Due caposaldi inscindibili per uscire dalla crisi
Perché il G20 ha dato delle buone risposte allo scontro di civiltà sulla leva fiscale
Sostegni finanziari a banche e imprese, o riscrittura delle regole e revisione degli strumenti di controllo? Il dibattito sulla crisi ha continuato a basarsi, nelle ultime settimane, su questi due caposaldi. Solo a prima vista inconciliabili: non si capisce, infatti, in nome di quale esigenza si debba considerarli in antitesi, visto che c’è bisogno dell’una manovra quanto dell’altra se si vuole cominciare a intravedere la luce in fondo al tunnel. La vera divisione, peraltro, è tra chi sostiene che occorre ripristinare la leva finanziaria che la crisi ha bruscamente ridimensionato e chi, al contrario, vede in questa mossa la contraddizione di far fronte a una crisi derivante da eccesso di debito facendo nuovo e ulteriore debito.
Per semplificare, gli americani con il piano Obama-Geithner appartengono al primo partito – e vorrebbero chiamare a partecipare alle spese non solo la Cina, con cui hanno stabilito un asse (ribattezzato G2), ma anche il Vecchio Continente – mentre al secondo sono iscritti un po’ tutti gli europei, seppur a diverso titolo. Nel braccio di ferro, a correre il rischio – purtroppo – è il lavoro di preparazione di nuove regole di governance fin qui realizzato e che dovrebbe trovare compimento nel G8 che si svolgerà prossimamente alla Maddalena. Un lavoro prezioso, cui ha dato un contributo decisivo l’Italia attraverso il ministro Tremonti, e che sarebbe un errore madornale tenere disgiunto dai programmi d’intervento previsti dal piano americano, sia nel caso che rimanga tale sia nell’ipotesi che trovi associata in tutto o in parte l’Europa.
Il motivo di questa inscindibilità è duplice. Da un lato, nuove regole – specie quelle relative alla remunerazione dei manager, al controllo della finanza derivata e ai paradisi fiscali – servono per accompagnare l’erogazione di denaro pubblico dando a questi esborsi la garanzia che non finiscano preda del sistema finanziario e dei suoi protagonisti che ci hanno portato per un eccesso di avidità speculativa a subire questa crisi.
Per carità, ho detto più volte che nessuno può sentirsi esente da responsabilità – perché nel lungo periodo in cui la bolla speculativa si gonfiava hanno guadagnato tutti, non solo qualche banchiere o gestore di fondi – e che dunque è opportuno evitare le criminalizzazioni. Ma qui non si tratta di fare del populismo, bensì di ridare fiducia – merce tuttora rara – ai mercati e ai risparmiatori. E di far sapere loro che si utilizzano soldi pubblici solo dopo aver rimesso le cose in ordine relativamente al buon funzionamento del sistema finanziario, alla trasparenza delle transazioni e all’efficienza dei necessari controlli.
Al contrario, mettere mano al portafoglio comune senza aver avviato il “legal standard act” su scala planetaria su cui si sta lavorando, significa generare sfiducia, com’è capitato finora di fronte a tutte le iniziative di immissione di liquidità, decise dai governi o dalle banche centrali.
E’ come se si consumasse tutta la benzina per far camminare un’auto con il freno a mano tirato: si fa poca strada e si butta denaro. Ma c’è una seconda ragione per cui occorre che spesa e regole vadano a braccetto, e riguarda proprio il motivo del contendere tra chi vuole combattere la recessione a tutti i costi, anche facendo nuovo debito, e chi la pensa diversamente.
Io credo che entrambe le posizioni abbiano una loro ragionevolezza: è vero che la recessione non si vince senza combatterla, e oggi è chiaro a tutti che gli Stati devono spendere; ma è altrettanto vero che ripristinare tout court l’ampiezza della leva finanziaria pre-crisi – si calcola fosse di 1 a 24 perché alla massa di 95 trilioni di dollari di crediti erogati nel mondo corrispondeva un patrimonio degli istituti bancari di 4 trilioni di dollari – rischia di farci ripetere gli errori che ci hanno portato in questa situazione. La soluzione, come spesso accade, sta nel mezzo: la leva va riattivata, ma con dei limiti precisi che appunto le nuove regole devono stabilire.
Altrimenti ha pienamente ragione Giulio Tremonti, per cui, parafrasando Karl Kraus, il debito diventa la malattia della quale pretende di essere la cura.
Per fortuna, il G20 londinese sembra aver superato meglio delle aspettative questo spirito da “scontro tra civiltà” con il quale si è arrivati a Londra.
Ci sono stati, infatti, sia le regole – con la lista nera dei paradisi fiscali, la nuova regolamentazione degli hedge fund, il tetto alle retribuzioni dei top manager e banchieri – sia i “soldi veri”, con i mille miliardi di dollari di dotazione per il Fmi e le altre istituzioni finanziarie internazionali, e i cinquemila miliardi di “stimulus” per la ripresa. Certo, sono misure che andranno implementate nei prossimi mesi, e che vedranno il momento della verità al G8 della Maddalena, dove verranno presentate anche le nuove regole “legali” del Ministro dell’Economia. Solo allora si potrà valutare appieno. Per il momento, però, è già un notevole risultato l’aver superato una dicotomia dannosa e fuorviante. (Terza Repubblica)