EDUCARE ALLA FELICITA’ (E ALLA LIBERTA’)

“L’educazione creativa” è un testo del pedagogista Tsunesaburo Makiguchi pubblicato nel 1930 in Giappone in un periodo durante cui la nazione si stava assoggettando al militarismo e l’intero sistema scolastico si immobilizzava per formare persone sottomesse ai guerrieri dello Stato. Makiguchi, in contrasto con l’ideologia dominante, affermava, con risolutezza la priorità della felicità dei bambini, quindi la libertà dell’individuo. Era un uomo straordinariamente lungimirante che seppe mantenere intatte le sue convinzioni. Affermava che il compito dell’educazione è di formare cittadini pensanti e non sudditi obbedienti. Convinto assertore dell’umanesimo e della dignità della vita, abbracciò la filosofia buddista, attirando su di sé la spietata repressione del regime militarista. Morì martire in carcere il 18 Novembre del 1944, pagando così la sua coerenza. I suoi discepoli si impegnarono nella fondazione in Giappone di scuole di ogni ordine e grado, da asili nido ad università. Ispirandosi alle teorie e idee esposte nel libro “l’educazione creativa” di Makiguchi diverse scuole in sud America stanno sperimentando concretamente e praticamente questa pedagogia, nata 70 anni or sono sotto la minaccia del nazionalismo e che oggi fornisce risposte illuminanti ai pressanti problemi dell’educazione. L’opera di Makiguchi è finalmente pubblicata in Italia, proprio all’inizio del nuovo secolo. Il libro è interessante perché presenta una realtà poco conosciuta e lontana dal nostro tempo come la realtà del Giappone, ponendo una serie di questioni educative quasi universali e certamente attualissime come per esempio le modalità di impostare la nuova scuola ed i vari discorsi pedagogici che non siano vacue parole e nemmeno concetti troppo tecnicistici. L’edizione italiana è una sintesi significativa del pensiero di Makiguchi soprattutto per quanto riguarda la parte teorica, teoretica e fondante che tocca l’ambito della filosofia dell’educazione. Makiguchi introduce un tema interessante ed attuale che riguarda la finalità dell’educazione ed in particolare la sua proposta consiste nel suggerire la felicità come finalità essenziale di tutti i progetti educativi, concetto che deve far riflettere attualmente.
Nella scuola italiana appare inattuale ogni richiamo alla felicità come finalità di ogni processo educativo. Attualmente sussiste una situazione di crisi nella scuola italiana e delle idee pedagogiche che dovrebbero stare alla base delle istituzioni educative. La scuola appare lacerata dall'autonomia, fra un'educazione ed un'istruzione che ha monopolizzato il dibattito degli ultimi decenni intorno alla scuola, estremizzando una dimensione che non avrebbe ragione di esistere, tra uno spazio affettivo ed un ambito cognitivo. La tipica condizione attuale umana ed intellettuale della modernità si rivela in una generale crisi di senso e significato. Uno spiazzamento sul presente a cui in effetti la pedagogia non ha saputo rispondere. Dunque siamo di fronte ad una scuola priva di memoria, incapace di progettare il futuro, senza un orizzonte culturale ideologico di riferimento che magari un tempo possedeva. Vi è una crisi irreversibile delle forme di cultura e di eticità proprie della paideia occidentale, nel tramonto dell’educazione per il fatto che non risulta più vivo e presente, al di fuori di assunti dogmatici ed ideistici, alcun atteggiamento volto a proporre alle giovani generazioni progetti e percorsi dotati di senso, per la propria formazione professionale: è una crisi di senso epistemologica, politica, etica, scientifica, investendo inevitabilmente anche i progetti e processi educativi, anche per l’incapacità della pedagogia di rispondere di fornire risposte adeguate a questa crisi imminente. L’educazione, e non solo quella scolastica, non ha saputo reagire a quella forma di schiacciamento del presente che è uno dei motivi alla base del fallimento del progetto culturale e politico della modernità, e che è all’origine di numerosi atteggiamenti e comportamenti senza dubbio pericolosamente frustranti, in un drammatico “naufragio” dell’umanità per cui nessuno può sentirsi irresponsabile. Infatti questa affermazione non intende in alcun modo giustificare un pessimistico ripiegamento solipsistico e narcisistico né una rinuncia alla fiducia della possibilità della pedagogia di intervenire attivamente sulle situazioni, ma è anche la premessa realistica per un rilancio della progettualità pedagogica come risposta che può essere adeguata, forse più di altre, al mutamento di paradigma che caratterizza l’orizzonte culturale della postmodernità. Nonostante la crisi di progettualità, la mancanza di finalità educative condivise, l’assenza di una dimensione etica, non si è mai parlato tanto di educazione e scuola come nel periodo attuale, né la scuola, e il suo impianto formativo, è mai stato tanto al centro dell’interesse politico e della società civile come lo sono ora con la discussione sulla riforma complessiva dei cicli scolastici, sulle riflessioni della parità scolastica e tutti gli altri cambiamenti in atto. Appare attuale parlare di finalità educativa per la scuola, ma sembra anche “controcorrente” la nozione di felicità in sé, un concetto compromesso dalla nostra filosofia occidentale, quantomeno dopo la