Franco Narducci: “a Marcinelle è nata l’Europa unita”. Commossa partecipazione della comunità  italiana per commemorare i nostri caduti

Oggi nel cinquantatreesimo anniversario della tragedia di Marcinelle, si è celebrata la Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, voluta con forza dall’allora Ministro per gli italiani nel mondo Mirko Tremaglia, e come sempre numerose delegazioni dal Belgio e dall’Italia si sono recate a Marcinelle per rendere onore ai 262 minatori che l’8 agosto del 1956 persero la vita nella miniera di Bois de Caziere, tra i quali 136 italiani e 95 belgi. Una giornata per ricordare i sacrifici e i lutti di quei milioni di italiani che emigrarono per sfuggire alla fame ed alla miseria, alla ricerca di una vita dignitosa e migliore.

Alla presenza del Presidente della Camera dei Deputati, on. Gianfranco Fini, è stato ricordato il vincolo forte con ciò che Marcinelle ha rappresentato per l’Italia: una tragedia di dimensioni immani che ha accomunato milioni d’italiani nel dramma di un lavoro senza garanzie, insicuro e a cui spesso veniva negata la dignità.

In un breve intervento di saluto, l’on. Franco Narducci (vice presidente della III Commissione affari esteri e comunitari) ha toccato alcuni punti dell’intervento depositato tra gli atti della cerimonia, di cui si riporta il testo.

“Siamo qui perché ricordare la storia dell'emigrazione italiana significa aiutare il Paese di oggi ad affrontare con maggiore consapevolezza i problemi del lavoro e dei suoi diritti, dell'accoglienza e dell'integrazione, dei flussi migratori ed i fenomeni nuovi e complessi della globalizzazione.

Di fronte alla tragedia di Marcinelle lo zaino delle parole è stato spesso asciutto e avaro. La memoria, invece, è sempre stata ricca d’immagini e di voci. Voci di tanti amici che amavano la loro terra e i suoi abitanti: di quelli che restarono e di quelli che, obbligati dalla fame, avevano preso la strada del nord per raggiungere il Belgio. E in loro c'era un senso di appartenenza piena a quelle comunità che avevano lasciato, così come c'era condivisione delle sofferenze e delle speranze di tanti lavoratori che nella miniera avevano trovato la via per un lavoro duro, pesantissimo, ma affrontato con la fiducia in un futuro migliore.

“Ma è qui, come ebbe a dire il Presidente Carlo Azeglio Ciampi rendendo visita a questi luoghi, che comincia l’Europa”, perché furono proprio quegli emigrati di casa nostra ad essere i primi costruttori dell’Europa unita. Anzi i primi cittadini europei. “Se oggi c’è un’Europa più unita, disse il Presidente Ciampi, è grazie a quei minatori”. In fin dei conti l’immigrazione, questo fenomeno che tante discussioni provoca nel nostro Paese e che interroga oggi molti Governi dell’Unione, allora non scatenò divisioni accese, ma seppure contrassegnata da tragedie come quella di Marcinelle, rinsaldò il vivere insieme.

L’emigrazione ha contribuito ad avvicinare i popoli e le nazioni, a far sorgere un interesse per l’altro, che diventa prossimo, superando il semplice aspetto economico e di libero mercato ed è necessario un impegno maggiore da parte delle istituzioni sia nazionali che internazionali per arrivare alla definizione di uno statuto giuridico del migrante. Ne abbiamo bisogno soprattutto ora che le società multietniche e multiculturali richiedono un grande sforzo per confrontarci con le nuove istituzioni. Un compito reso più difficile dalla crisi economica, che nessuno si aspettava.

Siamo chiamati, sotto la spinta della globalizzazione, a rispondere a interrogativi nuovi sulla coabitazione tra le culture, sulla povertà e l’interdipendenza per uno sviluppo sostenibile, sul modello di società che vogliamo per il futuro e in questo l’esperienza dell’associazionismo italiano nel mondo può essere preziosa, se opportunamente coinvolto, per ricercare modelli di integrazione capaci di mettere al centro la dignità della persona nella convivialità delle differenze e nella prospettiva della cittadinanza europea.

Credo sia importante ricordare ancora una volta il contributo dato dalle associazioni regionali italiane (molte delle quali aderiscono all’UNAIE) al miglioramento delle condizioni di vita dei propri emigrati, e per alimentare con forza il dialogo e rafforzare la solidarietà, come fecero i minatori di Bois de Caziere uniti nell’abbraccio della morte. Quando l’uomo pensa, pensa per sé, rimane chiuso nella sua intelligenza e fabbrica se stesso, costruisce se stesso ma non costruisce la società. Solo parlando, solo comunicando, solo attraverso il dialogo allora comincia ad avere una proiezione, una prospettiva di intervento nella costruzione della comunità e nella costruzione della società.

Sulla solidarietà, mi vengono in mente le parole pronunciate da Mons. Ovidio Poletto, figlio di emigrati e Vescovo di Pordenone, in una recente omelia in cui, rivolgendosi ai pordenonesi emigrati, ricordava che la solidarietà trova la sua origine nell’essere tutti legati “in solido” dallo stesso legame che ci unisce nell’unico genere umano.

Vorrei sottolineare che ne abbiamo una riprova nel fatto che la solidarietà è uno dei valori sui quali si fonda la Costituzione della Repubblica Italiana, che all’articolo 2 la considera un “dovere inderogabile”. Solidarietà anche verso quei poveri che l’immigrazione di oggi ha portato in mezzo a noi e che ricordano tanto le vicende dei nostri minatori morti nel 1956.

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