Donne e uomini del volontariato CRI
Qualche settimana di servizio volontario presso il Campo Base della CRI all'ex Italtel sono una insostituibile esperienza di vita della città in questo drammatico periodo del dopo terremoto,e certamente materia di scrittura per la sua documentazione storica. Da notare che le mie osservazioni sono relative solo all'esperienza personale del campo base, non sono in grado di prendere in considerazione le tante altre attività ed iniziative CRI nel territorio aquilano.
E' noto che il disastroso terremoto dell'Aquila e del suo circondario fatto di paesini antichi ricchi di vita ha provocato una ondata di solidarietà di una intensità senza precedenti. Solidarietà espressa da interminabili file di TIR che prima portavano soccorsi per la popolazione improvvisamente sbattuta fuori casa, ed oggi materiali per la costruzione delle case che crescono come funghi, in tempi velocissimi per accogliere una parte degli sventurati senza tetto.
Oggi la Croce Rossa Italiana esprime la solidarietà anche con la distribuzione di beni di prima necessità, un grosso lavoro, mandato avanti da uomini e donne di tutta Italia che si avvicendano per periodi di volontariato, sottratti al lavoro o alle ferie. Sono tantissimi, giovani e meno giovani, provengono da tutta Italia, dal nord e dal sud, e costituiscono una comunità di gente che pratica la solidarietà in maniera concreta rinunciando al conforto domestico, al buon cibo di casa preparato da madri e mogli, alla doccia quotidiana fatta in ambienti alla temperatura giusta, ai sonni in un vero letto morbido di lenzuola e coperte familiari, per dormire in brandine messe dentro tende riscaldate sì, ma che non sono la casa propria. Da notare che ci sono 12 posti letto per ogni tenda, nel periodo peggiore del dopo sisma a primavera tutti occupati. La pratica concreta della solidarietà supera le divisioni di campanile, le secessioni per motivi di tasse, dialetti e quant'altro è emerso in tempi recenti a minare le fondamenta dell'unità d'Italia.
E' una folla di gente proveniente da tutte le regioni d'Italia, a tutti va il mio più sentito grazie di cuore. Qualche tipo singolare emerge nelle caotiche memorie di cose e persone. Es.: un tipo del nord in divisa del corpo militare CRI che, durante una pausa pomeridiana, si lanciò in una vibrante tirata contro l'unità d'Italia, secondo lui responsabile dei ritardi di crescita della sua amata città veneta per le pecche mortali di Roma ladrona. Confondeva nel calore dell'argomentazione la parola secessione con successione, sordo ai suggerimenti dell' uso corretto della parola, evidentemente troppo difficile per lui. Nello stesso tempo prestava servizio un tipo alto e grosso, che lavorava sodo e spostava pesi enormi con grande disinvoltura, assolutamente muto, in silenzio. Scoprimmo la provenienza, del nord anche lui, quando lesse alcune preghiere per i caduti italiani in Afghanistan. Al momento del saluto lo ringraziai per il servizio reso alla città, ma soprattutto per il suo silenzio, quanto mai opportuno in ambienti dove si lavora fra sconosciuti di diversa provenienza.
Fra le donne, tante di tutte le età e di tutte le regioni, cito in modo particolare le simpaticissime le ragazze del sud, colte, operose, indipendenti ed emancipate dalle famiglie, spinte a L'Aquila da un autentico bisogno di sentirsi utili fuori casa. Spicca fra tutte quelle che avvicino per il mio lavoro una volontaria di Frosinone, dotata di un'energia e volontà costanti, fortissime, di una voce sonora che usa per orientare il lavoro, all'opera nella CRI da venticinque anni, in servizio in tutti i luoghi dove c'è bisogno di aiuto, in Italia ed all'estero, con entusiasmo, passione, dedizioni totali ed una non comune umiltà.
Anche il gruppo CRI de L'Aquila ha fornito energie e risorse umane di grande rilievo, es. la capitana di ferro capace di mettere in riga tanta gente, la giovane ed energica volontaria che con talento, precisione e professionalità collega il personale CRI nazionale a quello locale, e le dirigenti che governano il tutto con esperienza e saggezza.
