Politica L'impressione è che questa politica finalmente liberata dai propri consolidati “riferimenti ideologici”, più che pragmatica sia caotica, come un linguaggio privo di grammatica e sintassi, e che ben lungi dall'essersi arricchita di una nuova concretezza, sia in realtà minata da una accentuata vuotezza.
Stando alle ultime esternazioni dell'europarlamentare Debora Serrachiani, che ha autorevolmente tuonato di voler mandare i dissidenti “ad attaccare manifesti”, sembrerebbe che la deriva autoritaria della politica, vada crescendo o comunque rivelandosi in una dimensione che fino a non molto tempo fa era ritenuta intollerabile, il male oscuro che sembra minare oggi nel profondo la razionalità politica, e ancor più precisamente, la sfera stessa del “politico”, così come la nostra modernità l'ha concepito.
Modernità, riflettendoci, non posso fare a meno di dubitare che ci si trovi in ambito che si possa definire tale. L'impressione è che questa politica finalmente liberata dai propri consolidati “riferimenti ideologici”, più che pragmatica sia caotica, come un linguaggio privo di grammatica e sintassi, e che ben lungi dall'essersi arricchita di una nuova concretezza, sia in realtà minata da una accentuata vuotezza.
Quello che manca, in modo drammatico, sembrano essere, le soluzioni, il “pensiero”, e ovviamente, i soggetti politici disposti a farsene carico. In questa entropia della mediocrità alla ribalta, è assai difficile sottrarsi alla non piacevole sensazione che questo indifferenziato convergere di programmi e proposte su un repertorio di atteggiamenti condivisi, non derivi, in realtà, dall'approdo a uno stile di risposta razionale alle sfide del tempo, ma da una non dichiarata, o peggio, non dichiarabile impotenza intellettuale, non conoscenza della storia, ma soprattutto da un' obiettiva assenza di risposte possibili, all'interno dell'orizzonte politico contemporaneo, alle questioni vitali del nostro vivere comune. Il che equivale – bisogna ammetterlo – al fallimento della politica in quello che costituisce, in senso proprio, il suo compito qualificante.
In questa rivalutazione del centralismo democratico, che “puzza di naftalina”, vi è tutta la povertà culturale di politici improvvisati e ammaestrati dalle oligarchie che li sostengono in quanto non turbano i loro equilibri delicati e sempre intenti al mantenimento del potere.
Forse qualcuno dovrebbe suggerire alla Serrachiani di fare un corso accelerato di Scienza Politica, così scoprirebbe che esiste una vasta letteratura sulle “teorie dell'ordine e del conflitto”, e questo la indurrebbe (forse) a considerare il fatto che in un partito che si voglia definire “democratico”, le battaglie per i programmi e i valori, nonché per il potere, devono svolgersi in piena libertà e non essere inibiti o peggio soffocati, pur all'interno di regole; perchè sostenere che un partito è fragile se ci sono posizioni dissenzienti al suo interno, equivale a ritenere la lotta politica interna, che deve essere condotta democraticamente, come un elemento negativo e di debolezza, significa giudicare negativamente il conflitto, riesumando le “Teorie dell'ordine” – come se non avessero prodotto già abbastanza danni – sarebbe un modo di agire contrario a quello che si può trovare nel pensiero liberale, nella grande tradizione (come Bobbio insegna) del liberalismo di Kant, John Stuart Mill, Luigi Einaudi e tutti coloro che hanno sempre visto nel conflitto un fondamentale fattore di miglioramento. Non si può in democrazia prescindere dalla “lotta” in tutte le sue forme: economica sotto forma di concorrenza, ideologica all'interno del dibattito delle idee, politica in forma di contrasto di parti all'interno di uno stato, o di un partito; poiché il conflitto è necessario a rendere il partito più competitivo e autocorrettivo, così come necessaria è la capacità di resilienza che serve ad arrestarne l' altrimenti inevitabile declino.
Ci dovrebbe riflettere la Serrachiani, che non ha minimamente scandalizzato alcuno con la sua affermazione “antidemocratica”; non posso fare a meno di domandarmi cosa sarebbe successo se una cosa del genere fosse stata detta da qualche sostenitore di Bersani!
La cosa certa è, che né il Pd, né la politica Italiana in generale soffrono di un eccesso democratico; non direi proprio che ci siamo liberati dalla società ideologica, che vedeva tutto in funzione di contrapposizioni politiche, bensì siamo entrati in una società che non è affatto migliore della precedente, in cui ci sono altre forme di intolleranza e di noncuranza degli altri; forse in questo senso sarebbe utile recuperare il senso dei valori, nonostante le ideologie del passato.