OBAMA E L’AFGHANISTAN, SCELTE DIFFICILI DI UN PRESIDENTE RISOLUTO E DETERMINATO

Barack Obama, durante la sua campagna elettorale, l'ha sempre chiamata la guerra necessaria, anche per il nuovo Presidente degli Stati Uniti (all'epoca Senatore) la missione in Afghanistan era giustificata dall'attacco alle torri gemelle del 9 settembre 2001.
Come promesso durante i mesi precedenti la sua elezione, Obama, ha sempre dato priorità al problema Afghanistan piuttosto che all'altra guerra ereditata dall'amministrazione Bush.
Se in febbraio affermava di volere riportare i suoi ragazzi a casa dall'Iraq entro la metà del 2010, nel mese di marzo, inizio' la riformulazione della strategia relativa al teatro di guerra afgano: 17.000 soldati furono subito inviati sul territorio e in giugno fu designato comandante delle forze americane e della missione ISAF il Generale Stanley McChrystal (meglio conosciuto in ambito militare come M4) al posto di McKiernan, credendo che l'esperienza nella gestione delle forze speciale di McChrystal avrebbero facilitato l'uso di tattiche di counter-insurgency.

La situazione
Tuttavia durante l'estate le cose sono iniziate a peggiorare drammaticamente e velocemente.
Le operazioni militari lanciate in luglio per assicurare lo svolgimento regolare delle elezioni politiche sono costate 79 vite di soldati occidentali, ma le carenze di uomini e risorse sono trapelate sopratutto da un rapporto del Generale McChrystal, finito per sbaglio sulle pagine del Washington Post, provocando un terremoto politico nella capitale americana.
Nel rapporto si legge che la situazione in Afghanistan è sempre più drammatica, che il successo dell'operazione è sempre più incerto e che le risorse e gli uomini sono totalmente insufficienti.
Lo stesso Generale, fin da settembre, aveva chiesto l'invio di 40.000 nuove unità, unico modo, secondo McChrystal per vincere la guerra.
Barack Obama ha ufficializzato il dispiegamento di 30.000 nuovi soldati, nei prossimi sei mesi, il 1 Dicembre a West Point in un discorso di poco più di mezzora.
Questa scelta porterà le forze americane sul territorio afgano a 100.000 unità complessive (più 40.000 soldati dei paesi alleati), i rinforzi verranno inviati principalmente nelle regioni dove la resistenza Talebana resta più alta ed al confine con il Pakistan.
Il presidente degli Stati Uniti non ha mai sottovalutato le decisioni concernenti la strategia necessaria per portare a termine la missione in Afghanistan.
Dall'estate scorsa vi sono stati innumerevoli incontri tra lui e membri del suo gabinetto, esperti e militari, dal 13 settembre ad oggi il Presidente si è intrattenuto per ben 10 volte nella “Situation Room”.
Questo periodo è stato tuttavia segnato da avvenimenti che hanno contribuito alla decisione finale: i brogli elettorali delle prime elezioni che hanno visto vittorioso Karzai, il rapporto (menzionato precedentemente) del Generale McChrystal, il numero sempre più alto di militari americani ed alleati morti sul teatro di battaglia e la perdita del controllo di avamposti sicuri fino a qualche mese fa (se la strada da Kabul a Kandahar era più o meno sicura nel 2005 sarebbe oggi un suicidio percorrerla).

Il suo staff diviso
I media di tutto il mondo si chiedevano da settimane quale dei suoi generali e consiglieri Barack Obama avrebbe alla fine ascoltato, tuttavia già in settembre il Presidente aveva fatto capire che la scelta sulle mosse da compiere sarebbe stata lunga e difficile, ma la propensione ad un invio di nuove unità era nell'aria dalla fine di novembre.
L'opzione di McChrystal concernente l'aumento di truppe ha trovato l'appoggio del Segretario di Stato Hillary Clinton e del segretario della difesa Robert Gates.

