Il Pd di Franceschini è a rischio estinzione

Il Popolo della Libertà BRUXELLES

di Peppino Caldarola

Franceschini? Nessuno lÂ’ascolta: dagli immigrati al referendum è rissa su tutto. E a giugno il partito rischia di sparire.
Massimo Cacciari al Giornale: “Siamo ancora fermi a Prodi. Manca una linea e il leader non ha lÂ’autorevolezza per dettarla”

A Franceschini il partito è sfuggito di mano. Siamo già al dopo-voto quando la battaglia per decidere il destino del Pd e la sua leadership conoscerà il suo culmine. Forse il fragile leader del Pd aveva sperato in una tregua più lunga, in un «serrate le file» per racimolare qualche suffragio in più alle europee e alle amministrative. Niente da fare. Il paradosso è che nessuno sembra più interessato a discutere il dopo-Franceschini. Bersani si affanna a girare lÂ’Italia per prepararsi alle primarie. Anna Finocchiaro fa sapere di essere pronta per concorrere alla segreteria. Enrico Letta sta decidendo cosa farà da grande. I quarantenni non vogliono più essere diretti da DÂ’Alema, Fassino e Rutelli. Inutilmente. Il tema non è più questo. La domanda è unÂ’altra: ci sarà un partito dopo il voto di giugno? Una generale crisi di nervi sembra squassare il Pd con una intensità che ricorda gli ultimi mesi di Veltroni.
Il cronista della guerra intestina al Pd rischia di perdersi fra i proclami dei vari contendenti. Ci sono tre candidati sindaci, Del Bono a Bologna, Renzi a Firenze e Zanonato a Padova, che non vogliono farsi ritrarre assieme al simbolo del Pd. Il partito li zavorra e fingono di correre da soli. LÂ’immigrazione, un tempo tema unificante del Pd, ha visto fiorire posizioni diverse e radicalmente contrapposte. Sergio Chiamparino, sindaco di Torino impegnato in una dura contesa con Rifondazione comunista, è stato accusato da Antonello Soro, capogruppo alla Camera, di slealtà verso la segreteria del partito perché ha dichiarato di essere favorevole ai respingimenti in mare degli immigrati. Chiamparino ha risposto per le rime ricordando che la segreteria del partito, di cui fa parte, non si riunisce più da tempo. Per difendere Chiamparino contro la segreteria sono scesi in campo Filippo Penati, presidente della Provincia di Milano ed Enrico Letta.
Appena una settimana fa a Franceschini, sostenuto solo da Livia Turco e Rosy Bindi, che aveva parlato di leggi razziste, avevano risposto a Fassino e Rutelli anchÂ’essi favorevoli ai respingimenti e alla politica di severità verso lÂ’immigrazione clandestina. Una vera Babele.
Anche il referendum sta creando ulteriori tensioni. Il «sì» di Franceschini non convince buona parte del partito e persino il mite vice-presidente del Senato, Vannino Chiti, ha chiesto al segretario di rivedere la sua posizione mentre il guru di Veltroni, il sen. Tonini, si è fatto acceso portavoce dello schieramento referendario.
A Roma il post-veltronismo ha inaugurato la stagione dei lunghi coltelli. Per il consiglio di amministrazione dellÂ’Acea si sono scontrati gli ex popolari, che candidavano il direttore dellÂ’Anci Angelo Rughetti, e i dalemiani, che sostenevano il tesoriere della Fondazione Italianieuropei, Peruzy. Hanno vinto i dalemiani provocando lo sdegno degli ex popolari che ora chiedono la testa del dalemiano Marroni capogruppo del Pd in consiglio comunale. LÂ’ex uomo forte della segreteria Veltroni, Goffredo Bettini, si è schierato con i popolari contro DÂ’Alema. La «questione romana» ha investito, con un anno di anticipo, anche il presidente della regione Marrazzo che il segretario regionale del Pd Morassut si è affrettato a sfiduciare anzitempo sollevando un putiferio.
Il malessere investe ogni piega del Pd. A Napoli i bassoliniani, decimati nelle liste elettorali, non sanno per chi votare e il candidato alla provincia Nicolais comincia a temere di non farcela. Più rumoroso lo scontro a Firenze. Qui siamo a un passo dalla crisi irreversibile. LÂ’ex popolare Lapo Pistelli, pupillo di Veltroni che lÂ’avrebbe voluto sindaco, ha dichiarato di non votare per Leonardo Domenici, candidato alle europee, provocando lo sdegno dellÂ’attuale sindaco di Firenze che per alcune ore ha pensato di ritirare la propria candidatura. Nel Nord Est non si è sopita la protesta, capeggiata da Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, contro la candidatura «romana» di Luigi Berlinguer. Altrettanto sta accadendo nel Nord Ovest dove non trova migliore fortuna quel Sergio Cofferati catapultato alla guida della lista europea.
Il Pd si sta, quindi, avvicinando al voto europeo nel marasma totale. Se gli ultimi mesi di Veltroni furono caratterizzati dalla rivolta dei grandi vecchi contro il partito leggero e personale dellÂ’ex sindaco di Roma, queste ultime settimane di Franceschini sembrano lÂ’avvio della guerra di tutti contro tutti. DÂ’Alema sembra tirare le fila di una radicale correzione di rotta per il Pd, proponendo un partito più pesante e più socialista, mentre lÂ’area attorno a Rutelli sembra nuovamente affascinata dalle sirene del «grande centro» guidato da Luca di Montezemolo. Il paradosso è che nessuno vuol dichiarare conclusa la breve e sfortunata vita del Pd ma tutti aspettano il cedimento strutturale. Per quasi un anno il Pd è stato il campo di battaglia di eserciti contrapposti. Ora gli eserciti si sono ritirati nei propri accampamenti affidandosi ad azioni di guerriglia. Qualcuno avvisi Franceschini che è rimasto solo.

