Mongoloidi? Ballati tutti quanti!

Forse non è più “di moda” apostrofare una persona con un “A mongoloide” . Quand’ero bambina e ragazza, era “normale” che prima o poi trovavi qualcuno che te lo dicesse. Di moda invece sembra, dalle notizie, essere tornata la sindrome Down, con una bambola Arriva in Italia la “bambola down”«È contro ogni pregiudizio» era il 15 dicembre di quest’anno, per le Feste si sa…Poi in un rigurgito del peggio che offre la rete era spuntato un ” Nuovo gruppo shock su Facebook: “Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini down”. Il gruppo, che conta oltre 800 membri, si è collocato nella categoria ‘Salute e benessere’ e mostra una foto del profilo altrettanto scioccante con frasi offensive e denigratorie dei bambini down”.Ma il 22 febbraio, dopo proteste indicibili contro gli 800 infami, è stato oscurato il gruppo su Facebook ‘Deridiamo i bambini Down’: “Ringrazio la Polizia postale per lo straordinario lavoro fatto e per la tempestività”, ha detto il ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, che si è detta “indignata” dall’accaduto.E il mongoloide rimane appeso ed usato tra i 2 significati quello che abbia caratteristiche simili ai mongoli e quello che presenta caratteristiche simili a chi affetto da mongolismo.
Ora accade che da più un mese mi era arrivata la lettera di un’amica, Stefania Di Lino, prima di questo bell’ Evento, rimasta appesa, anch’essa. L’avevo pregata di pazientare, di farlo da sola, ho rimandato ma oggi le ho detto che il momento era davvero giunto perchè lei pure avesse diritto di dire cosa ne pensa. Stefania è una pittrice e un’insegnante di disegno e storia dell’arte ai bambini delle scuole elementari pubbliche, una persona con la quale ho personalmente lottato per le discriminazioni, “armata” di un’infinita costanza e coerenza, nonchè passione.Raccolgo dunque la sua testimonianza in quanto amica , donna e cittadina a cui stanno a cuore le sorti delle persone. Spero molto che Stefania Di Lino, riesca anche a trovare il tempo per diventare un’autrice, ne ha tutto il diritto e il merito.A voi la lettura e un video trovato tra i tanti in rete, Mongoloides ahahah, categoria umorismo tra giovani “normali”. Va ancora di moda dunque, giocarci con il termine.
Ma non potremmo fare un Gruppo e ballare tutti quanti?

Doriana Goracci

E’ arrivata Baby Down
Arriva anche in Italia la bambola con i tratti somatici di un neonato con sindrome di Down e si chiama “Baby Down”. Il giocattolo patrocinato da diverse realtà tra cui la Fundaciòn Down España, è nato in Spagna già due anni fa proprio con lo scopo di diffondere la cultura del rispetto della diversità, a cominciare dai bambini e ora sarà venduta nei nostri negozi per iniziativa della cooperativa sociale “Il Martin Pescatore” di Bologna e di altre due associazioni no profit bolognesi. I caratteristici occhi a mandorla e la dolcezza dello sguardo sembra che ne abbiano decretato il successo commerciale presso i bambini spagnoli.
Ma in Italia, il dibattito ruota intorno ad un amletico dubbio: può o non può tale bambola, in mano ai bambini, dare un buon contributo contro i pregiudizi verso la diversità? Oppure, regalandola, si rischia di sottolineare ancora di più l’ handicap ? Secondo l’Associazione Italiana Persone Down regalare la bambola può essere utile per combattere il pregiudizio contro questa sindrome, ma, avvertono, “deve trattarsi di una bambola tra le altre bambole”. Come a dire di non proporla ai bambini come l’unico modo di essere, ma come una condizione tra le tante che può arricchire i nostri punti di vista e educare la nostra sensibilità sulle varie diversità. Insomma la sindrome di down è si una condizione genetica ma è anche una modalità di essere al mondo, e, in quanto tale, va accolta e rispettata. Si tratta di un’eccedenza cromosomica che non da contagio e che non necessariamente implica malattie.
