Ipotesi omicidio colposo

Avvisi di garanzia per sette componenti della commissione Grandi rischi, riunitisi a L’Aquila sei giorni prima del sisma. L’accusa è «mancato allarme» dovuto a «negligenza, imprudenza e imperizia»

Adesso diranno che «i terremoti non si possono prevedere». Dimenticando che se è impossibile predire un sisma catastrofi- co non si può, egualmente, esser certi che esso non avverrà. Come fece ad esempio il vice di Bertolaso, Bernardo de Bernardinis, che davanti alle telecamere consigliò agli abruzzesi di «andare a bere un buon bicchiere di Montepulciano».
Questo sei giorni prima che solai e muri portanti franassero addosso a migliaia di aquilani, uccidendone 307. Ieri, un anno e due mesi mesi dopo quel 6 aprile 2009, gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno consegnato sette avvisi di garanzia ad altrettanti componenti della Commissione grandi rischi che si riunì a L’Aquila il 31marzo, dopo 4 mesi di scosse ininterrotte che avevano messo a dura prova i nervi dei cittadini aquilani. Ipotesi di reato: omicidio colposo. Le indagini sono scaturite da un esposto presentato dall’avvocato aquilano Antonio Valentini. «Nell’esposto si parlava, però, di omicidio volontario », ricorda Valentini. Per la precisione gli indagati sono Franco Barberi, vicepresidente della commissione grandi rischi, il prof. Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofi- sica e vulcanologia, il dott. Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti, il Prof. Claudio Eva, ordinario all’università di Genova. Studiosi ed
esperti, a cui si aggiungono importanti funzionari pubblici come il prof. Bernardo de Berardinis, vicecapo della Protezione civile e responsabile dell’emergenza Abruzzo, il prof. Mauro Dolce, responsabile rischio sismico della Protezione civile, Gian Michele Calvi, presidente della fondazione Eucentre. Calvi, specialmente, è direttore dei lavori del Piano C.a.s.e., le ricche new town (costo 2.700 euro al metro quadro) costruite del governo dopo il terremoto. Un milione di euro circa per dare un tetto a solo 15mila dei 60mila sfollati aquilani. Consumando 140 ettari di campagna. La commissione grandi rischi è il massimo organismo scientifico a supporto della protezione civile. La riunione finita sotto la lente degli inquirenti, convocata il 31 marzo 2009, secondo le recenti dichiarazioni rilasciate al settimanale left da uno degli indagati, il prof Enzo Boschi, fu «ridicola». «Credevo che avremmo fatto le ore piccole. In questi casi, dinanzi a gravi eventi, in una zona tra le più a rischio d’Italia, la commissione si conclude solo dopo aver preso una decisione all’unanimità, messa nero su bianco in un verbale». L’incontro, iniziato alle 18:45 fu invece velocissimo. Appena mezz’ora: «Poco prima delle 19:30, De Bernardinis chiuse d’un tratto la riunione. Senza una delibera, senza un verbale. Rimasi stupito, mi sembrava che non si fosse neppure iniziato. Solo in seguito ho saputo che l’interruzione era dovuta alla conferenza stampa a cui non ero stato invitato », racconta il sismologo. Una conferenza stampa nella quale la Protezione civile, allora impegnata nella corsa contro il tempo per concludere i lavori per il G8 della Maddalena, tranquillizza la popolazione: «La comunità scientifica conferma che non c’è pericolo, perché c’è uno scarico continuo di energia; la situazione è favorevole», dichiarò davanti a taccuini e telecamere Bernardo de Bernardinis. Il verbale della riunione, secondo Boschi, viene invece firmato solo a terremoto avvenuto: «Il 6 aprile, all’inizio della riunione, Dolce mi fece vedere gli appunti dattiloscritti dell’incontro del 31, lo tesso fece con Barberi, che li corresse. E poi tutti firmammo. Credevo si trattasse di una formalità ma era ridicolo vidimare quel foglio a terremoto avvenuto», racconta il sismologo nell’intervista. Il comportamento della commissione, secondo gli inquirenti della procura aquilana, diretta dal magistrato Alfredo Rossini – lo stesso che indaga sui crolli sospetti dell’ospedale e della Casa dello studente – fu caratterizzato da «negligenza, imprudenza e imperizia». La protezione civile, cioè, «sarebbe venuta meno ai suoi doveri di previsione e prevenzione», prendendo sotto gamba lo sciame sismico. E consegnando parole tranquillizzanti alla popolazione. Molti cittadini, infatti, presero alla lettera
le rassicurazioni degli esperti, rinunciando a lasciare le case anche la notte del 6 aprile, quando, poco prima della rovinosa scossa delle 3:32, un altro sisma, intorno alle 11, aveva fatto da precursore dell’imminente catastrofe. Non solo. A L’Aquila – che pochi anni prima era sta derubricata da rischio sismico 1 (il massimo) al più tranquillizzante livello 2 – mancavano i punti di raccolta e i piani di emergenza. La notte del terremoto, inoltre, si trovavano in città solo 11 vigili del fuoco. Dopo 4 mesi di scosse, insomma, il sisma del 6 aprile prese di sorpresa tutti. Non solo i cittadini, ma specialmente le strutture dello Stato deputate alla previsione dei rischi. Compito ben più utile della gestione degli appalti per i grandi eventi, che hanno resa famosa la struttura diretta – fino a quando? – da Guido Bertolaso.

Manuele Bonaccorsi
TERRA

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