Intervento in aula dell’on. Santolini

discussione sulle linee generali – A.C. 1634-A)

Luisa Capitanio Santolini

Signor Presidente, il Ministro mi ha detto che dovrà allontanarsi, e quindi la ringrazio per l'attenzione di avermi avvertita. Spero che si prenderà magari la briga di dedicarmi qualche minuto di lettura, se ne avrà il tempo, e, se ne avrà la possibilità, di darmi poi delle risposte nelle sedi opportune. Mi auguro quindi che il mio intervento non sia inutile ai fini di un dibattito parlamentare (rimane il sottosegretario, e quindi chiedo a lui l'attenzione e poi, eventualmente, di riferire al Ministro le cose che dirò).
Come seconda premessa, dal momento che c'è gente che ci ascolta alla radio e questo dibattito è, fortunatamente, pubblico, gradirei – lo dico per una questione di metodo e lo dico alla maggioranza – che quando si parla di «opposizione» si chiarisse di quale opposizione si parla. È troppo semplice dire l'«opposizione», ed è un vizio metodologico che richiamo e che ricordo proprio per coloro che ci ascoltano: di «opposizioni» in questo Parlamento ve ne sono infatti due, se non tre, visto che Di Pietro spesso si distingue dal Partito Democratico.
Noi, comunque, abbiamo una linea molto diversa, e – ci tengo a sottolinearlo – non abbiamo presentato pregiudiziali di incostituzionalità con riferimento a questo decreto-legge. Nella mia dichiarazione di voto l'ho sottolineato più d'una volta, e ci tengo a ribadirlo in questa sede ed in questa occasione, perché ritenevamo che l'obiezione di incostituzionalità fosse ormai una sorta di rito, ma – giusto o sbagliato che sia – si usa comunque fare così, ed ormai questa prassi è stata talmente abusata che non ha ragione di esistere tra persone serie che vogliono costruire un dibattito parlamentare altrettanto serio. Mi piacea futura memoria e richiamerò tutte le volte la maggioranza, se dimentica di dire di quale «opposizione» si parla.
Ciò detto, veniamo al nostro dibattito. Com'è noto, faccio un'opposizione, spero argomentata e seria, di metodo e di merito. Anch'io dirò – e non sono l'unica – che non mi piace un decreto-legge che riguarda la scuola, perché la scuola è una cosa troppo seria per essere blindata da un'intesa tra il Ministro del Tesoro e il Ministro dell'istruzione. Credo che la scuola meriti un rispetto ed un'attenzione infinitamente maggiori di quelle che ad essa sono stati dedicati in questo inizio di legislatura.
Concordo sul fatto che la scuola ha bisogno di una cura radicale, drastica, in profondità; però sono anche d'accordo che non si può fare una riforma di questa portata – perché di riforma si tratta, e non sono piccoli aggiustamenti, bensì autentiche riforme, quelle che sono state messe in campo – senza un serio dibattito in Parlamento e nel Paese, senza un coinvolgimento serio di tutti coloro che sono interessati al comparto della scuola e senza che si cercasse di ragionare tra componenti della scuola e, ripeto, pubblica opinione.
Sono d'accordo e concordo: la barricata ideologica del maestro unico o dei tre maestri non mi appassiona più di tanto. Sappiamo tutti quanti che i tre maestri sono stati introdotti non perché questo corrispondeva ad esigenze pedagogiche e formative, ma perché era una precisa esigenza di sindacati e del fatto che diminuivano gli studenti e che, quindi, in qualche modo, bisognava coprire gli organici. Ma è altrettanto vero – credo che di ciò siamo in molti ad esserne convinti – che anche questa controriforma sul maestro prevalente, o maestro unico che dir si voglia, non sia dettata da esigenze pedagogico-formative, ma da esigenze di bilancio. Si tratta di due aspetti della stessa medaglia e a distanza di venti anni ci ritroviamo esattamente nella stessa condizione.
