Livelli Minimi di e-government: enti locali "quasi digitali"

di Michela Stentella

Foto di Reto Fetz
Qual è lo stato dell’e-government nella PA locale e, soprattutto, quale percezione hanno di questa realtà e di queste politiche i soggetti che dovrebbero occuparsene in prima persona? Parte da questo interrogativo la “Ricerca LEM – Livelli Minimi di e-Government negli Enti Locali” realizzata dalla SSPAL, Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale, e di cui ieri sono stati presentati i primi risultati.

La ricerca, avviata nel maggio scorso, non è stata condotta su un campione statistico rappresentativo, ma su un panel di 170 segretari comunali, che hanno partecipato ai corsi istituzionali di specializzazione SSPAL 2008. Questa élite scelta per l’indagine è attiva per il 63% in Comuni con popolazione compresa tra i 5.000 e i 15mila abitanti, per il 24% in Comuni con meno di 5.000 abitanti, per il 13% in Comuni con più di 15mila abitanti.

La novità della Ricerca, come hanno sottolineato i responsabili del progetto, sta nell’aver spostato l’attenzione dagli “oggetti” ai “soggetti” dell’innovazione tecnologica, dall’applicazione di norme e introduzione di nuovi modelli di gestione al ruolo del segretario comunale come “agente di innovazione”, in coerenza con l’evoluzione di questa figura nella governance dell’ente. La domanda di fondo è: chi ha titolo e volontà per promuovere i processi di innovazione all’interno della PA locale?

Per quanto riguarda i LEM (Livelli Minimi di e-government) del titolo, la loro eventuale definizione sembra comunque rimandata ad una seconda fase.
“Continueremo questa attività il prossimo anno per capire come utilizzare e ampliare questa ricerca per definire i LEM, rispondendo così a quello che è un vero e proprio diritto costituzionale”, ha detto Paolo Zocchi, vice direttore della SSPAL, sottolineando come i cittadini abbiano il diritto di vedere garantiti alcuni livelli essenziali di prestazione, quindi una qualità minima dei servizi. Il riferimento di Zocchi è, in particolare, al riformato art. 117 della Costituzione, in cui si dice che allo Stato compete la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

“L’e-government – ha aggiunto Zocchi – non è solo un insieme di meccanismi, che servono a semplificare e snellire i processi della PA. Non è solo protocollo informatico, firma digitale, e così via, ma è la capacità della PA di dare servizi ai propri cittadini attraverso le nuove tecnologie. L’e-gov si vede sul territorio, deve essere percepito giorno per giorno dai cittadini e dalle imprese. Insomma, significa qualità dei servizi e qualità della vita”.
Quello che bisogna capire è come stabilire un livello minimo di prestazione da cui non si possa prescindere, quali parametri prendere come riferimento e come conciliare la necessità di fissare nuovi parametri da rispettare con la volontà di non fare dell’e-gov il mero adempimento di una norma.

Su Saperi PA gli interventi a FORUM PA 2008 in materia di e-government negli enti localiLa Ricerca: qualche numero

Ai segretari è stato somministrato un questionario diviso in cinque parti, per un totale di 100 domande, con l’obiettivo di definire: il profilo del segretario all’interno dell’ente, con particolare riferimento alle competenze e all’uso delle ICT; la conoscenza dei termini e dei processi di innovazione tecnologica e lo stato di attivazione di questi processi presso l’ente; la gestione dei servizi ICT, anche relativamente agli investimenti stanziati e alla spesa prevista; il rapporto con il territorio (e quindi con gli stakeholders, ad esempio le imprese); opinioni e commenti riguardo le attese sul potenziale delle ICT nel miglioramento organizzativo e gestionale dell’ente.

Segretari autodidatti. Il 76% degli intervistati dichiara, nell’uso del computer, un grado di confidenza “medio”, il 14% un grado “alto” e il 10% un grado “basso”. In generale, la confidenza appare più bassa tra i segretari di sesso femminile e tra quelli di età superiore ai 55 anni. Il livello di preparazione, comunque, non sembra legato ai percorsi di formazione professionale: il 96% degli intervistati, infatti, dichiara di aver sviluppato le proprie competenze informatiche attraverso l’autoformazione; solo il 27% le ha integrate grazie a corsi di formazione organizzati da enti o istituzioni, mentre il 12% grazie all’offerta formativa privata. Nasce, quindi, una riflessione sul ruolo della formazione e su come farne una leva strategica, intendendo l’innovazione non come una politica di settore, ma come una politica di sviluppo professionale a 360 gradi.

