Le ACLI e l’emigrazione italiana in Germania (prima puntata)

Presentazione
La tesi tratta il fenomeno dell'emigrazione italiana in Germania nel secondo
dopoguerra che ha avuto un'indubbia rilevanza sociale e anche un forte peso
economico.

La ricerca compiuta presso l'archivio storico centrale delle Acli e il
Centro Studi Emigrazione di Roma si basa anche, naturalmente, sulla lettura
e interpretazione della letteratura disponibile sull'argomento che proprio
in questi ultimi anni ha avuto una forte ripresa (è di recente
pubblicazione, il pregevole testo di P. Bevilacqua, A. De Clementi, E.
Franzina dal titolo Storia dell'Emigrazione Italiana. Partenze, edito da
Donzelli, Roma, nel 2001, primo tomo di una serie di tre volumi dedicati
all'emigrazione italiana europea ed extraeuropea), e sullo spoglio di molte
annate di riviste specialistiche.
Alla base della scelta del tema c'è per me anche la mia provenienza da un
paese del Cadore che ha avuto una fortissima emigrazione verso la vicina
Germania. Un numero elevato di persone che ha riempito molte città tedesche
di tante gelaterie dai nomi chiaramente indicanti la provenienza dei
proprietari: Eis-Cafè Venedig, Eis-Cafè Cortina, in una delle quali ho
compiuto una personale esperienza di lavoro. I tanti racconti ascoltati di
esperienze vissute dagli emigrati in quel paese mi hanno stimolato a
conoscere la complessità del fenomeno migratorio sopratutto nei suoi
risvolti più problematici sui quali la memoria è spesso rimossa.
Essendo cresciuta ed avendo compiuto i miei studi in Sardegna a seguito di
una anomala migrazione interna dei miei genitori dal Veneto, la mia ricerca
sulla presenza e sul ruolo delle Acli in Germania ha analizzato anche
specificamente le vicende dell'emigrazione sarda. È un mio profondo
personale convincimento che di fronte alla ripresa dei flussi migratori di
giovani dalla Sardegna e dal meridione e contemporaneamente di fronte al
vasto e drammatico flusso immigratorio dal sud del mondo, la vicenda storica
dell'emigrazione italiana del Novecento non debba essere dimenticata anche
per diffondere nel corpo sociale del nostro paese una cultura del dialogo e
dell'accoglienza. La storia della nostra emigrazione è stata non solo una
vicenda di sofferenze e di discriminazioni ma anche di lotte e di conquiste
sociali e democratiche. In questo processo hanno svolto un ruolo importante
anche organizzazioni quali le associazioni cattoliche dei lavoratori
italiani, le ACLI, alla cui specifica azione in Germania è dedicato il
capitolo centrale della mia tesi.

