Con una sentenza depositata il 7 maggio la n. 17672 del 2010, la Corte di Cassazione penale interviene nel lungo dibattito, non estraneo alla materia giuslavoristica, in materia delle frasi o parole che si posso rivolgere al capo o nei confronti del capo senza incorrere nella sanzione penale.
Questa volta gli ermellini hanno stabilito che dare del “pazzo” al proprio capo non integra nessuna fattispecie di reato.
La causa giunta sino alla Suprema Corte muove dalla denuncia – querela per “diffamazione” di un datore di lavoro nei confronti del proprio dipendente perché, in un momento di sfogo con un altro suo collega, lo aveva definito un “pazzo”.
In particolare, nella vicenda de quo, i giudici di piazza Cavour si sono espressi negando il contenuto diffamatorio dell’espressione, precisando in particolare che ormai l’espressione “pazzo” non ha un contenuto offensivo “essendo entrato nel linguaggio parlato di uso comune come i termini scemo e cretino. Quando tali termini vengano usati nelle discussioni, spesso accese, che si svolgono tra colleghi in ambito lavorativo e/o sindacale aventi ad oggetto temi concernenti la organizzazione del lavoro e/o l’adozione di particolari iniziative che possano aumentare la produttività dell’ufficio e rendere più agevole e meno burocratica l’attività degli addetti, finiscono con l’avere un significato rafforzativo del concetto espresso ed evocativo delle gravi conseguenze che si potrebbero verificare in caso di non accettazione delle critiche e dei consigli”.
Di seguito la sentenza in formato pdf.