rigorosa critica che ne ha fatto Kant. L’atmosfera filosofica generale dell’occidente moderno sembra poco propensa all’idea di felicità, nel senso che ha privilegiato da una parte, il lato tenebroso dell’esistenza, dove l’autenticità si genera solo nell’inquietudine e nell’angoscia, e dall’altro ha escluso quella dimensione interiore, alla ricerca di una aspirazione di felicità che si potrebbe collocare solo sul piano sociale, magari ideologicamente inteso e coniugato. Resta quindi ben poco della felicità al di là di un richiamo ideale del liberalismo anglosassone tanto astratto dal diritto alla felicità espresso nella Costituzione americana e rimane un’idea di felicità circoscritta e minimale oppure edonista e superficiale. Naturalmente questa idea di felicità, filosoficamente compromessa, non trova spazio nel progetto educativo di una scuola italiana che è pedagogicamente in crisi. Eppure è proprio questa l’indicazione chiara dell’attività di un filosofo dell’educazione così lontano nel tempo e nello spazio, come Makiguchi, che visse in Giappone a cavallo tra ‘800 e ‘900, e accompagnò il progetto di rapida modernizzazione che avrebbe trasformato il suo Paese da uno stato feudale ad una potenza imperialista in circa cinquant'anni. Makiguchi assistette agli esiti disastrosi dell'ascesa al potere del militarismo nazionalista e della sua sciagurata alleanza con i nazifascisti europei, ma soprattutto visse quelle profonde trasformazioni come maestro, direttore e pedagogista, accompagnando il proprio agire educativo con una costante attività critica. Le idee pedagogiche di Makiguchi, che oggi sono appunto conosciute anche in Italia, non sono isolabili dalla sua biografia, perché egli si oppose fieramente e risolutamente alle politiche educative che produssero un sistema scolastico, prima pensato come strumento per accelerare quella modernizzazione dall’alto, per cui in pochi anni si ridusse il livello di analfabetismo, mentre in Italia si riviveva ancora nell’arretratezza, e d’altra parte sempre quel sistema educativo doveva creare il consenso intorno ad un regime sempre più assolutista, al fine di disseminare quell’ideologia e retorica militarista. Per indicare il clima culturale e politico di quel periodo, il primo ministro del governo giapponese nel 1890 in un discorso al parlamento diceva così:”Due sono gli elementi indispensabili nel campo della politica estera: primo le forze armate e secondo l’educazione. Se il popolo giapponese non sarà intriso di spirito patriottico la nazione non potrà essere forte. Il patriottismo può essere inculcato soltanto attraverso l’educazione”. Makiguchi di fronte a questo fanatismo assurdo fu ribelle ed intransigente e disposto a pagare personalmente il prezzo di quelle scelte. Fu spesso bersaglio di provvedimenti disciplinari, di trasferimenti, di retrocessioni. Nel 1930, due anni dopo la sua conversione al buddismo, fondò la società educativa per la creazione di valore, di cui l’attuale Soka Gakkai è la prosecuzione moderna. Allora era un’organizzazione di insegnanti che portava avanti il progetto e i metodi educativi da lui teorizzati e reclamava a gran voce una riforma complessiva e radicale del sistema educativo: fu allora che divenne sospetto al regime. Fu arrestato in nome della famigerata legge liberticida per il mantenimento dell’ordine pubblico e morì nel 1944 per le conseguenze di un rigidissimo regime carcerario. La sua opera originale in quattro volumi dal titolo “Il sistema della pedagogia creatrice di valore” presenta uno stile frammentario e caotico, in cui si possono intuire tante letture certamente non sistematiche, ma questo non sembra un limite dell’opera, è semmai l’esito intenzionale di uno stile di pensiero. Questo libro va letto come una sorta di diario intellettuale scritto da un educatore militante che affronta i problemi concreti ed a partire da essi propone le sue riflessioni. L’accento sulla felicità come stile dell’educazione deve essere interpretato proprio in questo tipo di vissuto, di una pedagogia praticata con un militante spirito pacifista, con responsabilità etica, critica e sociale, volta allo sviluppo delle potenzialità individuali, in opposizione alla dogmatica tendenza omologante del regime dell’epoca. Oltre il valore storico e delle vicende biografiche che indubbiamente accrescono lo spessore esistenziale della proposta di Makiguchi, il richiamo alla felicità nell’educazione conferma che oggi con tutta la sua straordinaria ingenuità, con il suo elementare valore, ha addirittura una valenza profetica. E’ certo necessario quale sia la felicità a cui si riferisce Makiguchi, si tratta di uno stato d’animo inteso come esito collaterale al processo di creazione di valore. Con l’espressione “creazione di valore” Makiguchi intende sostituire alla nozione di verità i progetti, i processi e le attribuzioni intenzionali di senso della propria sfera individuale e sociale. I contenuti dell’insegnamento e soprattutto le esperienze educative non interessano in quanto vere, universali o moralmente coerenti e con un sistema di valore dato, oggettivo, ma sono educative nella misura in cui consentono di creare valore a partire da essi, sperimentando il significato che essi possono acquisire per determinati soggetti, sempre nell’ottica di un bene comune e di vantaggi sociali.