domenica 10 maggio 2009

Franceschini, la paura è il numero 27
Per il Pd c'è l'incubo delle Provinciali

di Peppino Caldarola

I democratici pensano già a gestire la sconfitta alle europee ma la vera disfatta sarà perdere molte delle giunte storiche. Dalle urne il partito si aspetta un esito tra il 26 e il 27%. Un calo di otto punti. A Milano e Torino uscenti a rischio Napoli: poche chances per lÂ’ex ministro Nicolais

Fra meno di un mese si decide la sorte di Franceschini e del Pd. La soglia dellÂ’asticella è stata abbassata fino al 26-27% per giudicare se il progetto del partito «a vocazione maggioritaria» è fallito oppure no. È già singolare che un partito che prevede di perdere sette o otto punti in percentuale si ritenga soddisfatto del risultato. Solo che il dramma del Pd non si gioca solo in Europa.
Nello stesso giorno si vota per le provinciali e le comunali. E se le comunali vedono in bilico città come Firenze, Bologna, Bari e altre ancora, sono le provinciali a turbare i sonni del democrat. Qui le previsioni sono nere, anzi nerissime. Nelle precedenti elezioni il centrosinistra aveva fatto il pieno. La primavera elettorale di cinque anni fa era stata particolarmente ricca di frutti. Se scorriamo lÂ’elenco delle province dove questa volta il risultato è incerto, il quadro si presenta drammatico.
Si voterà infatti per province cariche di valore simbolico.Si comincia con Milano dove Penati dovrà fare salti mortali per essere riconfermato. Si prosegue con Torino dove pare che un piccolissimo vantaggio separi i due contendenti. LÂ’incertezza regna in Padania dove Parma e Piacenza rischiano di passare allÂ’altra parte. Al centro Ancona e Grosseto non danno sicurezza al centrosinistra. Ma è al sud che il treno di Franceschini, dopo aver viaggiato per tutta lÂ’Europa, rischia di fermarsi.
LÂ’effetto Berlusconi si farà sentire in Abruzzo dove va al voto la provincia di Pescara allÂ’indomani di uno scandalo che ha portato alle dimissioni il sindaco di quella città. In Puglia la primavera di cinque anni fa può far fiorire gemme dallÂ’altra parte. Se il sindaco uscente di Bari Michele Emiliano ha buone possibilità di essere riconfermato, non ha la stessa certezza Vincenzo Divella a capo di una sgangherata maggioranza di centrosinistra alla provincia. Per la prima volta vota la nuova provincia di Barletta, un tempo enclave di sinistra, dove la quantità di candidati che hanno rifiutato lÂ’incarico di correre per la presidenza è impressionante. Le altre tre province pugliesi possono dare gli stessi dolori. A Brindisi non è stato riconfermato il presidente uscente. A Lecce un presidente storico del centrosinistra, predecessore del senatore Giovanni Pellegrino, Lorenzo Ria, ha lasciato con grande clamore il Pd e adesso viaggia nel gruppo misto ma viene dato in avvicinamento al Pdl. Rumori di sconfitta si sentono anche per la provincia di Taranto.
In ventisette province dove cÂ’era una amministrazione di centrosinistra Franceschini rischia la catastrofe. Eppure tutto tace. La linea Maginot viene fissata su quel miserevole 26-27% alle europee ma del rischio di veder scomparire numerose province (e comuni) in mano al centrosinistra, ovvero al Pd, nessuno parla. Eppure saremmo di fronte ad un vero capovolgimento di una tendenza elettorale di quasi mezzo secolo che vedeva la sinistra e i suoi alleati assai forti nelle elezioni amministrative e soprattutto nelle provinciali rispetto ai risultati delle elezioni politiche.
La stessa sconfitta politica del 2001 era stata seguita da una serie di successi nelle amministrative culminati nei voti comunali, provinciali e poi regionali quando il centrosinistra conseguì successi clamorosi che prepararono il positivo risultato del 2006. Il silenzio sulle amministrative che stanno osservando Franceschini e tutti i leader del Pd forse dipende dalla volontà di nascondere una sfida che molti considerano già persa in partenza. Forse cÂ’è unÂ’altra ragione. La prova amministrativa, in presenza del partito unico di centrosinistra, è stata questa volta affrontata con il massimo di divisioni nellÂ’alleanza e con una diaspora clamorosa allÂ’interno allo stesso Pd.
NellÂ’arco di un biennio si è frantumato il vecchio schema delle alleanze e il recente richiamo di Franceschini al voto utile per le Europee non ha fatto piacere agli elettori delle altre liste di sinistra. Ma è soprattutto nel Pd che il prossimo voto amministrativo ha fatto scoppiare contrasti molto forti fra la componente ex diessina e gli ex margheritici. Se il voto europeo rischia di avviare le pratiche di separazione fra le varie componenti del Pd, il voto amministrativo celebrerà divorzi fra diessini ed ex popolari che in molte realtà vivono già da separati in casa. LÂ’estate bollente del Pd rischia di cominciare ai primi di giugno in vista di un autunno caldo a cui si stanno preparando da mesi tutte le correnti del Pd.