Al di là delle divisioni di accenti e dialetti, noto un forte elemento unificante, quello che un tempo si chiamava linguaggio da caserma, cioè ristretto ad uomini giovani per un breve periodo di vita, linguaggio che cita in continuazione, ogni due o tre parole di altro significato, parti intime del corpo umano maschile e femminile. Oggi lo usano tranquillamente tutti, uomini e donne giovani e meno giovani, qualcuno ogni tanto mi chiede scusa per le licenze verbali, evidentemente mi vedono come una aliena proveniente da altre epoche ed altri mondi, sorrido e rispondo che dopo tutto quel modo di esprimersi può essere anche divertente, se usato con parsimonia. C'è da chiedersi però quante belle parole della lingua italiana si siano perdute, impoverendo un patrimonio culturale di significati vasto e bellissimo.
La solidarietà sarda: “Sa Paradura”
“Che significa l'espressione “Sa paradura”? ho chiesto ad un uomo appartenente al gruppo dei sardi che ha accompagnato a L'Aquila un bel gregge di pecore dalla provincia di Nuoro, venerdì mattina 20 novembre, chiacchierando sul prato antistante l'ex Italtel, mentre le pecore brucavano beate al mite sole autunnale.
E lui ha spiegato:“Secondo un antico costume della nostra zona (provincia di Nuoro), quando un allevatore cade in disgrazia e perde il proprio gregge, i pastori del circondario lo aiutano a rincominciare a vivere, ciascuno offrendo una pecora, per rimettere in piedi l'azienda del malcapitato. Cadere in disgrazia può significare essere derubati, subire un incendio, andare in prigione, etc. La tradizione era più viva fino a 20-25 anni fa, oggi ci teniamo ad esportarla perché è una cosa buona, le cose buone si esportano, è giusto che siano conosciute.”
“Credo che noi non avremmo pensato una cosa simile.” ho replicato pensosa.
“Sì, c'è sempre qualcosa da imparare nella vita.” ha aggiunto lui con orgoglio.
Era uno del gruppo sardo che ha accompagnato a L'Aquila un ricco gregge di 400 pecore (il primo gruppo di mille che arriveranno in seguito), completo di agnellini nati da poche ore e di caprette, tutti oggetto di particolari attenzioni da parte di fotografi ed operatori TV, ed anche di tanti passanti che forse per la prima volta hanno visto un gregge così da vicino.
Dunque “Sa paradura”, la solidarietà dei pastori sardi per i colleghi abruzzesi che hanno avuto una disgrazia. Donare una pecora è un'azione importante per chi la fa, significa donare una fetta del proprio capitale. Riceverla significa ricominciare a vivere con dignità, in modo autonomo del frutto del proprio lavoro.
Questa bella e nobile iniziativa è stata sostenuta dalla Regione Sardegna, dalla Amministrazione provinciale di Nuoro, dalle Agenzie Regionali per la Ricerca e lo Sviluppo in agricoltura, dall'Associazione Culturale ISTENTALES, e dall'Associazione Sardi d' Abruzzo SHARDANA .
Le Coldiretti d'Abruzzo e quella di Nuoro – Ogliastra hanno contribuito alla buona riuscita della non facile operazione di trasporto in traghetto e consegna del bestiame. La Coldiretti d'Abruzzo in quest'occasione ha comunicato che il sisma ha provocato danni per 100 milioni di euro, ha danneggiato oltre 400 aziende agricole, soprattutto quelle impegnate nell'allevamento del bestiame per il crollo di strutture di ricovero per gli animali e la morte di molti. Da notare che il testo della Coldiretti parla esplicitamente di conseguenze “psicologiche” prodotte dal sisma nelle greggi, manifestatesi con minore produttività, poiché molti, spaventati hanno ridotto la produzione di latte. Inoltre c'è stato un aumento di casi di aborto, fenomeno che si manifesta in casi simili. Il dono del bel gregge è destinato a ricostituire alcuni allevamenti abruzzesi danneggiati.
Esprimo una profonda gratitudine ai pastori sardi ed a tutti quelli che hanno operato per la buona riuscita dell'operazione a nome mio personale e di tutti gli abruzzesi della montagna, è un'azione bellissima, questa, fatta da gente austera, operosa, di grande cuore ed antiche tradizioni.
emedoro@gmail.com
L'Aquila/Giulianova, 20 novembre 2009.