Si è svolta sabato 7 e domenica 8 novembre a Genova presso il Palazzo Ducale l'assemblea annuale di Libertà e Giustizia, con la presenza di Gustavo Zagrebelsky (presidente onorario), Paul Ginsborg, Salvatore Veca (presidenti della scuola di formazione politica), e Sandra Bonsanti Presidente; erano inoltre presenti tutti i circoli territoriali delle varie regioni italiane.
Libertà e Guistizia fa parte di AperTo (associazioni per Torino), con l' Associazione radicale Adelaide Aglietta, Libertà Eguale.
Il tema delle due giornate di sabato e domenica era: “Fare Democrazia”, la presidente ha presentato la seguente relazione:
“Siamo venuti qui per scegliere la strada da percorrere nei prossimi tempi, viste le irruenti emergenze non sempre è facile giudicarne la gravità e le possibili conseguenze. Conosciamo un presente inquietante ed è in questo tempo che Libertà e Giustizia cerca il suo ruolo, il suo orizzonte, perchè sentiamo che il momento delle parole, della volontà di impegnarsi domani, delle frasi fatte è esaurito. La società civile se vuole essere, deve fare, deve esserci, i questo tempo drammatico per la nostra democrazia. Come dice Zagrebelsky, siamo difronte ad un “processo di progressiva distruzione delle istituzioni”, è a rischio la tenuta dello Stato e dell' unità del nostro paese. Dunque il destino della Repubblica è nelle nostre mani. A ciascuno di noi è affidato un pezzo di libertà, di giustizia, di diritti civili. A ciascuno gli articoli della prima e della seconda parte della Costituzione.
Ho sempre pensato che nel 1947 quando i costituenti scrivevano il il secondo comma dell' articolo 4
(quello che nel primo prevede che la Repubblica riconosce a tutti il diritto al lavoro), avessero in mente noi, i cittadini della società civile. “ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un' attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Ma quanto spesso ci ricordiamo di queste parole semplici e definitive? Perchè questo articolo è citato sempre soltanto nella prima parte?
Parlare di regole e doveri, oggi, senza renderli vivi, senza dare loro una voce di credibilità e passione, rischia di trasformarsi in un esercizio retorico. Ma è da questo dovere, che ha in sé l'energia rivoluzionaria di Mazzini, che possiamo ripartire.
Nel febbraio scorso era già tutto chiaro, e il manifesto scritto dal nostro presidente onorario e fatto proprio da più di 200.000 italiani, denunciava l'allarme: “non vedere è non voler vedere. Non conosciamo gli esiti, ma avvertiamo che la democrazia è in bilico”. Un grido che avrebbe dovuto squarciare davvero l'assopita opposizione politica, oltre che svegliare le coscienze dormienti e far sentire meno soli tanti cittadini disorientati e delusi, i quali hanno risposto, riempiendo le sale e i circoli di tutta Italia dove presentavamo il manifesto. I politici non hanno sentito: per mesi e mesi hanno continuato a crogiolarsi nei bizantinismi della costruzione di un partito, un congresso infinito che ha convinto Berlusconi che nel frattempo in quel grande vuoto di idee e di politica, poteva fare e dire di tutto, e di tutto ha fatto e detto, facendo del nostro Paese un caso internazionale, studiato in tutto il mondo, studiato come una peste contagiosa, da tenere alla larga per non rimanerne infettati. Il sogno di onnipotenza del cavaliere si è abbattuto su tutte le istituzioni di controllo.
Già nel manifesto erano elencate alcune aree di impegno per noi: Costituzione, legalità, rinnovamento della classe dirigente, laicità senza aggettivi, promozione del pensiero critico. Temi immensi, ma non troppo per una associazione come la nostra che, quando nacque, nel 2002 aveva come missione soprattutto il fine di creare un anello di raccordo fra la società civile e i partiti.
E' stata questa la nostra missione: Critici della politica, ma non contro la politica.
Impietosi spesso nei confronti dei partiti di opposizione, ma sempre attenti a incalzarli per farli esser diversi e non a picconarli per farne a meno o sostituirsi ad essi. E' la assoluta autonomia di LeG da qualunque lobby politica o economica, il patrimonio dei soci vecchi e nuovi. Una delle poche associazioni di cultura politica che non sia legata, come tante a fondazioni sorte negli ultimi tempi, a correnti politiche, a un politico, a un parlamentare.
LeG per crescere in questa fase storica deve aprirsi, scrollarsi di dosso quella fama di elitarismo che noi riteniamo falsa, ma che dobbiamo cancellare anche nell'immagine esterna.