L'intervento delle ACLI tra i nostri emigrati seguiva una precisa politica
d'azione che prevedeva una doppia presenza dell'organizzazione sia in
Italia, sui problemi origine e causa dell'emigrazione, sia all'estero, in
stretto contatto con la realtà del movimento. In tal modo si promuoveva
un'opera di costante impegno per la realizzazione di nuove occasioni di
presenza delle Acli e per favorire la nascita di comitati d'intesa tra le
associazioni democratiche operanti nell'Emigrazione. Le Acli non ritenevano
fosse possibile alcuna emancipazione dei nostri lavoratori in terra
straniera, senza che questa avvenisse prima della decisione di partire.
Parlare, difatti, di scuola e formazione professionale degli emigrati
all'estero voleva dire avanzare su una duplice prospettiva, quella specifica
e quella generale, vale a dire tenere presente, sia nell'analisi sia nelle
proposte, che la soluzione dei problemi formativi dei lavoratori italiani
all'estero passava attraverso quella dei lavoratori italiani in quanto
lavoratori.
Da tali presupposti ne derivò il pieno appoggio e solidarietà che le Acli
diedero alle lotte del Movimento Operaio. Non poteva d'altronde essere
altrimenti, in quanto una linea di condotta basata sulla difesa dei livelli
di vita e di lavoro unicamente a livello
nazionale avrebbe significato lasciare mano libera al grande padronato ed
alle società multinazionali sui temi dell'uso e della dislocazione delle
risorse economiche ed umane su scala mondiale (1).
Le Acli assumevano in tal modo il ruolo di organizzazione di rappresentanza
dei lavoratori emigrati nei confronti delle autorità locali e di quelle
consolari italiane. Per questo aspetto, come per l'attività di formazione e
di assistenza sociale, furono utili gli accordi di collaborazione conclusi,
per la Rft, con il KAB (Movimento Cattolico dei Lavoratori tedeschi) ed il
Werkovolk (2), come nel caso del Comitato d'Intesa costituito sulla base
del rapporto stabilito tra Acli Germania e KAB, specificamente per quanto
riguardava l'attività ENAIP e ACLI CASA. La realtà dell'emigrazione,
infatti, non doveva essere indirizzata ed affrontata in termini settoriali e
corporativi, ma inserita nel più generale disegno di rinnovamento della
società a livello nazionale ed internazionale.
L'importanza del lavoro delle Acli ha rappresentato il frutto di una loro
capillare presenza di base, legata ai problemi reali dei lavoratori, che
contribuì a consolidare i vincoli tra l'associazionismo democratico operante
nell'emigrazione ed i sindacati, e a diffondere la presa di coscienza nel
nostro paese sul problema dell'emigrazione, premessa indispensabile per ogni
reale impegno di cambiamento.
Il settore emigrazione ha visto momenti di particolare collaborazione con
altri settori del movimento e dei servizi. L'impegno delle Acli, spesso in
veste di promotori, si è inoltre manifestato con la partecipazione attiva di
consultazione in sede di comitato Esteri-sindacati o Esteri-associazioni o
con la presentazione di problemi specifici alla commissione Lavoro del
Senato-sottocommissione per l'emigrazione o del Comitato Permanente per
l'emigrazione della Camera dei Deputati. La finalità era quella di
costituire un sistema adeguato di tutela ed assistenza in grado di dare
risposta ai problemi degli emigranti in tema di lavoro, di
assistenza-previdenza, del ricongiungimento famigliare, della scuola, e
della creazione di rapporti sociali e umani e di relazioni che non facessero
più sentire la solitudine e l'isolamento.
Interventi che portavano le Acli ad essere un Patronato di Assistenza, ed
allo stesso tempo un Sindacato di difesa, un punto di incontro dei
lavoratori italiani della zona ed un centro propulsore di iniziative e
solidarietà, mantenendo sempre come fine principale la tutela e la difesa
del lavoratore nel campo dei suoi diritti assicurativi e previdenziali;
ambiti nei quali era necessaria una specifica competenza. Diveniva così
settore di attività pure la difesa sindacale, in quanto spesso molti aspetti
della tutela del lavoratore che rientravano nella competenza delle
organizzazioni sindacali non sempre venivano o potevano essere adempiuti da
queste ultime e, di conseguenza, spettava al Patronato sostituirsi ad esse.
L'inserimento del Patronato, in questi casi, comprendeva anche iniziative
culturali, ricreative ed assistenziali, volte non solo alla difesa dei
diritti delle persone ma anche ad un aspetto molto importante e spesso
volutamente trascurato dalle autorità: la maggiore coesione sociale tra i
nostri emigrati e tra essi e la popolazione locale. Venivano così diffuse
pubblicazioni a carattere specializzato comprendenti notizie ed informazioni
sociali, lavorative, assicurative, della vita e dei problemi delle comunità
italiane, e notizie dall'Italia che potevano in tal modo essere utilmente
portate a conoscenza dei lavoratori. Fatto importante questo della stampa,
considerato che gli organi di informazione, dalle grandi testate nazionali
italiane alla radio, dalle prime trasmissioni radiotelevisive alla Gazzetta
Ufficiale della CEE, continuavano a privilegiare l'informazione economica e
quella socio-politica, e non contribuivano in alcun modo “all'affermazione
sociale e politica delle esigenze degli emigranti, come sarebbe giusto che
fosse, visto che l'emigrazione è fatta quasi tutta di operai”3. Mancava
sopratutto una testata a grossa tiratura che fosse in grado di coinvolgere
tanto la collettività italiana all'estero quanto quella in Italia; la stampa
all'estero invero non arrivava in Italia, «al massimo arrivava alla
Direzione Generale dell'Emigrazione, che la valutava sulla base dei rapporti
e delle informazioni ricevute dalle rappresentanze diplomatiche e consolari,
e sui tavoli degli uffici stampa delle Regioni» (3), ed inoltre gli articoli
sugli emigrati che in Germania stavano in prima pagina, in Italia finivano
sempre nelle pagine interne.
Da una fase iniziale di intervento pressoché esclusivo volto ad assicurare
un'efficace assistenza sociale ai lavoratori emigrati attraverso i
Segretariati e il Patronato, le Acli passarono così ad una fase di vero e
proprio impianto associativo. In un costante sviluppo organizzativo che ha
visto aumentare i tesserati in Germania dai 173 del 1960 ai 2.016 del 1966,
ed i circoli dai 2 del 1960 ai 29 del 1966 (4).
Un intenso programma di attività, che rivolse particolare attenzione alla
formazione sindacale per favorire la partecipazione dei lavoratori emigrati
alla vita del sindacato e la loro assunzione a posti di responsabilità.
Infatti, la mancanza di adeguamento della politica per l'emigrazione alle
dimensioni del fenomeno migratorio, e del riconoscimento effettivo del
principio di piena uguaglianza del cittadino italiano all'estero non
consentivano che i nostri connazionali si sentissero effettivamente liberi
cittadini portatori di diritti e di doveri. Continuavano a non essere
rispettati i loro diritti costituzionali al voto e i diritti sociali
all'istruzione, alle prestazioni di sicurezza sociale e all'abitazione (5).
Punto questo della formazione, fondamentale, non solo al fine del
collocamento in Germania, ma in particolare anche per un eventuale rientro
in patria. Si rendeva così sempre più necessaria la promozione della classe
lavoratrice ed il suo inserimento nella nuova società europea, in
un'integrazione tanto economica quanto e sopratutto sociale. La formazione
sociale e politica era il mezzo per crescere ed essere partecipi della
società civile ed allo stesso tempo per potenziare la capacità politica ed
organizzativa e, come tale, doveva essere valorizzata nel e per il rispetto
dei lavoratori emigranti.
Interessante a questo proposito è uno stralcio dell'intervista rilasciata
dal Presidente Nazionale delle Acli, Emilio Gabaglio alla radio tedesca nel
1969: « . Non più sola assistenza e tutela verso gli emigrati, ma garanzia,
sviluppo e promozione dei diritti umani, sociali, previdenziali e,
sopratutto deve essere posto su basi nuove il diritto della partecipazione
dei lavoratori emigrati sia alla comunità estera in cui vivono e lavorano,
sia nei confronti della realtà italiana. Nel primo caso essi devono
raccogliersi nelle organizzazioni sindacali, partecipare alle attività
sociali e sindacali di fabbrica di categoria, devono iscriversi al
sindacato, diventarne membri attivi e militanti, contare dall'interno e
chiedere anche al sindacato un atteggiamento di maggiore disponibilità per
la tutela del lavoro degli emigrati. [.].per organizzare un forte movimento
d'opinione, un forte movimento di massa che possa imporre le soluzioni ai
problemi economici, sociali della loro condizione di lavoratori all'estero.»
(6).
Le proposte delle Acli e del Movimento operaio in quest'ambito trovarono la
loro concretizzazione anche nella linea formativa dell'ENAIP (7). I suoi
principali fini erano, infatti, la promozione dell'integrazione di giovani
ed adulti italiani nella società tedesca e nel mondo del lavoro tedesco, la
promozione della lingua e della cultura italiana, corsi di lingua tedesca
per migranti e attività di sostegno, recupero e reinserimento nel mercato
del lavoro per i disoccupati. L'intervento che è stato sviluppato per la
Germania aveva l'obiettivo di dare alla mobilità il significato di una
scelta quanto più possibile «libera» del lavoro, della professionalità, e
della promozione sociale (8). La situazione economica generale,
caratterizzata da un forte squilibrio interno, determinava la necessità di
un maggiore intervento del sindacato e di un'iniziativa unitaria per poter
intervenire alla guida dei processi di sviluppo e nella gestione delle
politiche occupazionali. Nuovi strumenti culturali e professionali dovevano
realizzare un'integrazione attiva, fondata non sulla perdita della propria
identità culturale e sociale ma sulla valorizzazione delle proprie capacità,
nel rifiuto dell'emarginazione.
Questo ha permesso che i Gastarbeiter diventassero lavoratori inseriti nelle
dinamiche economiche e sociali della Germania pur senza mai perdere la
propria identità perché come ha riassunto con una osservazione esemplare Max
Frisch, l'accordo bilaterale Italia-RFT per il reclutamento di manodopera,
l'«Anwerbervertrag», del 1955, richiedeva braccia ma dall'Italia, così come
dagli altri paesi poco sviluppati dell'Europa, arrivarono invece uomini con
le loro storie, i loro problemi ma anche le loro capacità, le loro risorse e
anche i loro sogni. Questo insegnamento è sempre attuale.