Segretari “quasi digitali”. Il 70% dei segretari intervistati sostiene di utilizzare internet per motivi di lavoro tutti i giorni e più volte al giorno, il 22% almeno una volta al giorno. Solo il 5%, invece, lo usa saltuariamente e l'1% proprio mai. Ma quali sono le motivazioni per cui ci si collega alla rete? Soprattutto per ricevere e inviare e-mail (96%), per consultare siti web di altre pubbliche amministrazioni (89)%, per consultare database giuridico-normativi (85%) e per la ricerca di materiali per la redazione di documenti e rapporti (74%). Stenta invece a decollare l'utilizzo dell'intranet comunale: solo il 41% del campione afferma di usare internet a questo scopo.

Orientamento e obiettivi dei Comuni. Secondo il 68% degli intervistati innovare la macchina comunale è tra gli obiettivi strategici dell’amministrazione in cui opera, mentre solo il 27% dichiara di no e un residuo, ma non irrilevante, 5% afferma di non potersi esprimere, perché non conosce come stanno le cose!
Il 75% degli intervistati, poi, afferma di avere attivato processi di e-government presso i Comuni in cui è in servizio.
Dal punto di vista dell’impiego delle ICT, nei Comuni dei segretari intervistati si evidenzia un fenomeno a prima vista singolare: il ricorso ad archivi digitali condivisi, a banche dati comuni e a risorse da condividere in rete fa segnare una percentuale di disponibilità superiore a quello dell’utilizzo della posta elettronica per comunicazioni interne (92% contro 76%). Un elemento forse attribuibile, secondo gli estensori della ricerca, alla ridotta dimensione di questi enti, che potrebbe favorire la comunicazione diretta, personale e informale.

Risorse, mezzi e responsabilità gestionali. Per quanto riguarda la spesa in ICT, il 34% dei Comuni rilevati ha speso nel 2007 una cifra variabile tra 50.000 e 100.000 euro; un altro 34% tra i 10.000 e i 25.000 euro; il 22% meno di 10.000 euro e solo il 9% più di 100.000 euro. Cifre molto diverse, mentre un dato che accomuna tutti è il fatto che gli investimenti in innovazione siano finanziati essenzialmente con risorse proprie, anche nel caso in cui vi sia il concorso di risorse esterne, ad esempio dalla Provincia o Regione, attraverso la partecipazione a progetti finanziati, partnership pubblico-privato o sponsorizzazioni.
Nell’individuazione delle varie responsabilità gestionali che possono avere un’influenza sui processi di innovazione (e in particolare nel rapporto con i fornitori di prodotti e servizi ICT), se da una parte abbiamo una pluralità di ruoli, è poi vero che i segretari dichiarano di accettare la sfida e si candidano ad essere i responsabili dei processi di innovazione nei loro Comuni.

Prospettive. Le procedure tradizionali sono pienamente sostituibili con gli strumenti previsti dal Codice dell’Amministrazione digitale? La strada sembra ancora molto lunga: se da una parte il protocollo informatico è l’innovazione che registra i maggiori consensi, la sostituzione della corrispondenza tradizionale e delle raccomandate con la posta elettronica sembra ormai pienamente realizzabile e il mandato elettronico di pagamento comincia a diffondersi, altre innovazioni stentano invece a farsi accettare, soprattutto la firma digitale e la conservazione sostitutiva.
“Ancora non si è capito che l’inserimento di nuove tecnologie all’interno della PA non può essere fatto a ‘pezzettini’ – sottolinea Zocchi – se ci si limita solo ad applicare una norma alla fine le cose non cambiano”.
Che le idee non siano proprio chiare si capisce anche dal fatto che, alla domanda su quali leve si possano utilizzare per rimuovere le resistenze all’innovazione, il 41% degli intervistati addirittura non risponde!
“C’è una sensibilità sul fatto che si tratta di argomenti importanti – conclude Zocchi – ma non si hanno ancora gli strumenti per metterli in atto”.

Su questi temi ci ripromettiamo di tornare a breve, per cercare di capire se e come l’innovazione tecnologica nella PA locale possa davvero tradursi in strumento per garantire ai cittadini il soddisfacimento di un diritto che si traduce in una migliore qualità della vita.

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