6.000 dialetti ma una lingua nazionale

Nel 2011 ricorre il 150° anniversario dell’unificazione italiana processo storico che comportò l’adozione di una lingua nazionale,oggi forse messa in pericolo con la proposta di una forza politica appartenente all’attuale maggioranza al governo,la Lega Nord,che prevede l’introduzione del dialetto e il suo insegnamento nelle nostre scuole.
Va detto che,nel Belpaese,l’uso del dialetto sta diminuendo, come rileva l’Istat, e per questo motivo si tenta di rivitalizzarlo, come propongono i leghisti, anche attraverso un esame di dialetto in abbinamento a test di cultura locale per gli insegnanti che vogliono svolgere il loro lavoro nel Nord Italia.
E’ indubbio che conoscere i dialetti significa determinare un processo storico e antropologico di una comunità. Essi sono il più autentico legame di appartenenza ad un territorio e contribuiscono alla difesa della nostra cultura.
Da noi non c’è regione o città che non abbia il suo dialetto;da quello di Gizzeria(Calabria) al Tabarkino sardo se ne contano 6.000 difformi uno dall’altro.
Ma cosa sono i dialetti? Sono idiomi locali;varietà di lingue secondo gli studiosi della materia,vere e proprie lingue secondo altri.
Secondo l’Istat l’uso esclusivo del dialetto,in particolar modo nella cerchia familiare,ha subito una flessione significativa nel tempo.
Si è anzi praticamente dimezzato passando dal 32% del 1988 al 16% del 2006. E’ invece aumentato un uso misto di italiano e dialetto e dal 2000 al 2006 si è molto incrementato l’uso esclusivo della lingua italiana,sia in famiglia(45%) che con gli amici(48%),in particolar modo con gli estranei(72%).
Il dialetto continua ad essere utilizzato in famiglia(16%),meno con gli amici(13%) e molto poco con gli estranei(appena il 5%).
L’Istat evidenzia anche che l’uso esclusivo del dialetto cresce con l’incremento dell’età(lo adopera il 32% degli over 65) e il fenomeno riguarda maggiormente coloro che possiedono un titolo di studio basso.
Tra le regioni nelle quali il dialetto resiste figura la Lombardia,dove un abitante su dieci,circa 800.000 persone,parla abitualmente il dialetto in famiglia e dove dal 2000 è aumentato del 4% il numero di coloro che con gli estranei utilizzano pressoché indifferentemente sia la lingua italiana che il dialetto.
Effetto indotto sicuramente dalle iniziative della Lega di Umberto Bossi che nel Nord d’Italia ha impostato una battaglia identitaria sull’uso del dialetto.
L’epicentro,nel caso della Lombardia,è Bergamo dove un abitante su dieci parla esclusivamente il bergamasco.
Ma è la scuola l’ultima frontiera della tutela del dialetto;in una scuola media in provincia di Bergamo, e precisamente a Terno d’Isola,il dialetto lo si insegna da anni.
Altre lezioni in dialetto si svolgono con regolarità in Lombardia e in alcune scuole del Veneto. In una scuola elementare non statale di Treviso,il dialetto è diventato perfino materia di studio obbligatoria e ciò è stato possibile grazie all’autonomia concessa per legge a tutte le scuole e che prevede per ogni corso di studi che il 20% delle ore che costituiscono i curricula possa essere diverso dalle materie istituzionali.
In Friuli hanno provato perfino con una legge regionale a introdurre l’obbligo del dialetto friulano e non solo nelle scuole. Un’ora di friulano la settimana,anche negli uffici pubblici,che avrebbero dovuto stendere gli atti anche in friulano e nei consigli delle istituzioni locali,dove gli interventi avrebbero dovuto essere fatti,oltre che in italiano,anche in friulano.
Insomma il revival dei dialetti.

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