Note:
1 – L'esecutivo delle Acli su emigrazione e sviluppo, Comunicato Stampa del
4 febbraio 1975
2- Relazione Generale della Presidenza Centrale, X Congresso Nazionale Acli,
Roma, 3-6 novembre 1966, Industria Grafica Moderna, Roma.
3- Mauro G., op. cit.
4- GERMANIA 1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966
Tesserati 173 348 457 1011 1113 1527 2016
Circoli 2 9 6 9 14 22 29
Dati tratti da:, X Congresso Nazionale Acli, Roma 3-6/11/1966, Industria
Tipografica Moderna, Roma, (1966).
5- “Le condizioni di una politica sociale europea nella risoluzione
dell'Assemblea dei Dirigenti ACLI in Europa”, Bruxelles, 5-6/06/1965, in
Studi Emigrazione, N. 4, Ottobre 1965.
6-Gabaglio E., Intervista rilasciata alla radio tedesca, in Emigrazione, N.
6, novembre- dicembre 1969.
7-Corso di Formazione Enaip, Revisondoli (L'Aquila) luglio 1978, in
Formazione e Lavoro, N. 87-88, luglio-dicembre 1978, Enaip, Grafiroma, Roma,
1979, p. 94.
8- De Falchi F., La presenza Enaip in emigrazione, in Formazione e Lavoro,
N. 87-88, luglio

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Incontro a Morbegno sulla via dei frontalieri. Intervista a Maddalena
Schiantarelli.