Il Ministro Gelmini all'inizio della legislatura è venuta in Commissione cultura e ha affermato che non avrebbe fatto nessuna riforma; è agli atti e si può verificare. Affermò che non aveva intenzione di farla perché aveva intenzione semplicemente di migliorare l'esistente, dato che la scuola non aveva bisogno di scossoni a ogni Ministro che cambia. Io stessa svolsi un intervento di risposta, affermando di essere perfettamente d'accordo e la ringraziavo per la sua serietà e per la sua volontà di non dare ulteriori scossoni alla scuola. Sono passati due mesi e le cose sono cambiate radicalmente. Evidentemente, i problemi di bilancio che il Ministro Tremonti ha posto sul tavolo di tutti i Ministri, l'hanno indotta a prendere delle decisioni sicuramente faticose e dolorose, ma rimane il fatto che queste decisioni le ha prese. Dispiace molto – lo sottolineo anche alla collega Aprea, che mi sta ascoltando – che le riforme della scuola, giuste o sbagliate che siano, si facciano non a partire dalla scuola, ma a partire da altre ragioni come quelle sindacali, economiche o di altro tipo. Non si riesce a produrre una riforma che parta dalla scuola e ritengo che l'errore di fondo della mancata riforma della scuola sia dovuto al fatto che non esistono un'indagine e una ricerca serie sulla scuola stessa. È vero che in Parlamento sono state realizzate delle indagini conoscitive, prevengo le obiezioni, ma il fatto stesso che, nel dibattito, il Paese sia lacerato dal maestro unico, dal maestro prevalente, da tre maestri, da espressioni come:«no, vanno bene tutti, no, bisogna tornare indietro, la scuola elementare è eccellente, ma lo era anche prima», dimostra che vi è un dibattito ideologico in campo senza che vi sia uno «straccio» di diagnosi convincente sui mali della scuola; non esiste una diagnosi. Si va avanti a colpi di accetta, che possono essere anche giusti, ma non si parte dalla scuola, si parte da altre considerazioni. Non mi risulta che vi sia un'analisi seria su quello che andrebbe realizzato, e sarebbe urgente farla. Quindi, il problema di metodo non è, secondo me, secondario, perché rispetto alle riforme che si propongono, si profila una visione di una società – in questo ha ragione il fare questa precisazione collega Renato Farina -, del mondo, della famiglia, dei rapporti sociali, e non è, quindi, indifferente quello che si propone e quello che si dice, ma ci vorrebbero dietro degli strumenti valutativi che in questo momento non ci sono; dovremmo partire da ciò. Per intervenire sulla scuola, bisognerebbe intervenire sul modello organizzativo, e anche questo non mi pare che sia stato fatto, al di là del discorso del maestro prevalente o dei tre maestri. I tagli, infatti, non sono graduali e non sono mirati – questo vale anche per l'università e quando arriveremo al dibattito sulle università ne riparleremo – nel senso che non si capisce che tipo di organizzazione si vuole dare alla scuola nel complesso.
Non si capisce dove si andrà e che tipo di scuola verrà fuori dal cilindro del Ministro Gelmini: magari sarà la migliore scuola possibile, ma per adesso stiamo votando al buio, stiamo votando una serie di provvedimenti che non hanno un'organicità, che non sono iscritti in un modello organizzativo condivisibile o meno, non mi pare.
Io sono un'insegnante, ma con tanti insegnanti che ho ascoltato, come tutti, in questi giorni, mi sembra di sentire la stessa obiezione: bisognerebbe avere una visione di insieme, che non c'è e, soprattutto, un'idea di Paese che non mi pare vi sia. È vero, si parla di merito, e questa è una cosa buona e la condivido, si parla del voto in condotta e lo ritengo corretto – non mi scandalizzo del fatto che i ragazzi imparino a fare i conti con un po' di ordine e di disciplina – si parla del grembiulino; francamente non mi appassiona l'idea del grembiule, è un maquillage, è una questione che non incide sui problemi e sul futuro della scuola: si vuole mettere il grembiulino? Si metta, ma non è questo che risolverà i mali della scuola.
Il problema è che, per esempio, sappiamo tutti molto bene che la scuola, in linea di massima, spende male. Sono convinta che bisogna arrivare ad un taglio e ad una correzione di rotta, ma bisogna arrivarci prima con una diagnosi convincente, come ripeto. Si sono moltiplicati organizzazioni, comitati, corsi di aggiornamento di docenti, vi è stata una sorta di bulimia di organizzazioni della scuola negli ultimi anni, che non hanno migliorato il livello della scuola. Quindi, capisco che bisogna razionalizzare il tutto: vi è stata un'eccessiva proliferazione di mille cose, di mille corsi, di mille iniziative, probabilmente in parte inutili. Quindi, andava rivista la spesa dalla scuola, ma va rivista dopo aver compiuto un'attenta analisi zona per zona, città per città, comparto per comparto e livello per livello.
