Auguri da un Muro: a Ramallah

Auguri da un Muro: a Ramallah

“La foto ritrae un piccolo murales che si trova a Ramallah ed è stata scattata da un’amica che vi si è recata quest’anno.
Volentieri ve la inoltro, con i miei sinceri auguri di buone feste ed un proficuo anno 2009″:
così ci scrive Yousef Salman, Delegato della Mezza Luna Rossa Palestinese in Italia.
Seguirebbero a non finire le testimonianze di tanti piccoli, minori, “terroristi” in erba con kefia in testa o al collo e sasso in mano. Peccato che quei piccoli terroristi, sono cresciuti in decenni e si sono fatti uomini adulti e ne nascono altri, anche nella notte del 24 dicembre. Da queste parti, i muri non sono stati abbattuti anzi, se ne sono edificati di nuovi e alti, sradicando olivi. Rametti di pianta vitale in Palestina, i cui frutti sono a noi ben noti anche nelle nostre case e benedetti, per altre Feste e nel mese pasquale, quello della Resurrezione, che per alcuni non ha calendario di Avvento ed Evento.
Dal sito Pressante, riporto la parte finale di “A letter from Gaza”: “Sono alla fine tornato a casa poche ore fa dopo aver aspettato per molto tempo per trovare un mezzo di trasporto. Ma quando alla fine sono riuscito tornare a Rafah sono crollato per un riposo di un’ora. Il mio sonno è stato spezzato: mi sono svegliato terrorizzato da quello che seppi poi essere il bombardamento da parte degli F-16. Sono corso dal mio letto per tutta la nostra casa buia e non vedendo nessuno della mia famiglia all’interno, sono corso scalzo per strada. Molte persone erano per strada, i giovani uomini correvano. Non capii, non sapevo cosa stessi facendo, a parte correre senza sapere dove ero diretto. Molta gente aveva chiuso le finestre e abbassato le persiane visto che al momento c’è un freddo gelido. Sono stato contento di non essermi ferito con i vetri rotti e le macerie sulle strade. Sono tornato a casa per scrivere questa lettera sul mio portatile. Ma ho deciso che tornare a dormire non è una buona idea, non importa quanto io sia esausto. Se devo morire (e non lo desidero) voglio essere sveglio per sapere che sto morendo e per colpa di chi. Non addormentato”.
Forse è sfuggito, presi come siamo da una pagina attuale, già lanciata il 23 giugno 2007 dal Corriere della Sera- Fini cambia tutto anche per noi- quello che è accaduto a Gerusalemme il 15 dicembre.
A marzo il Consiglio per i diritti umani dell’Onu con sede a Ginevra aveva assegnato a Richard Falk, un ebreo americano e professore emerito alla Princeton University, un incarico di sei anni per monitorare la situazione umanitaria nei Territori palestinesi ma Falk, l’inviato delle Nazioni Unite, e in quella data, aveva dichiarato che gli israeliani si comportano con i palestinesi come i nazisti contro gli ebrei (il predecessore di Richard Falk, il sudafricano John Dugard, aveva paragonato la situazione di vita dei palestinesi a quella dell’apartheid) e rifiutandosi di ritirare il controverso paragone, il ministero degli Esteri israeliano lo aveva avvisato che non gli sarebbe stato consentito il permesso. Per cui il 15 dicembre, come promesso, l’ingresso nel Paese gli è stato impedito, all’aeroporto Ben Gurion, di entrare in Israele. Vano che il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha espresso rammarico per il fatto che Israele ha negato l’ingresso all’inviato speciale nei Territori palestinesi del Consiglio per i Diritti Umani Richard Falk.
E oggi, domenica 21 dicembre 2008, Israele ha permesso l’ approdo a Gaza, nell’enclave palestinese della ‘Ss Dignity’, l’imbarcazione che dall’estate scorsa periodicamente porta aiuti umanitari alla popolazione del minuscolo territorio, nelle cui stive si trova latte per il consumo infantile e una tonnellata di medicinali messi a disposizione dal gruppo ‘Free Gaza’, promotore dell’iniziativa sul quale grava il blocco navale imposto un anno e mezzo fa dallo Stato ebraico, con a bordo diciassette attivisti di varie nazionalità, tra cui quattro membri di una fondazione benefica del Qatar, tre libanesi e due cittadini israeliani, un giornalista e la pacifista Neta Golan, residente nella città cisgiordana di Ramallah e fondatrice del Movimento di Solidarietà Internazionale: nelle stive, latte per il consumo infantile e una tonnellata di medicinali.
A Bil’in gli abitanti, con pacifisti stranieri e israeliani, hanno marciato come di consueto da tanti venerdì, contro il muro e la confisca di terre palestinesi, ostentando le scarpe, lanciate poi contro i militari e il bilancio è stato di decine di intossicati dai lacrimogeni e 8 feriti dai proiettili tra cui un giornalista israeliano e uno palestinese.
Ma le agenzie di stampa fanno sapere che la tregua è rotta, se mai c’è stata…seguiranno altre rivendicazioni dall’uno e dall’ altro fronte.
Da noi, in Italia, si ri-batte con ottimismo: “Bisogna battere questa atmosfera di paura. Questa canzone della crisi, questa negatività che si respira ha diffuso la paura anche tra chi nulla ha da temere. Ed è questo che può inasprire la crisi”. Parola di Silvio Berlusconi, altro che Merry CRISIS and a happy new FEAR…
E così dal checkpoint, si fa Natale anche così, disegnandolo su un Muro e ci mandano gli auguri.
Doriana Goracci

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