Il treno si inerpica lentamente, costeggiando il Lago di Lecco ed una serie
di pittoreschi paesini adagiati ai bordi della ferrovia, quasi a lambire la
sponda d'acqua placida. Lecco, Varenna-Esino, Colico e la sagoma rosicchiata
delle montagne che si avvicina. Il Regionale partito da Milano Centrale ci
porta a Morbegno, comune della bassa Valtellina, meta, in questo Venerdì
come tanti, del viaggio di rientro di molti pendolari, giovani che studiano
fuori casa, come il ragazzo seduto al mio fianco, ma non solo. Daniele
Marconcini, Presidente dell'Associazione Mantovani nel Mondo, ed io stiamo
andando a conoscere la Dottoressa Maddalena Schiantarelli, autrice
dell'interessante tesi dal titolo “L'emigrazione ed il frontalierato in
provincia di Sondrio”, che il Portale dei Lombardi nel Mondo sta pubblicando
a puntate in questi mesi. Lo scopo della visita è innanzi tutto quello di
confrontare le nostre esperienze di studio e di ricerca su temi relativi a
fenomeni migratori assai differenti (io mi sono occupata dell'emigrazione
delle donne italiane in Argentina), ma anche quello di valutare la
possibilità di una collaborazione da parte della nostra ospite alle
molteplici attività dell'Associazione, al cui interno si è andata
costituendo una vera e propria rete di tesisti, ricercatori e studiosi,
sparsi in tutta Italia, impegnati a descrivere e documentare con lavori di
carattere scientifico la multiforme e corposa storia delle migrazioni
italiane.
Scesi dall'affollato convoglio e fatte le presentazioni di rito, un pensiero
mi attraversa la mente: non stiamo incontrando solo Maddalena, ma anche il
'mondo' che ha tratteggiato così puntualmente nella sua tesi, una terra che
da subito prende corpo in ogni sua parola, un luogo che si fa presenza
satura, occupando denso lo spazio di ogni sua narrazione, un territorio che
si connota quasi come personaggio vivente, pulsando di tradizioni e di
storia, e segnando il cammino di coloro che, abitandolo, lo portano
inscritto nel proprio destino, come fosse il nome di un familiare a cui si è
legati indissolubilmente.
E il giorno successivo, grazie alla disponibilità della Schiantarelli e di
suo marito (premuroso papà-in-attesa della primogenita Alice, la cui nascita
è prevista in Gennaio), ne scopriamo alcune delle numerose bellezze
architettoniche, come l'Insigne Collegiata di San Giovanni Battista (sec.
XVII-XVIII), considerata l'edificio barocco più importante della Valtellina,
e il Palazzo Malacrida (sec. XVIII), aristocratica dimora nobiliare decorata
da eleganti affreschi, stucchi e camini, vicino a cui è ubicato il punto di
partenza della nota Via Priula. Questa strada, che oggi collega Morbegno a
Bergamo, fu tracciata dal podestà bergamasco Priuli alla fine del 1500,
quando la provincia di Sondrio era sotto il dominio Grigionese e la
provincia di Bergamo faceva parte della Serenissima Repubblica di Venezia.
Il sentiero consentiva ai veneziani di transitare attraverso le Orobie fino
al Canton Grigioni, trasportando le proprie merci ed imbastendo rapporti
commerciali col Nord Europa, senza essere soggetti al pagamento degli
ingenti dazi doganali in vigore nel Ducato di Milano. Nel tempo divenne la
via che centinaia di emigranti percorsero per raggiungere la Svizzera e la
Germania in cerca di occupazione.
Il pranzo ci fornisce l'occasione di assaggiare uno dei piatti tipici della
tradizione culinaria locale, gli squisiti pizzoccheri. E' durante questa
pausa che chiedo a Maddalena qualche precisazione in più in merito alla sua
tesi, raccogliendo alcune preziose informazioni sul tema del frontalierato e
dell'odierna situazione economico-politica della Valtellina.

Prima di tutto vorrei sapere se sei contenta che la tua tesi sia pubblicata
sul Portale dei Lombardi del Mondo.
Sì, certamente. Non mi aspettavo tanto interesse per la parte storica e
socio-economica della mia ricerca che, almeno in partenza, voleva essere una
raccolta commentata dei dati statistici del fenomeno del frontalierato.

Hai accennato al fatto che durante la stesura del tuo lavoro sia stata
mostrata una certa attenzione all'argomento, sebbene, però, nessuna
istituzione ti abbia concretamente appoggiata, soprattutto per quanto
riguarda la raccolta dei dati. Oggi auspichi ancora un sostegno
istituzionale, magari per diffondere i risultati della tua ricerca?
Più che ad una diffusione dei dati auspicherei ad un loro aggiornamento
(sono passati quasi 5 anni), nonché ad un completamento della mia ricerca
con le informazioni che non sono stata in grado di reperire nel 2003, per
ragioni di tempo, ma anche e soprattutto per la mancanza di un appoggio
istituzionale. Sarebbe interessantissima, ad esempio, una raccolta completa
di dati suddivisi per Comune, oltre che per destinazione.
Ovviamente i dati che cerco non sono di facile reperimento. Una frase che mi
sono sentita ripetere spesso durante la cernita del materiale è stata: “Noi
non abbiamo nulla, ma appena trovi qualcosa facci sapere”. Questo dimostra
che già all'epoca c'era sì un interessamento istituzionale, ma non ancorato
ad un'effettiva voglia di ricerca.