Cosa fare di concreto oltre a quello che già abbiamo fatto, organizzare circoli, incontri, dibattiti, prese di posizione, presidi, manifesti, raccolte firme, scuole di politica ecc, su quali temi concentrarci, dal momento che tutto traballa, Berlusconi dopo 15 anni è ancora lì, pronto a sferrare l'ultimo attacco alla magistratura, alla libertà di stampa, al Parlamento, alla Corte Costituzionale, al quirinale? In questo momento le priorità assolute sono:
-disarmare le lobby (sisciplinando la libertà di associazione);
-Rompere l'oligarchia di partiti e sindacati con leggi che ne disciplinino la democrazia interna
-Dare voce alle minoranze
-Garantire l'equità dei concorsi
-Neutralizzare i conflitti di interesse
-Favorire il ricambio della classe dirigente
-Impedire il governo degli inetti e promuovere il controllo democratico introducendo la revoca degli
eletti (il recall o sfiducia).
Non possiamo delegare ad altri il compito di coltivare i diritti e la Costituzione, la libertà e la Giustizia, dobbiamo saper stare in piazza, fare comunicati e appelli, mobilitare, protestare, chiamare i parlamentare, fare proposte di legge e raccogliere firme. Fare democrazia è fatica, è un lavoro, non basta solo una firma o un appello a fare partecipazione. La nostra mobilitazione per il rafforzamento degli organismi di controllo debba essere assoluta, se è vero che rischiamo la fine del costituzionalismo a favore di un populismo strisciante e contagioso. Dobbiamo lavorare per la separazione della politica dalla gestione delle risorse pubbliche, pretendere che le cariche elettive siano legate al territorio di residenza e che i partiti siano davvero rifondati a partire dal territorio. Dobbiamo esigere che la “questione morale” significhi almeno due cose:
-Predisposizione di meccanismi adeguati alla selezione del personale dei partiti e al controllo del loro apparato (Carlo Federico Grosso).
-Che non si aspettino tre gradi di giudizio: chi è condannato in primo grado è ancora innocente, ma non deve fare politica. Si tratta, di fissare un livello di responsabilità politica che viente prima della responsabilità giudiziaria.
Dobbiamo insistere per moltiplicare le scuole di buona politica, perchè un giorno Berlusconi non governerà più, ma le macerie lasciate da lui e da chi non ha saputo o voluto contrastarlo con la fermezza della ragione, resteranno attorno e dentro di noi a lungo. Finita la guerra, fu immediato l'inizio della ricostruzione, del ritorno alla vita. Ma qui avremo alle nostre spalle non atti di eroismo, ma una melma, palude, indifferenza, individualismo e opportunismo.
Elenchiamo i cinque no di LeG alla riforma del processo “breve”:
1. Il processo breve è una legge ad personam la riforma è sostanzialmente un colpo di spugna su due processi che vedono coinvolto il Cavaliere: il processo Mediaset per frode fiscale sui diritti televisivi (che con le nuove norme decade a fine novembre) e il processo Mills per corruzione in atti giudiziari (che a “riforma” approvata decade nel marzo 2010).
2. E' una mannaia che non distingue la gravità dei reati
Secondo quanto è emerso finora, dovrebbero usufruire del processo breve quelli che riguardano reati puniti con la reclusione non superiore ai dieci anni (fatti salvi quelli che concernono mafia, terrorismo o, comunque, fatti di particolare allarme sociale). Sotto ai dieci anni, ma senza distinguere tra maggiore o minore gravità dei reati.
3. Non tiene conto della maggiore o minore complessità delle inchieste
In 6 anni si può concludere di sicuro un processo per una guida senza patente, uno scippo, un oltraggio al vigile urbano. I problemi cominciano quando si tratta di processare un incensurato per falso in bilancio o frode fiscale: se servono come quasi sempre accade rogatorie alle isole Cayman e sequestri di documenti in qualche caveau dell’Ossezia, in sei anni si arriva sì e no al primo grado.
4. Riguarda solo gli incensurati i tempi stretti riguarderebbero soltanto gli imputati incensurati. E perché mai? Se la prescrizione processuale non costituisce un premio per gli imputati, ma la risposta ad un’esigenza generale di rapidità processuale, censurati o incensurati la regola dovrebbe essere la stessa.
Soprattutto chi ha già carichi penali alle spalle o chi è agli arresti con una carcerazione preventiva, ha bisogno che il processo sia il più rapido possibile.
5. C'è il rischio concreto che si trasformi in un' aministia
La norma sulla prescrizione breve bloccata da Fini, potrebbe essere ripresentata sotto forma di emendamento al processo breve, come è accaduto altre volte, ed essere approvata dalla maggioranza. Taglierebbe di un quarto la prescrizione rispetto ai tempi attuali con la conseguente cancellazione di moltissimi processi, perché la “prescrizione breve” porterebbe alla decadenza del reato (quindi coprirebbe il Cavaliere anche su eventuali inchieste future).
*Da www. Aprileonline.info