Non si può ragionare semplicemente di tagli alla scuola, senza ragionare su dove vanno questi tagli e su cosa incidono. Questo è un discorso che mi interessa molto, perché ha seminato la paura nelle famiglie e questo è male, perché il Governo ha il dovere di informare le famiglie e di informare i docenti: la controinformazione che una parte dell'opposizione fa, sono d'accordo, non può e non deve prevalere, ma allora bisogna fare in modo che la maggioranza e il Governo forniscano cifre precise, corrette e serie – cosa che non è – e che il Partito Democratico e l'opposizione guidata dal Partito Democratico non agitino spauracchi che non esistono.
Non credo, come dice Panini della CGIL, che sia in atto la distruzione della scuola, non ci credo. Sono d'accordo anch'io che non è vero che saranno licenziati 80 mila insegnanti: semplicemente non saranno assunti. Lo so anch'io che la scuola subirà tagli, ma non di 8 miliardi in cinque minuti: subirà tagli, ma il prossimo anno i tagli che subirà saranno inferiori a 0,5 miliardi, quindi all'1 per cento del budget a disposizione del Ministro. Lo so bene che non verrà levato il tempo pieno, sono sicura che non verranno toccati gli insegnanti di sostegno, quindi perché ci dobbiamo dilaniare su tali questioni, mentre si potrebbe parlare di temi estremamente più seri?
Sul tema dell'insegnante unico: la scuola elementare andava bene prima e va bene adesso. Dunque, sgombriamo il campo da questi discorsi, perché la scuola elementare andava bene prima e va bene adesso. Tuttavia, non sono neanche veritieri i dati OCSE-PISA che sventoliamo ogni cinque minuti, perché dipende da come sono stati condotti i test sui bambini: infatti, è vero che la scuola elementare è tra le prime in Europa e nel mondo sulle questioni letterarie, sui test di lettura e sui test che riguardano la lettura e l'italiano, ma quando si parla di matematica e di scienze i bambini delle elementari precipitano in fondo, come è successo anche in passato.
Ci dobbiamo allora interrogare sui dati OCSE-PISA senza farne una bandiera ideologica da una parte o dall'altra, ma semplicemente valutandoli per quello che dicono e per quello che sono. Non si può sbandierare la grande meraviglia della scuola elementare così com'è – che andava bene anche prima – e non si può neanche dire che la scuola elementare si collochi ai primi posti OCSE-PISA su tutto, semplicemente perché non è vero. Se non sgombriamo il campo da queste prese di posizione aprioristiche e pre-giudiziali, un giudizio sereno sulla scuola non lo avremo mai.
Credo che dovremmo ragionare in termini di cattiva informazione e di diffusione di paure, così come bisognerebbe ragionare sul maestro unico in base a dati incontestabili. Ricordo che il Ministro Falcucci (sono abbastanza anziana per ricordarlo) già nel 1984 aveva avanzato l'idea del modulo e già da allora aveva considerato la possibilità di ragionarvi (venne introdotto poi nel 1990 dal Ministro Mattarella). Il Ministro Falcucci affermò, allora, che le scuole dovevano essere libere di effettuare le proprie scelte e di poter prevedere il maestro unico per i primi due anni e il modulo per gli anni successivi. Si trattava di un'idea del Ministro – discutibile o meno -, ma sono anni che si gira intorno al problema: fu proposto nel 1984, finché nel 1990, lo ripeto, il Ministro Mattarella introdusse il famoso modulo. Per i primi due anni i bambini hanno bisogno del maestro unico? Benissimo, è una proposta che abbiamo avanzato in sede di emendamenti; ovviamente la maggioranza l'ha respinta, sebbene a me non sembri così peregrina. Non ne faccio una battaglia da piazza o una battaglia all'arma bianca, ma vi è già stato il modo e il tempo di ragionare, perché – lo ripeto – il Ministro Falcucci già aveva immaginato una simile organizzazione.