Mi spiegheresti meglio la questione del trattato italo-svizzero, secondo il
quale il 40% delle tasse dei lavoratori emigrati ritornerebbe ai comuni di
confine, che hanno l'obbligo di investire questi proventi sul territorio?
Con un accordo bilaterale firmato da Italia e Svizzera nel 1974, volto ad
evitare la doppia imposizione fiscale a carico dei lavoratori frontalieri, i
Cantoni confinanti con l'Italia (Ticino, Grigioni e Valdese) si sono
impegnati a girare annualmente allo Stato italiano il 40% dell'imposta sul
reddito lorda pagata dai frontalieri (poiché i redditi di lavoro frontaliero
sono imponibili in Svizzera). Secondo l'accordo il versamento è effettuato a
titolo di compensazione finanziaria delle spese sostenute dai comuni di
frontiera a causa dei frontalieri residenti sul loro territorio. Questi
soldi vengono poi ripartiti proporzionalmente alle regioni di residenza dei
lavoratori interessati e, successivamente, ai comuni di frontiera,
direttamente o tramite le Comunità Montane (in base alla percentuale di
frontalieri residenti).
La Lombardia ha stabilito che questi ristorni vengano utilizzati nelle zone
di frontiera per opere di interesse sociale, quali implementazione dei
trasporti, miglioramento della viabilità, case per lavoratori, per citarne
solo alcune.

Come si presenta oggi la situazione economica della Valtellina? In futuro
ci saranno nuove prospettive di lavoro o l'emigrazione continuerà a
rivestire un ruolo fondamentale nel tessuto sociale della zona?
La crisi economica si fa sentire anche qui e molto pesantemente, i piccoli
commercianti ed artigiani chiudono, ma non va certo meglio alla grande
distribuzione o alle industrie presenti nella zona. Per quanto riguarda
queste ultime, negli ultimi anni parecchie di loro hanno decentralizzato la
produzione in Romania, dove il costo della manodopera è notevolmente
inferiore. E quando un'azienda chiude, oltre agli operai in cassa
integrazione, sono messe in ginocchio tutte le attività artigianali
cosiddette terziste, che qui in valle non sono poche. Penso, quindi, che in
questa particolare e difficile congiuntura economica l'emigrazione possa
rivestire la sua storica funzione di valvola di sfogo per tutte quelle
persone che si trovano senza lavoro. Bisogna tuttavia considerare che il
momento di crisi è globale e che sicuramente non lascerà indenne nemmeno la
Svizzera.

Mi sembra di capire, quindi, che la problematica di cui ti sei occupata è
ancora attuale.
Lo è sicuramente e le ragioni sono sempre le stesse: la vicinanza geografica
e socio-culturale, che si avverte molto soprattutto nei paesi di confine.
Credo poi che, con l'apertura delle frontiere (che avverrà a partire dal 12
dicembre), un giorno scomparirà del tutto anche la percezione della Svizzera
come Paese estero, anche se sicuramente alcune differenze rimarranno, se non
altro dal punto di vista politico.

Le domande poste a Maddalena in questa intensa giornata sono davvero
tantissime. Visitiamo ancora diversi luoghi di Morbegno turisticamente
affascinanti, e stimolanti alla luce del nostro precipuo interesse:
l'emigrazione. Allo sguardo attento di Daniele non sfugge il monumento agli
emigranti, che si trova nella zona industriale della cittadina, una
struttura d'arte contemporanea dalle forme arrotondate, come in un abbraccio
tortuoso e involuto, che ci impegna in una discussione accesa circa il suo
significato profondo, anche in relazione all'ambiguo atteggiamento di
rimozione dell'esperienza migratoria, che, infatti, in tutta la penisola è
stata ricordata e celebrata assai di rado con opere pubbliche (manca un
grande Museo dell'Emigrazione Italiana di rilevanza internazionale, ad
esempio).
Non è possibile tradurre in poche righe il senso di un incontro, riportare
fedelmente le suggestioni e gli spunti di riflessione che il dialogo con
l'altro suscita, né i colori di una terra intravisti appena, le sue
sfumature, filtrate dalla voce di chi c'è nato e la conosce bene. La breve
permanenza a Morbegno si può dire forse attraverso qualche scatto
fotografico, e il discorrere con Maddalena si può riassumere, sebbene solo
in minima parte, in una sintetica intervista.
Ma resta la consapevolezza che, in fondo, quanto di importante è avvenuto
non troverà asilo se non in un angolo di memoria, un non-luogo popolato dai
frammenti di parole e immagini rubate alle persone e ai luoghi che si è
avuto il piacere d'incontrare.