Il giocattolo, inoltre, può aiutare sia i bambini “normali” a conoscere, e accettare più facilmente, coloro che sono colpiti dalla sindrome di Down e quindi a non giudicarli negativamente “diversi”, sia gli stessi bambini down a vivere la loro diversità come normale. Ma, sottolineano all’associazione, i bimbi devono tenere questa bambola come una tra le tante.
“La bambola con la sindrome Down – spiega Contardi all’Adnkronos Salute – non è né buona né cattiva. Può essere uno strumento, purché non sia l’unico. Tutto ciò che aiuta a ricordare che i bambini con la sindrome Down esistono e che sono bambini come gli altri rappresenta un passo avanti. E se la bambola può avere questa utilità ben venga”.
Non deve però nemmeno essere un giocattolo “riservato” solo ai piccoli colpiti dalla sindrome. “Va benissimo – precisa l’esperta – che sia nel cesto di un bimbo Down, insieme ad altre bambole. Così come va bene tra i giocattoli di tutti gli altri bimbi”.
Non bisogna inoltre mitizzarla. “Mi sembra esagerato farne un oggetto indispensabile – conclude Contardi – Piuttosto mi sembra ragionevole usarla per spiegare a tutti i genitori, soprattutto quelli degli altri bambini, chi è un bimbo Down. Come è successo in Spagna quando è stata introdotta, dove l’associazione nostra omologa ha inserito nella confezione un opuscolo ad hoc”.
E fin qui la cronaca di questi giorni.
Ma intanto in Italia, nella scuola pubblica e nella società, cosa succede ai ragazzi diversi?
Forse anche una bambola può aiutare. Anche perché mi sembra che i bambini abbiano una sensibilità notevole nel percepire la diversità. La notano eccome. Forse proprio per il grande istinto di conservazione che hanno sin dalla nascita, riescono a cogliere anche piccole difformità. Mi ricordo un bambino di 5 o 6 anni che disse alla madre di non parlare con me solo perché ho un grosso neo vicino alla bocca. Tanto per fare un esempio banale che però rende bene l’idea. Ma c’è modo e misura nel difendersi dalla diversità, anche per i bambini. Quando la paura impedisce il rapporto, e quindi la conoscenza, quando la diffidenza porta al rifiuto, all’emarginazione, all’esclusione; quando l’estraneo, il diverso è portatore solo di cose brutte, allora no! Allora siamo di fronte ad una situazione patologica in cui gli educatori devono intervenire. A cominciare dai genitori, evidentemente, perché il comportamento del bambino è un chiaro sintomo che denuncia la visione del mondo dell’intera famiglia .
A questo proposito raccolgo la testimonianza di un’amica che è ancora…in Italia:
«Il mio ragazzo down ha oggi 20 anni. La sua patologia di base si chiama Trisomia 21 Libera. E’ quella accidentale, non familiare per intenderci, che però rappresenta il 95% della più generica Sindrome di Down. Mio figlio non è intellettualmente fermo, come un pregiudizio farebbe credere, ma continua la sua evoluzione, la sua crescita di essere umano ad educazione permanente, per dirla alla Erickson. Cioè continua ad imparare e a raffinare i suoi strumenti cognitivi con le sue eccellenze e con i suoi deficit. Sta diventando, è diventato, un giovane adulto che riscuote anche delle simpatie. Nessuno lo batte quando si tratta di percepire il reale stato d’animo di una persona. E s’impegna a lungo per starti vicino e consolarti se hai un dispiacere. Come capisce che è meglio stare alla larga se non ti vede con l’umore giusto. Grazie alla scuola pubblica riesce a leggere e scrivere con una certa disinvoltura, ma con la matematica non c’è niente da fare. Ho imparato ad amare mio figlio crescendo insieme a lui, ho provato a guardare il mondo con il suo sguardo pulito, fiducioso, sorridente. E allora ho cominciato a sorridere con lui. E non è stato facile accettare che io, proprio io, potessi aver generato un figlio imperfetto. A pensarci bene non è facile neanche adesso che lo sto scrivendo. Ma questa è una cosa che riguarda me, un mio limite sul quale forse non finirò mai di lavorare, ma non riguarda mio figlio che mi sembra piuttosto un individuo con una sua compiutezza, con un suo percorso, con una vita interiore interessante fatta di riflessioni, collegamenti, deduzioni e di molto altro. Una persona con un’anima, insomma. Una bellissima anima.