Se crollano anche gli ultimi feudi rossi

di Paola Setti

E così adesso serve, anzi no, urge, un surplus di fantasia. LÂ’ultima trovata è di Enrico Letta, che proprio creativo non pare, ma insomma ci prova: «Non è più il caso di dividere tra destra e sinistra», ha detto ieri nel disperato tentativo di recuperare consensi in vista delle elezioni amministrative di giugno. Avrebbe dovuto dirlo magari prima a Dario Franceschini il suo segretario, che invece sempre di più insiste nella strategia antiberlusconiana («In Italia ci sono le leggi razziali» è stata una delle ultime uscite).
Ma tantÂ’è. «Ci sono tre segmenti politici: progressisti, moderati e populisti – sÂ’è arrampicato lÂ’ex numero due di Romano Prodi – la forza di Berlusconi è riuscire a mettere assieme la maggioranza dei moderati e dei populisti». Il Pd, ha avvertito, deve invece tentare di «unire moderati e progressisti». Come è accaduto con la vittoria in Trentino, esperienza che, ha ammesso Letta: «È per noi un faro nella notte». Che di buio pesto si tratti, lo aveva annunciato senza troppi fronzoli già un paio di settimane fa il deputato dalemiano Paolo Fontanelli, responsabile nazionale enti locali del Pd: su 50 province governate dal centrosinistra, aveva detto, 25 sono a rischio. Zone a rischio? Il Nord, ma anche il Sud e pure il Centro, feudi rossi compresi. Da allora la situazione non è migliorata, anzi. Per quellÂ’atavica attitudine del centrosinistra a farsi del male da sé, le beghe interne a livello sia locale sia nazionale hanno peggiorato il dato: le province a rischio ora sono 27.
La mappa del rischio è un bollettino di guerra. Al Nord, tra Piemonte, Lombardia e Veneto sono 11 le Province uscenti di centrosinistra. Il Pd teme di perderne otto a partire dalle più importanti, Milano e Torino, ma rischia di dover rinunciare pure ad Alessandria, Biella, Novara, Verbania, Lecco e Lodi. Fra il Centro e il Sud traballano Frosinone, Avellino, Salerno, Napoli, Bari, Brindisi, Lecce, Taranto, Chieti, Teramo, Ancona. Con lÂ’aggiunta fresca fresca di Crotone, dove proprio ieri, alla presentazione delle liste, ha scoperto che i candidati del Pd sono ben tre: lÂ’ultima lista depositata si chiama «Compagnia dei Democratici», e chissà se il riferimento alla «Compagnia delle Indie» è solo unÂ’involontaria ironia. Non va meglio alle Comunali, ché neppure Firenze e Bologna sono più un rifugio sicuro, con un solo punto di distacco fra il Pd e il Pdl. Così, mentre ieri Letta consigliava alla nave del Pd di sfidare nebbie e mare in tempesta puntando la prua sul faro delle montagne trentine, in giro per lÂ’Italia altri tentavano altre vie. UnÂ’occhiata alle liste per capire. A Milano il presidente uscente e ricandidato Filippo Penati nella lista civica che porta il suo nome ha schierato, fra lÂ’altro, il critico dÂ’arte ed ex assessore comunale alla Cultura Philippe Daverio e Benedetta Tobagi, figlia di Walter, il giornalista del Corriere della Sera ucciso dalle Br nellÂ’80. Una candidatura che si lega idealmente a quella, per il Comune di Pescara, di Marco Alessandrini: avvocato 38enne, sostenuto dal centrosinistra, è il figlio di Emilio, il magistrato assassinato nel Â’79 da un commando di Prima Linea.
Sforzi che non riescono però a compensare lo sbando. Ai tanti ex Ds passati con la Sinistra e ai troppi esponenti Pd che al Pd hanno deciso di fare la guerra alle amministrative, si aggiungono quelli che piuttosto che Franceschini, allora Berlusconi. Come è successo a Nepi, comune della Tuscia, nel Viterbese: il sindaco uscente, eletto a suo tempo col centro sinistra, tenta il bis, ma col Pdl. Per sfidarlo, Pd e Idv si sono affidati a un ex militante di Forza Italia.

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