L’educazione è quindi quel processo che sviluppa nei soggetti la competenza della creazione di valori. L’idea di felicità che emerge da questo sistema di valori, benchè sia elaborata e sorga dall’interiorità del soggetto, non è in alcun modo egoistica. Parlare di “educazione interiore”, come sostiene il Prof. Demetrio, non significa esclusivamente rifugiarsi in un soggettivismo esasperato e solipsistico, proponendo una pedagogia egoistica e disimpegnata sul piano sociale, ma il processo di creazione di valore non è mai individuale, né può essere compiuto da un singolo avulso dal suo contesto sociale. Anzi nella creazione di valore e nella felicità, che è anche essa un processo parallelo, vi è implicita una forte responsabilità etica e sacrale. La felicità del singolo sorge dalla consapevolezza della rete di relazioni che legano tra loro tutti gli esseri umani. Porre come fine la felicità dei soggetti in formazione significa escludere ogni tentativo di sottomettere il sistema educativo all’influenza di qualsiasi obiettivo esteriore di matrice politica, militare, economica, ideologica.
La formazione non è, e non può essere solo la preparazione alla vita adulta intesa come sforzo per acquisire ciò che manca, un passaggio dallo stato di non persona a quello di soggetto, ma deve essere in sé un momento significativo dal punto di vista esistenziale, cioè un’esperienza che inizia nel “qui ed ora” e non soltanto nell’attesa di un esito migliore. La ricerca della felicità oltrepassa le limitanti e limitate gabbie degli obiettivi educativi e didattici che segnano un piano cognitivo per avere determinati orizzonti che mantengano un necessario rigore progettuale, in cui il senso dell’insegnamento e apprendimento si misura sul piano esistenziale, sulla capacità di introdurre senso e di creare valore per sé e per la comunità sociale, a partire dall’esperienza significativamente vissuta e intenzionalmente orientata. La dimensione esistenziale, la creazione di valore, sono concetti che dovrebbero trovare spazio a scuola dove i bambini e gli adolescenti formano i propri vissuti, le proprie biografie, la propria memoria, le proprie aspirazioni, rivalutando le esperienze extrascolastiche vissute nella comunità sociale nei primi anni dell’infanzia e che l’esperienza della felicità dovrebbe accompagnare l’individuo in tutto l’arco della vita.
Nell’educazione si può trovare risposta alle crisi di senso della contemporaneità. Un entusiastico ottimismo è ancora visibile oggi nell’istituto buddista italiano La Soka Gakkai che ha trasformato in realizzazioni concrete le teorie di Makiguchi fondando livelli completi di scuole in Giappone e nel sud est asiatico con un impegno per l’educazione alla pace, alla non violenza, alla tutela ambientale, al dialogo interculturale e di gestione del conflitto per la pace.
La paideia nella Grecia antica del V e VI secolo non era una disciplina, ma il realizzarsi completo della vita individuale e della polis, perché la paideia era personale ma anche fondamentalmente politica, come capacità di realizzare il bene e di produrre valore. L'educazione è vista come un compito generale che deve produrre felicità ed e chiaro che questo è stato particolarmente significativo di fronte ad un sistema politico in Giappone, verticale, potente, pubblico, di estrazione nazionalista che voleva forgiare, in una formazione collettiva, politica ma imposta, con una creazione di sistemi pedagogici fondamentalmente di indottrinamento coattivo dove veniva meno la soggettività. L’opera di Makiguchi risente molto della formazione occidentale soggettivistica e democratica. La crescita della soggettività è tipica di una comunità e società che deve ricorrere allo sviluppo della soggettività, che è elettiva rispetto ad un sistema di rivoluzione dall’alto che appunto tutto aveva presente tranne la libertà delle soggettività, ma al contrario voleva piegare le individualità agli interessi di un patriottismo esasperato ed imposto dall’alto.

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