Buon pomeriggio, sto ricevendo molte lettere, intorno a Neha. la sua solleva una questione che mi tocca nel profondo. ho tre figli grandi ormai, ma per principio quando erano a scuola sono sempre andata pochissimo a parlare con gli insegnanti: ritengo che se un genitore conosce il proprio figlio (cosa che è un dovere, non un diritto), non ha bisogno di ascoltare da altri notizie su di lui/lei. questa è la mia idea di genitorialità: la conoscenza di causa è la base di tutto. se conosci tuo figlio gli leggi nello sguardo, nei gesti, nelle parole, quello che è e di che cosa ha bisogno. ma so anche, per esperienza di vita e sentimento, che i bambini hanno qualcosa di ignoto a noi. un po' come da neonati, quando piangono e non sappiamo decifrare se hanno fame, sete, voglia di calore o di altro. non li conosciamo mai del tutto i bambini, anzi. e proprio la condizione di adulti è secondo me una specie di oblio dell'infanzia – a meno di non essere dei peter pan. per questo resto convinta che i bambini, e persino i nostri figli che dovremmo conoscere meglio di chiunque altro, restano un poco un mistero, per tutti noi. di rado, come nel caso di neha, un mistero terribile. grazie.
Elena Loewenthal
Mia breve replica
Gentile Elena la ringrazio per avermi risposto. Le mie osservazioni mi pare l'abbiano indotta a correggere un po' il tiro. Affermare che i bambini in genere non “li conosciamo mai del tutto” e che i nostri figli “restano un poco un mistero” è altro dall'affermare che “i bambini restano, per noi adulti, un terribile mistero”. L'altro, adulto o bambino che sia, sempre resta “un poco un mistero”, però se facciamo in modo che una persona si apra, si confidi con noi, i veli diventano sempre più trasparenti. Dipende innanzi tutto dal nostro amore, ma non basta se manca intelligenza e sensibilità, e rispetto per l'altro.
Un caro saluto
Renato Pierri