La mia domanda è, allora, la seguente: perché non mettiamo le scuole in condizione di scegliere quello che ritengono giusto? Non è possibile dare dei diktat se è vero – come è vero – che le scuole sono degli istituti autonomi. La verità è che le scuole non sono affatto autonome e che l'autonomia è solo sulla carta: questo è il problema. Siccome l'autonomia è solo sulla carta, allora un Ministro si sente in dovere (o ha il diritto, non lo so) di andare giù con l'accetta (e ogni due anni si cambia Ministro e si cambiano le regole): ciò avviene semplicemente perché le scuole non sono autonome. La battaglia vera (il Ministro Gelmini non c'è, ma spero che qualcuno glielo dica, quindi ora lo dico a lei, signor sottosegretario) non è sul grembiulino o sul voto di condotta: questo è un maquillage e lo prendiamo, non importa. La battaglia vera è quella di dare alle scuole l'autonomia che non hanno. Signor sottosegretario, lei lo sa meglio di me: non ce l'hanno perché le scuole non sono in grado di stabilire i curricula, non sono in grado di assumere gli insegnanti, non hanno autonomia né amministrativa, né economica e né didattica. Le scuole non sono autonome e se ci fosse un Ministro che davvero avesse a cuore il bene della scuola dovrebbe dire: care scuole, io vi do l'autonomia, la capacità e la possibilità di scegliere il modello che le famiglie e il contesto territoriale ritengono migliori. Questa sarebbe la logica di un provvedimento serio per la scuola elementare, per la scuola media e per le scuole superiori. Mi viene invece il sospetto che a tutti vada bene così com'è e che nessuno voglia cambiare alla radice: i sindacati dominano la scuola e ne sono gli assoluti arbitri e padroni da trent'anni (ed evidentemente va bene a tutti), i partiti non hanno alcuna voglia di mettersi a fare battaglie su questi discorsi perché magari devono pensare ad altri argomenti che ritengono ingiustamente più urgenti, ed evidentemente va bene così.
Gli insegnanti sono poco pagati, sono demotivati, non lavorano più di tanto, fanno quello che possono, ma si sentono giustificati perché, in effetti, sono pagati malissimo; le famiglie tirano a campare e fanno quello che possono; i ragazzi escono dalla scuola ignoranti – i nostri ragazzi, purtroppo, sono ignoranti – ma, evidentemente, questo stato della scuola va bene a tutti, perché, altrimenti, la strada maestra è quella della libertà e dell'autonomia, ma di queste parole, in questa sede, non ho sentito dire alcunché.
Pertanto, la nostra ricetta è l'autonomia vera delle scuole e la libertà di scelta educativa delle famiglie, fine! Di questo non si parla perché diventa un problema ideologico. La libertà di scelta educativa delle famiglie, che mette le famiglie stesse in condizione di scegliere, cambierebbe il livello della scuola dalla sera alla mattina e lo migliorerebbe in maniera straordinaria, perché significherebbe mettere le famiglie in condizione di scegliere; le scuole prenderebbero gli insegnanti e si creerebbe un circolo virtuoso per cui le scuole migliorerebbero per forza, perché quelle peggiori chiuderebbero. In tal modo sì che ci si avvierebbe al merito e alla meritocrazia delle scuole. I presidi devono avere responsabilità – una grande responsabilità – ma devono essere manager che portano avanti la scuola in maniera seria e le famiglie devono essere in grado di scegliere, mentre adesso non è possibile!
Tutto ciò – e mi stupisco che questa non sia una battaglia della sinistra, lo continuo a ripetere – va a scapito delle famiglie più povere e più bisognose. Infatti, nel caso di una scuola degradata, che non ha insegnanti motivati, che è effettivamente poco funzionale e funzionante, didatticamente non all'altezza, mentre un ragazzo che non ha i mezzi si deve tenere quella scuola fino alla fine del suo percorso scolastico (e sarà segnato a vita perché non la può cambiare, perché magari il pulmino del comune lo porta in quella scuola e il giro del pulmino è quello e non può cambiare), al contrario, un ricco, se una scuola non funziona e per suo figlio va male (cioè, se non è giusta per quel genitore e per quel ragazzo), risolve il problema mettendo suo figlio nelle scuole non statali, mandandolo all'estero, facendo quello che vuole, ma un ricco casca sempre in piedi! Mi domando perché questa non sia una battaglia della sinistra, la quale, invece, ideologicamente difende la scuola statale come se «statale» fosse bello e «non statale» fosse la rovina! Queste sono le questioni della scuola, che non capisco perché, anche in questo dibattito, non si possano affrontare.
