La nostra indifferenza verso i rifugiati

di Andrea Onori

Roger chiede aiuto, lo chiede a tutti noi, ma nessuno risponde. Siamo indifferenti a tutto, anche se ci dice chiaramente che, se dovesse tornare in Congo, rischia di essere ammazzato. Mi ha raccontato la sua storia agghiacciante, le sue paure e le sue delusioni di vedersi negato il permesso di soggiorno “ingiustamente”. Le commissioni centrali quando ascoltano le storie forse sono troppo fredde, di ghiaccio, per capire cos’è il valore di un essere umano e restano indifferenti alle storie drammatiche di molti migranti che scappano dalle persecuzioni. Roger è un semplice ragazzo di 27 anni, nato il 02 .07.1982 a Kinshasa, la capitale e la maggiore città (7.500.000 abitanti) della Repubblica Democratica del Congo. Fu fondata da Henry Morton Stanley nel 1881 con il nome di Léopoldville, in onore del sovrano belga Leopoldo II. Prima dell’indipendenza, Léopoldville era costituita da due parti distinte, la città degli europei e quella africana chiamata Quartier Indigène. I residenti, necessitavano di un permesso speciale per entrare nelle diverse parti della città dopo le ore 21.00. Nel 1965 Léopoldville venne rinominata Kinshasa, nome di un piccolo villaggio che si trovava nei pressi della città. Nel ricordo che gli europei occuparono il suo territorio, ora, Roger è a Torino per chiedere aiuto ad un paese europeo, all’Italia. Ma il nostro paese resta sordo, Roger ha trovato le porte chiuse e non sa dove aggrapparsi per sfuggire alla morte. Con una lettera lunga ed emozionante mi ha raccontato i suoi problemi e le sue paure, dell’adolescenza nella Repubblica Democratica del Congo e della giovinezza in Italia. Roger nel suo paese era un musicista e cantante: “dopo che è uscito il mio primo album, intitolato ”perché tante sofferenza al popolo congolese”, ha iniziato ad avere seri problemi con le autorità. Nelle sue canzoni esorta il suo popolo ad alzare la testa ed a camminare lungo la via della libertà “perché nel mio paese non c’è la democrazia”. Da allora arrivarono i primi avvertimenti e “ dopo un paio di giorno la polizia segreta del governo mi cercava. Un giorno, a mezzanotte, una pattuglia dell’ esercito faceva irruzione nella mia abitazione, assassinandone il mio fratello di anni 18. Si chiamava Binda kafuti. Io riuscivo a fuggire e mi nascosi presso l’abitazione di mio zio wantara engi.” Roger riesce a fuggire dal suo paese temendo per la propria incolumità personale. “Ho lasciato in Congo la mia moglie e due figli. Sono nascosti, vivono nelle paura, senza nessun sostegno”dice Roger. E’ venuto in Italia e, come da prassi, ha presentato l’istanza per il riconoscimento dello status di rifugiato alla commissione territoriale di Milano, ma dalle autorità, il 31.10.2006, c’è stato il diniego senza se e senza ma, non hanno creduto alla sua storia: “davanti alla commissione territoriale ho dichiarato che un mio eventuale rientro in patria avrebbe potuto comportare il mio assassinio”dichiara Roger. Roger è una persona molto intraprendente: ha frequentato corsi di formazione linguistica all’ufficio migranti di Torino, ha svolto uno stage attraverso l’ufficio stranieri ed ha iniziato un tirocinio formativo presso un’azienda dove aveva ottime possibilità di essere assunto, ma purtroppo, il diniego della commissione territoriale di Milano, gli ha spaccato le gambe: “mi ha fatto saltare ogni mio progetto di autonomia. Avevo un lavoro e l’ho perso, avevo un futuro e ora solo un abisso senza speranza”. Il 23.02.2007 Roger presentava il ricorso straordinario e grazie all’articolo 17 della legge 303 del 2004, il richiedente asilo che ha presentato ricorso al tribunale può chiedere al prefetto, di essere autorizzato, a permanere sul territorio nazionale fino alla data di decisione del ricorso. Ma in Italia la sua vita è fatta solo di lunghe attese. Spesso la decisione del giudice arriva anche dopo due anni, ed è tantissimo. Roger attende da quasi tre anni. Questi rallentamenti e comportamenti assurdi da parte delle autorità, sono fatti proprio per scoraggiare l’immigrato che attende con ansia il riconoscimento dello status di rifugiato. E’ un inferno, è snervante, lo demolisce moralmente e fisicamente. Vive in solitudine nell’attesa che questa agonia finisce: “si vive molto male sperando sempre che qualcuno deve aiutarti” mi ha riferito Roger. Le condizioni di precarietà caratterizzano la sua vita quotidiana, deve vivere con l’incertezza del diritto al soggiorno in Italia e alla possibilità di essere rimpatriato e rischiare seriamente la sua vita. In queste situazioni è molto alto il rischio di incorrere in rimpatrio coatto e, una volta raggiunta la sentenza definitiva, può essere espulso e può vedere violato il suo diritto a restare in base al principio del “non refoulement”. Nella sua lunghissima lettera Roger concludeva dicendomi che: “Per avere il permesso di soggiorno non so più cosa devo fare, per favore, non c’è la faccio più, aiutami. Tutti mi dicono che devo aspettare, ma fino a quando?”. Queste sono le politiche migratorie italiane, questi sono i tempi di attesa, questa è la realtà che molti migranti devono subire.(Laici.it)

(articolo tratto dal web magazine www.periodicoitaliano.info)

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