Autore: Silvia Giovanna Rosa

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John Fugazi, da Santo Stefano Lodigiano a San Francisco

John Fugazi nacque Giovanni Battista Fugazza il 12 febbraio 1838 in contrada
Piazzollo di Santo Stefano Lodigiano, provincia di Lodi, allora Santo
Stefano al Corno, provincia di Milano, da Bernardo e Maria Domenica Mazzi.
Fu poi battezzato nella chiesa dedicata alla Beata Vergine Assunta in Cielo,
padrini Alessandro Razetti con Giuseppe e Veneranda Borella.
I genitori erano probabilmente di origine ligure ; infatti, il paese di
Santo Stefano d'Aveto ne reclama i natali, pur non documentandoli. Tuttavia,
già nel 1988, il comune di Santo Stefano Lodigiano aveva confermato
l'avvenimento in occasione del 75° anniversario della fondazione della
Fugazi Hall di San Francisco.
Altri dati, desunti da articoli vari, sembravano oscurare il luogo di
nascita, citando, ad esempio, un generico Milano, sempre senza riferimenti a
fonti manoscritte.
La svolta avvenne nell'agosto 2006, grazie all'interessamento della
dott.ssa Maria Grazia Casali dell'Archivio Storico Diocesano di Lodi e del
parroco don Primo Ceresa, che ha permesso di rintracciare e consultare i
registri della parrocchia di Santo Stefano Lodigiano riguardanti John
Fugazi.
Tutte le informazioni conducevamo a Santo Stefano :il registro dei
battezzati diede la risposta senza troppe difficoltà : Ego Joseph Salvaderi
baptizavi infantem hodie circa meridie natum a Bernardo et Maria Mazzi (.)
nomen impositum fuit Joannis Baptista.
Ma che era Giovanni Fugazza alias John Fugazi?
John Fugazi, il cui padre faceva il carrettiere e la madre l'operaia di
filanda, partì per l'America da Genova il 27 ottobre 1854 a bordo del vapore
“Alabama”, che arrivò a New Orleans il 17 gennaio 1855. Il cognome, già
storpiato in Fawgase, diverrà in seguito semplicemente Fugazi.
Dopo aver girovagato da New Orleans a Memphis, Cincinnati e New York, Fugazi
arrivò in California nel 1860 dove continuò le sue peripezie, alla ricerca
di un lavoro stabile. fino al 1869. A San Francisco, dopo aver venduto anche
tinture per capelli, avviò la propria agenzia di viaggi con la
rappresentanza della “White Line Star”. Oltre ai passaggi marittimi e
ferroviari, Fugazi custodiva e trasferiva il denaro dei suoi connazionali,
molto sospettosi delle banche americane. (L'agenzia viaggi Fugazi/Dana
Giusti Travel Agency è tuttora esistente)
L'attività pseudo-bancaria di Fugazi si evolse nel 1893, allorché decise di
aprire la propria cassa di risparmio : Columbus Savings and Loan Society che
nel 1901 arrivò ad avere un deposito di 1.5 milioni di dollari. Nel 1905
Fugazi lasciò la banca, ma nel 1906, subito dopo il terremoto di San
Francisco, diede vita ad un'altra istituzione, la Italian People's Bank –
Banca Popolare Operaia, per aiutare gli immigrati a riprendere dalla
tragedia, soprattutto economica.
Poco alla volta Fugazi si ritirò dagli affari, ma continuò a contribuire sia
moralmente sia finanziariamente al benessere della comunità italiana di San
Francisco. Sognava di donare un centro per riunire tutte le associazioni
italiane. Dopo diverse traversie, riuscì a portare a termine il suo progetto
: la Casa Coloniale Italiana Fugazi fu infatti inaugurata nel 1913 al numero
678 di Green Street a San Francisco. Il grande edificio di tre piani,
sormontato da una nicchia contenente il busto di un John Fugazi dalla lunga
barba mosaica, ospitò in varie riprese le diverse associazioni italiane : il
comitato di soccorso, la camera di commercio, la scuola italiana, il
consolato italiano, la società Dante Alighieri ed altre ancora.
John Fugazi morì nel 1916.
Un secolo dopo la sua scomparsa, il quartiere a prevalenza italiano di North
Beach è decisamente mutato, ma sono molte le testimonianze rimaste : la
chiesa di San Pietro e Paolo, quella di San Francesco d'Assisi, il caffé
Vesuvio, il caffé Trieste, il City Light Bookstore fondato da Lawrence
Ferlinghetti e caro alla Beat generation di Ginsberg e Kerouac, il negozio
di alimentari Molinari, il ristorante Fior d'Italia.
E la Fugazi Hall, dove da 30 anni è in scena lo stravagante spettacolo di
Steve Silver, Beach Blanket Babylon, che resiste all'incalzare del tempo.
Una storia, un pezzo di Lombardia tutto da raccontare.

Ernesto R Milani
Ernesto.milani@gmail.com
8 dicembre 2008

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Intervista a Eugene Ulisse Mariani

Quali sono i tuoi commenti sull'elezione di Barack Obama a Presidente degli
Stati Uniti d'America?
Quali saranno i cambiamenti?

Cercherò di dare una risposta secondo la mia prospettiva di italoamericano
e di cittadino americano qualunque che ha fortemente sostenuto Barack Obama
dirante la sua campagna presidenziale. Come ben sapete, sono impegnato da
molti anni nella comunità italoamericana di St. Louis, Missouri. Fondandomi
sulla mia esperienza, non credo che per quanto riguarda questa elezione, gli
italoamericani abbiano preso una posizione specifica. Molti ialoamericani
hanno votato per Obama e molti per McCain ma in entrambi i casi senza un
pregiudizio razziale. Il fatto che un candidato fosse nero e l'altro bianco
non ha influenzato il processo decisionale della maggior parte degli
elettori italoamericani, soprattutto quelli giovani. Le questioni più
importanti hanno riguardato la rispettiva linea politica dei candidati e
non il colore della pelle. Non è stato un problema di razza.