Ma c’è un aspetto del quale vorrei parlare: quello sociale. L’inserimento scolastico della persone disabili è determinante se si pensa ad un inserimento futuro nella società: una scuola pubblica che abbia risorse, competenze, energie fresche e motivate, luoghi e persone in cui e con cui condividere, confrontarsi, scambiare, imparare e crescere; servizi sanitari pubblici che funzionino offrendo loro terapie riabilitative e occasioni frequenti per affrancarsi dai limiti della famiglia e stringere rapporti nuovi, d’amicizia o d’amore, diversi da quelli parentali, per poter permettere anche ai ragazzi down tutta l’autonomia possibile. Ciò andrebbe a costruire esistenze sicuramente più felici, non solo per le persone disabili, ma per la società intera. Una collettività più equilibrata, equa almeno nel sostegno all’handicap, e quindi più giusta per tutti, malgrado la diversità. Ma di tutto questo la Gelmini sembra non averne coscienza. Di tutto ciò la vergognosa, ignobile classe politica italiana se ne frega. Allora il punto non è se noi singoli accettiamo o meno la diversità, perché questa è la vita stessa che la impone, come dire, quasi biologicamente, come una sorta di sperimentazione naturale dell’evoluzione, o come condizione verso la fine della vita. Un po’ come la morte. Sappiamo che esiste e che dobbiamo affrontarla. Ma anche qui c’è morte e morte, come c’è vita e vita. Ognuno dentro di sé si organizza a seconda delle proprie risorse economiche, intellettuali e spirituali, dei propri fantasmi e delle proprie paure. Il punto grave è che in Italia non c’è più una risposta sociale ai problemi e ai bisogni primari degli esseri umani. Non c’è un progetto politico che accompagni e sostenga lo stare insieme in questa vita e come farlo nel migliore dei modi. Non c’è tessuto connettivo economico, non c’è trama culturale che dia un feed-back alle famiglie con persone disabili. Ma neanche ai giovani “normali”, neanche agli anziani, resi catatonici dalla televisione dei pacchi. Neanche ai 40/50enni che vengono licenziati buttando nell’immondizia persone, famiglie, professionalità, cultura ed esperienza insieme alle rate del mutuo. Questo paese, l’Italia, non ha più contenitori né strumenti culturali in grado di accogliere la dimensione alta di bellezza e di poesia, che c’è nella diversità. Eppure bellezza e poesia sono le sole cose che restituiscono un senso alle nostre esistenze, che danno un valore profondo al nostro accompagnarci l’un l’altro in questa vita, in cui i momenti di dolore e di sofferenza sono tanti.
E’ tutto questo che ci stanno togliendo. La bellezza e la poesia.
E’ tutto questo!!!
Derubano risorse alla scuola e alla sanità pubblica, demandando tutto al privato, che continua a lucrare sia nell’uno che nell’altro ambito, con costi altissimi e risultati pessimi. Presidi, pardon! dirigenti scolastici che pressano acriticamente le famiglie per il contributo “volontario” all’atto dell’iscrizione scolastica (pubblica, laica, gratuita, recita la Costituzione italiana), professori che invitano a pagare quel tal progetto o quel tal viaggio, lasciando tranquillamente a casa chi non ha i soldi per pagarselo, senza un dubbio. un tentennamento, un moto della coscienza o un sussulto dell’anima.
Medici o direttori sanitari pronti a sbattere fuori il disabile o l’anziano malato come se la malattia avesse una scadenza oltre la quale scatta la tariffa come da prezzario. Se puoi o non puoi sono affari tuoi. Se ce la fai o non ce la fai a studiare. Se vivi se muori, Sono affari tuoi.
Sei fuori. Kaputt machen!!!
E’ questo il paese cattolico dove si difendono i crocefissi, il diritto alla vita, il sacro vincolo familiare. E’ questo il paese del partito dell’amore, vero? »
Stefania Di Lino

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