte dell’interessato.
Oggi e ne siamo contenti, il nostro Capo del governo ha rivisto quel giudizio, soprattutto alla luce della determinazione e dell’equilibrio che il presidente Napolitano ha dimostrato in alcuni passaggi importanti, quando ha dovuto reagire, con decisione e compostezza, alla pressione indebita, ai confini dell’oltraggio, da parte del partito di Di Pietro e dell’area politica e giornalistica che esprime le posizioni giustizialiste più radicali. Berlusconi ha apprezzato, soprattutto in occasione della promulgazione della legge sul legittimo impedimento, non del tutto indifferente per il destino del Presidente del Consiglio e della stessa politica italiana. Siamo i primi ad essere soddisfatti di questo clima di ritrovata unità istituzionale e leale collaborazione tra Palazzo Chigi e Quirinale. Fini ha sempre lavorato per questo, anche quando non è stato capito o è stato attaccato nel partito. Una linea che poi è tornata utile anche allo stesso Presidente del Consiglio.
Bene: adesso Berlusconi non si faccia tentare dai tamburini di guerra o dai teorici dello sfascio istituzionale che presidiano punti nevralgici del Pdl. Temiamo che siano all’opera insieme agli ideologi della “riapertura della ferita” tra i due cofondatori. In alcuni casi sono le stesse persone. Non sappiamo cosa pensi il Colle della legge sulle intercettazioni. Lo vedremo, come lo stesso Napolitano ha fatto sapere, al momento in cui dovrà esprimere la sua valutazione per promulgare la legge o eventualmente per rinviarla alle Camere, come prevede l’articolo 74 della Costituzione. Tutti si sono fatti un’idea e noi abbiamo la nostra.
Qualunque cosa accada, la politica deve sapere precorrere gli eventi e, se possibile, trovare soluzioni agli effetti che dovessero produrre. Sulle intercettazioni il Pdl è a un bivio: trovare alla Camera le soluzioni ai problemi innegabili che il testo licenziato dal Senato ancora presenta, prevenendo le obiezioni che potrebbero essere manifestate dal Capo dello Stato al momento della firma. Oppure, come sentiamo dire dai grandi strateghi della soluzione finale, prepararsi a uno scontro istituzionale col Capo dello Stato, il che passerebbe per una riapprovazione del medesimo testo eventualmente non promulgato da Napolitano. Uno scenario di guerra che poi, nelle intenzioni degli strateghi che l’hanno pensato, porterebbe al redde rationem delle elezioni anticipate. Non ci vogliamo credere, ma è bene parlarne, sia pure per scongiurarlo. Siamo convinti che il senso di responsabilità prevarrà.
Basta poco. E’ sufficiente , dopo i miglioramenti apportati da Palazzo Madama, concordare altre modifiche alle questioni irrisolte. Basta una breve “lettura” a Montecitorio.
Cancelleremmo anche la mera ipotesi di un conflitto istituzionale che ucciderebbe anche sui mercati internazionali il prestigio e la credibilità dell’Italia in un momento di crisi come questo. I cittadini, compresi quelli di centrodestra, non capirebbero e non approverebbero.
Quanto al Pdl, le cui sorti abbiamo a cuore più di quanto alcuni vogliono far credere, eviterebbe di entrare in conflitto con un’area vasta del Paese, con quasi tutta la stampa nazionale e internazionale, e con un segmento importante del suo blocco sociale. Del nostro blocco sociale se possiamo dirlo con chiarezza: carabinieri, poliziotti, Guardia di Finanza, magistrati non politicizzati. Sono le categorie “law and order”che dopo una ‘guerra civile’ tanto aspra, finirebbero per non riconoscersi più nel centrodestra. Nè in quello di Berlusconi e nemmeno in quello di Fini o di Maroni. Questo sarebbe il prezzo da pagare. Possiamo permettercelo? Secondo noi assolutamente no. Un prezzo politico alto finirebbe per pagarlo il nostro ministro della Giustizia, giovane e abile, al quale non fa difetto l’intelligenza per capire che la bocciatura della legge da parte del Quirinale comporterebbe conseguenze istituzionali e politiche per il governo e soprattutto per lui. E scelte, difficili ma inevitabili, anche per noi. Meglio mantenere il cantiere aperto.

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