Il pregiudizio è una cosa che molti vecchi italoamericani hanno sperimentato
direttamente negli Stati Uniti. Il pregiudizio anti-italiano è ancora nitido
nella mente di molti di noi. Io sono un italoamericano di prima generazione.
Mio padre emigrò dall'Italia nel 1922 e mia madre, seppur nata negli Stati
Uniti, era la figlia di immigrati italiani. Io sono nato nel 1932. Sono
cresciuto durante gli anni della grande depressione e della Seconda guerra
mondiale, e ricordo di avere visto e sperimentato, da ragazzo, molti esempi
di pregiudizio anti-italiano. Negli Stati Uniti quella situazione non esiste
più. Con il passare del tempo i bambini italoamericani sono cresciuti, hanno
frequentato l'università e si sono integrati nella cultura e nella società
americana. Non esiste più alcun limite a quanto gli italoamericani possono
realizzare o raggiungere in qualsiasi campo, sia negli affari, nelle
professioni, nelle università o in politica.

Ma il pregiudizio verso gli afroamericani è stato infinitamente più grande
di quello sperimentato da qualsiasi altro gruppo etnico e mentre la
legislazione sui diritti civili ha enormemente ridotto l'ingiustizia
conseguente, negli Stati Uniti il pregiudizio è tuttora esistente –
soprattutto in alcune parti del Paese. E il fatto che il pregiudizio esista
tuttora è ciò che ha dato importanza storica a questa elezione. Così come
l'elezione di John Kennedy, il primo cattolico mai diventato Presidente,
smentì il fatto che la religione sarebbe stata un fattore decisivo nelle
elezioni presidenziali, il fatto che gli americani – bianchi e neri – –
abbiano votato con una maggioranza schiacciante per eleggere Barack Obama
Presidente degli Stati Uniti, ha smentito la convinzione che la razza
sarebbe stata la questione dominante di questa elezione. Il fatto che un
nero sia diventato Presidente degli Stati Uniti è d'importanza storica
incommensurabile e di significato essenziale. Appena pochi anni fa, sarebbe
stato inconcepibile che un nero potesse diventare Presidente degli Stati
Uniti. Adesso è realtà. E' una svolta nella storia americana e il Paese non
sarà più quello di prima.

In generale, gli italoamericani che conosco non hanno votato Obama per due
motivi. IL primo motivo è che molti sono Repubblicani conservatori convinti
che il Partito democratico porti il Paese troppo a sinistra verso il
Socialismo e lo stato assistenziale. Il secondo motivo è che molti
italoamericani sono Cattolici, almeno nominalmente, e molto preoccupati
della questione dell'aborto. La Chiesa cattolica ha assunto una posizione
molto forte contro l'aborto e ha fatto chiaramente capire che un voto per il
Partito democratico sarebbe stato un voto per ribaltare l'emendamento
costituzionale Roe contro Wade. Penso che molti cattolici italoamericani
siano stati fortemente influenzati dalla posizione della Chiesa e che
abbiano votato Repubblicano soltanto per questo motivo.

Io ho votato Barack Obama perché ho pensato fosse la scelta migliore per il
mio Paese. A convincermi sono stati la sua intelligenza, la sua eccellente
istruzione, la sua storia familiare, la sua educazione internazionale e le
sue origini, la sua capacità d'espressione, la calma e il suo comportamento
ponderato. Credo pure nei principi basilari di Obama e del Partito
democratico ; la sua posizione sulla guerra in Iraq, sull'assistenza
sanitaria universale, il miglioramento dell'istruzione. Da Cattolico
praticante sono contrario all'aborto, ma penso che sia una questione morale
e di scelta personale. Credo pure che, quando si considera la direzione
generale del Paese, esistono altri problemi morali – come l'assistenza
sanitaria universale – che meritano pari attenzione.

Penso che la strada di Obama e degli Stati Uniti sarà difficile visti gli
immensi problemi legati alla situazione economica, la guerra, il terrorismo,
l'ambiente e la globalizzazione, per citare alcune delle questioni che noi e
il mondo ci troviamo ad affrontare. Ma credo che Obama riuscirà a riportare
il Paese sulla strada giusta e che la sua politica migliorerà la vita di
tutti gli americani e che gli Stati Uniti otterranno nuovamente il rispetto
e l'ammirazione del mondo intero. Sì, ce la possiamo fare.