Non tutti i consiglieri e generali del Presidente appoggiavano questa linea.
Sono interessanti, per esempio, le considerazioni di Karl Eikenberry, prima ufficiale sul teatro di guerra afgano, ed ora ambasciatore americano a Kabul. Eikenberry ha, in diverse occasioni, suggerito di ritardare l'invio di nuove truppe fino al momento in cui, il Presidente Hamid Karzai, non avesse iniziato seriamente a combattere la corruzione e la cattiva amministrazione che sta travolgendo il paese (l'Afghanistan è il secondo stato più corrotto al mondo dopo la Somalia).
Come suggerisce un articolo del The Economist, non si conoscono le vere ragioni del pensiero dell'Ambasciatore americano. Eikenberry é incerto sull'affidabilità di Karzai e sulla sua volontà di estirpare la corruzione e quindi vuole in questo modo aumentare le pressioni su di lui? Oppure il militare americano percepisce che la guerra non si possa più vincere?
Comunque stiano le cose sappiamo che Eikenberry non è il solo che si sia opposto all'invio di nuovi soldati.
L'estate scorsa il Vice Presidente americano Joe Biden non faceva segreto di appoggiare un'opzione più morbida di quella paventata da McChrystal, ovvero concentrarsi su una guerra basata su attacchi mirati, condotti con armi tecnologicamente sofisticate e forze speciali. Biden ha sottolineato, sempre in maniera molto discreta, di non capire la logica dello spendere 30 volte più in Afghanistan che in Pakistan per una guerra contro il terrorismo, quando Al-Qaeda è presente anche nel paese limitrofo e dove per giunta sta cercando di rovesciare un governo che possiede la Bomba atomica.
Contro l'aumento delle truppe si era schierato anche il capo di gabinetto Rahm Emanuel pensando che tale mossa avrebbe avuto influenze molto negative sulla rielezione del presidente americano nel 2012.
Binden e McChrystal arrivarono ai ferri corti tra ottobre e novembre, il Generale sembro' addirittura peccare di insubordinazione e di tentare forzare la mano a Obama durante le sue pubbliche esternazioni sui suoi dubbi in merito alle idee di Biden.
Ma controversie profonde vi furono (e ci sono) anche all'interno dello stesso Partito Democratico americano dove solo il 36% dei membri é favorevole ad un aumento di truppe. La preoccupazione principale dei democratici è che una guerra cosi' costosa (250.000 dollari all'anno per ogni singolo soldato) e impopolare possa danneggiare le riforme previste in materia di politica interna.

La scelta
Nella scelta di aumentare le truppe, adottata dal Presidente Obama, si puo' scorgere una sorta di strategia già utilizzato in Iraq, l'incremento di unità voluto dal Presidente precedente G.W. Bush, ma opposto fermamente dal Senatore Obama nel 2007.
Tuttavia ci sono alcune significative differenze ed é evidente che alcuni errori commessi in Iraq siano stati corretti.
Innanzitutto in questo caso è prevista una data per la fine della missione (probabilmente metà 2011, giusto in tempo per la campagna per la rielezione), un particolare molto importante perché segna un impegno molto rischioso e una scommessa politica esplicita per Obama.
L'invio di nuovi soldati è accompagnato da un nuovo metodo nella formazione e addestramento di forze armate locali e non solo dell'esercito nazionale (come in Iraq), le forze di sicurezza locali avranno l'autorizzazione di combattere le milizie talebane all'interno delle loro comunità.
La centralità della missione resta quella delineata dal Presidente lo scorso marzo, sradicare Al-Qaeda. Interessante è la nuova presa di coscienza del problema talebani in senso stretto, certamente persiste la volontà di indebolirli e di deteriorare le loro forze, ma adesso é più chiaro che essi non possono essere debellati completamente dal Paese.
Anche la questione del nuovo stato afgano rimane fumosa.
Se il Presidente Bush aveva sempre parlato di democratizzare l'Afghanistan, una visione più realistica della situazione, si incentra ora su una lotta alla corruzione e un monitoraggio del governo centrale.
Come è stato spiegato da funzionari del governo americano, i soldi saranno convogliati verso i ministeri più meritevoli ed alle autorità locali che si mostreranno più virtuose piuttosto che al governo centrale.
La carta bianca che aveva Karzai sotto Bush é scaduta, Obama, nel suo discorso del primo dicembre, ha espresso in maniera chiara che gli americani vogliono vedere risultati concreti da parte del governo centrale afgano.

Cosa dice la storia
L'assennatezza del Presidente americano e il tempo impiegato per arrivare ad una decisione, hanno fatto scomparire i timori di vedere la politica estera ricatapultata negli anni '50, ai tempi della sottile sfida tra Douglas MacArthur ed Harry Truman sulla questione della guerra in Corea.
L'assecondamento alle richieste di McChystal ha piuttosto il sapore del supporto che Roosvelt diede ad Eisenhower, mentre pianificava lo sbarco in Normandia, ovvero l'uomo sul teatro di guerra che meglio comprende le necessità.
Volendo proseguire con le analogie, è chiaro che il rischio che Obama finisca come Lyndon Johnson esiste, un Presidente che, a causa della sua escalation in Vietnam, rovino' la strada verso profonde riforme progressiste all'interno del suo paese.
Fino adesso le proteste alla guerra in Afghanistan sono state contenute, tuttavia i dissensi iniziano a montare all'interno della società americana.
Barack Obama, nonostante abbia visto la sua immagine scalfita negli ultimi mesi da diversi fattori, esce da West Point in maniera degna.
La sua abilità sta nell'essere riuscito ad accontentare chi chiedeva più truppe ed una politica estera forte, ma allo stesso tempo anche chi propendeva per un'exit strategy, fissando delle date per il rientro in patria.
Il lungo ritardo sulle decisioni da prendere in Afghanistan mostra la volontà del Presidente di continuare a gestire la politica internazionale americana di persona, con il rischio di non riuscire a portare a termine tutti gli obbiettivi prefissati, soprattutto con un'agenda internazionale cosi' intensa e piena di temi caldi.
Sicuramente una cosa è certa: Barack Obama è riuscito a evitare fiaschi internazionali eclatanti durante il primo anno da Presidente progressista, come invece accadde per J.F. Kennedy con la Baia dei Porci e a Bill Clinton in Somalia, ed è già un risultato importante.

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