IL GIUDIZIO SUL FASCISMO DUE SCUOLE, DUE METODI

A proposito del giudizio storico sul fascismo «a prescindere» dalle leggi razziali, senza voler aprire un dibattito che porterebbe lontano, non le sembra un po' riduttivo limitarsi a giudicare il fascismo solo sulla scorta delle leggi razziali e dell'avventurismo militare che portò alla partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale? So che esiste una corrente di pensiero che tende a distinguere un fascismo pre-leggi razziali (e quindi pre-guerra) e il fascismo successivo, fornendo giudizi storici diversi (in alcuni casi anche nettamente diversi) e sostanzialmente avvalorando l'idea di un fascismo inizialmente «positivo» e solo in un secondo momento «degenerato». È storicamente corretto? Davvero se non ci fossero state le leggi razziali e la guerra dovremmo giudicare positivamente il fascismo?
Questa domanda non implica un giudizio sul modo in cui gli Italiani si comportarono durante il Fascismo: quello sì, a mio avviso, in notevole misura «impattato» da quei due eventi, ma solo la richiesta della sua opinione di quanto il fascismo «dopo» non fosse altro che una naturale conseguenza del fascismo «prima» che, quindi, va sostanzialmente accomunato in un unico giudizio storico.

Rodolfo Ambrosetti , | rambrosetti@hotmail.com

Caro Ambrosetti,
I giudizi sul fascismo, come quelli su ogni altro regime che abbia suscitato forti dissensi e opposizioni, appartengono generalmente ad almeno due categorie.
Vi è anzitutto il giudizio di coloro che lo hanno combattuto e che hanno costruito sulle sue macerie un nuovo sistema politico. La sentenza in questo caso è quasi sempre totalmente negativa. I successori non possono distinguere tra fasi buone e cattive, condannare i suoi errori ma riconoscere contemporaneamente almeno alcuni dei suoi meriti. Per legittimare se stessi, esaltare il proprio ruolo, suscitare il consenso delle masse e gettare le fondamenta di un sistema diverso, debbono esprimere una valutazione categoricamente negativa. In questa prospettiva il regime condannato non può che essere invariabilmente pessimo e contenere nel suo grembo, fin dai primi giorni della sua esistenza, tutti i mali delle sue fasi peggiori. Ogni attenuante sarebbe, soprattutto nella fase delicata della transizione, inutile e controproducente. Così accadde per esempio nell'Europa della Restaurazione, dopo la fine delle guerre napoleoniche, quando Bonaparte, nelle famiglie inglesi, divenne il «bogey man», l'«uomo nero», che sarebbe apparso di notte per punire i bambini cattivi.
Il secondo giudizio è quello che gli storici danno di un regime quando cercano di comprenderne le origini e di studiarne l'evoluzione «sine ira et studio», senza collera e pregiudizi. Gli studiosi si chiederanno anzitutto perché un Paese, in una certa fase della sua storia, abbia deciso di affidarsi a un uomo e a un partito che avrebbero limitato le sue libertà e trattato gli oppositori come nemici della patria. Nel caso del fascismo cercheranno di capire se la sua ideologia desse una risposta alle paure del momento, se la classe politica pre-fascista, con i propri errori, avesse spianato la strada al suo avvento. Anziché trattarlo come un fenomeno immobile, in cui ogni fase è sostanzialmente eguale alla precedente, gli studiosi cercheranno di ricostruire la sua evoluzione. Perché Mussolini fu economicamente liberale nel 1922, deflazionista nel 1926, dirigista e statalista nel 1932? Perché criticò la politica ebraica di Hitler e sostenne il movimento sionista nella prima metà degli anni Trenta, ma divenne antisemita pochi anni dopo? Si chiederanno ancora se il fascismo fu un regime personale, caratterizzato da un solo credo ideologico, o un mosaico di correnti e tendenze diverse. E si chiederanno infine perché tanti intellettuali italiani siano passati con tale naturalezza dal fascismo al comunismo. Esiste forse fra le due ideologie qualche punto in comune, qualche affinità?
Fra i due metodi di giudizio esiste una importante differenza. Quelli che applicano il primo non hanno mai dubbi. Quelli che applicano il secondo non smettono mai di averne.

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