Trad. Ernesto R Milani

Ernesto.milani@gmail.com

10 dicembre 2008

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America America

Si è chiusa il 23 novembre 2008 a Castel Goffredo, Mantova la rassegna
sull'emigrazione italiana allestita da Ernesto R Milani in collaborazione
con la fondazione Giuseppe Acerbi e sotto l'egida dell'Ecoistituto della
valle del Ticino di Cuggiono, Milano e dell'Associazione di Mantovani nel
Mondo di Mantova.
La mostra è stata parte delle manifestazioni celebrative del Premio
Letterario Giuseppe Acerbi che quest'anno ha celebrato la letteratura
italoamericana. Il premio più ambito è stato vinto da. Helen Barolini con
“Umbertina”, libro che narra le vicende di tre generazioni di emigranti
basato anche sull'esperienza personale dell'autrice. Di rilievo la presenza
di un altro importante scrittore come Robert Viscusi, autore di “Astoria.”
Chi volesse approfondire la materia può consultare il Quaderno del premio
letterario Giuseppe Acerbi riguardante la letteratura italoamericana
pubblicato per l'occasione.
La mostra AMERICA AMERICA è stata visitata e commentata dai curatori
soprattutto dagli alunni delle scuole locali. Almeno trecento allievi hanno
seguito le vicende migratorie italiane attraverso i pannelli esplicativi
corredati da fotografie d'epoca che illustrano le fasi salienti soprattutto
del grande esodo di fine 1800.
Alla parte storica, necessaria per costruire la base della narrazione, sono
poi seguite le spiegazioni relative alle fotografie originali di emigrati
lombardi negli Stati Uniti per contestualizzarne la presenza nelle varie
città.
Gli studenti sono stati colpiti soprattutto dagli oggetti esposti, le
coccarde e le fotografie delle società di mutuo soccorso tra emigrati
italiani ed altri gruppi etnici solitamente assenti nelle mostre. Coccarde
che delineano la presenza lombarda nelle miniere dell'Illinois, del Montana,
a San Francisco, San Louis, Boston, Rockford.
Grande interesse anche per l'edizione originale di “Umbertina” donata nel
1979 da Helen Barolini in Minnesota.
Gli studenti hanno indossato pure le stole di alcune società di mutuo
soccorso per calarsi un po' nei personaggi.
Il sacco per la raccolta del cotone appartenuto a Nello Gasparini di Shaw,
Mississippi ha suscitano grande interesse. E' stato sorprendente per tutti
sapere che agli inizi del 1900 circa 300 persone di Sermide, Mantova furono
ingaggiate per lavorare nelle piantagioni di cotone per sostituire ed
affiancare la manodopera afroamericana.
Oggi Castel Goffredo, come molti centri contigui ha una crescente
immigrazione extraeuropea. E' importante che nel processo di integrazione di
questi nuovi immigrati, si conoscano le vicende dei lombardi emigrati appena
qualche decennio prima.

Ernesto R Milani
Ernesto.milani@gmail.com
24 novembre 2008

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Mantova al V Festival Cambalache di Buenos Aires

Questo spettacolo sperimentale ha riunito teatro, tango e video. La storia?
Un giallo: Buenos Aires, l'alba di un giorno qualsiasi, una ragazza (Greta)
viene uccisa, tre i presunti sospettati : il fidanzato bullo (Tito) che
spesso è invaso dai ricordi della mamma; un fioraio che ama Greta
segretamente e non si dichiara (Amato) e una vicina di casa (Samantha)
perfida ed invidiosa che vuole a tutti i costi le scarpe rosse di Greta per
ballare.
L'unica testimone di questo intruglio è Atropo (una delle tre Moire) che
annoiata di tagliar fili accompagnerà nelle ultime ore di vita alla
sfortunata vittima imparando qualche passo di Tango e inciampando nella vita
dei tre sospettati. Nei video il passato di Greta. In scena il presente.

Patrizia ci racconta la sua esperienza.
Unire il teatro al tango non è stato facile: abbattere le forme per dare più
compattezza e volume ai movimenti (che non è lo stesso che azioni), creare
spessore nei personaggi grazie alla finzione, creare una accumulazione di
successi nei protagonisti una vera e propria sfida scenica. Vinta senza
dubbio.
Avevo partecipato a performance però è stata la mia prima esperienza nel
Teatro/Danza.

La sfida è stata grande anche perchè la disciplina danzistica, purchè vicina
a quella teatrale, ha un fattore in comune, però invertito: nel teatro la
base della costruzione del personaggio è interna, nella danza la forma e la
tecnica sono esterne. Quindi capire quale strada prendere e come transitarla
ci ha portato via un po`di mesi di lavoro, molte le difficoltà di linguaggio
da entrambe le parti.

Mi sono ispirata a Fellini in alcuni quadri dello spettacolo, cercando di
imbrattare il prototipo del ballerino di tango impostato e maschilista e a
Peter Greenaway nel disegno delle luci, cercando di ricreare atmosfere ed
ombre che varcassero anche la soglia del Cinema.

Mi considero ancora una regista in erba in alcuni aspetti o forse sto
plasmando semplicemente il mio modo di vedere la scena, non so… buone le
critiche degli addetti ai lavori e dei colleghi.

Il pubblico ha risposto positivamente e con slancio all' inedita proposta di
un giallo scenico multimediale, il pubblico ha sempre l' ultima
parola…dicono.

Il 20 dicembre c/o il Teatro del Club Italiano si presenterà Wiked, una
commedia musicale basata sulla storia del Mago di Oz: le coreografie sono di
Irina Esquivel (Direttrice dell' Accademia Artistica ArteMixta) e la regia
teatrale è di Patrizia Marcheselli. In bocca al lupo!!

18.12.2008

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