Tra parentesi, mi dimenticavo di dire (vedo un mio appunto), che milioni di ragazzi vanno nelle scuole non statali e le famiglie pagano tali scuole, pertanto lo Stato lucra su queste famiglie 6 miliardi di euro l'anno. È un furto, perché quelle famiglie pagano le scuole due volte: una con le tasse (e quei soldi vanno nella scuola statale) e poi si devono pagare la scuola non statale perché sembra che, a differenza dell'Europa, sia proibito avere questa equità e questa giustizia; pertanto, lo Stato lucra sulle famiglie 6 miliardi di euro l'anno. Ritengo che ciò sia scandaloso.
Un ultimo aspetto che mi preme sottolineare e di cui, ripeto, non si è parlato abbastanza, riguarda le questioni del maestro unico, della cittadinanza e dell'insegnamento della Costituzione che, tra l'altro, c'è già! Insomma, si prevede un articolo, addirittura l'articolo 1 di un decreto-legge su una questione che c'è già: sono operazioni più di maquillage che di sostanza!
L'ultima cosa che cambierebbe davvero la faccia della scuola è una seria valutazione delle scuole stesse, cosa che non è stata fatta praticamente mai, perché sta bene a tutti che il sistema rimanga così ed una seria valutazione delle scuole e dei loro risultati, ripeto, non è mai stata fatta. È vero che c'è l'Invalsi, è vero che sono stati messi in atto alcuni tentativi, anche dalla riforma Moratti, per arrivare ad una valutazione seria, ma questo significherebbe anche dare premi a chi è bravo e penalizzazioni a chi non lo è, esattamente come le regioni virtuose oppure tutti quei comparti della macchina dello Stato dove qualcuno funziona e qualcuno no.
Pertanto, non si può parlare di merito solamente per i ragazzi; bisogna parlarne anche per le scuole e le scuole devono essere valutate, premiate o penalizzate. Ma questo non succede e le famiglie non sanno qual è la scuola migliore dove mandare i loro ragazzi e dove poterli iscrivere seriamente, sapendo che poi alla fine imparano a leggere, scrivere e far di conto. Ciò perché non ci sono pubblicazioni che dicano se una scuola è migliore e non si valuta se una scuola è migliore dagli esiti che i ragazzi che ne escono ottengono nel corso degli anni. Quanti si sono laureati? Quanti hanno fatto carriera? Quanti, invece, non si sono laureati e si sono persi nelle brume dell'università? Ci sono tante ragioni, io sto semplificando il ragionamento e mi rendo conto che la questione è complessa. Però, non possiamo permettere che la valutazione delle scuole non arrivi alle famiglie, alla pubblica opinione e, in generale, a chi deve, in qualche modo, decidere quanti soldi dare, a chi darli e in che modo darli.
Tutto questo significa che ho l'impressione che il dibattito in corso sul provvedimento Gelmini sia in parte strumentale, in parte inutile. Mi auguro che serva a qualcosa. Credo anch'io che una svolta positiva debba essere data. Non mi convincono né il metodo né gli argomenti e, ultima cosa, mi auguro che poi il Ministro prosegua ad occuparsi delle famiglie. Non auspico il ritorno agli organi collegiali di vecchio stampo, perché sono stati un fallimento, non hanno funzionato e sono stati assolutamente inutili. Però, in relazione ai dati OCSE che tutti sbandierano, tra i tanti indicatori OCSE c'è la collaborazione della scuola con la famiglia. Le scuole che funzionano meglio dimostrano una stretta collaborazione con la famiglia e questo vale in tutti i Paesi europei. In Italia non succede: siamo ad un gap notevolissimo da questo punto di vista, quindi mi auguro che tra le tante attenzioni del Ministro ci sia anche il discorso della famiglia, della libertà di scelta educativa, ma anche di una compartecipazione e di una presenza nel piano dell'offerta formativa che finora e da anni è stata solo ed esclusivamente virtuale.
Mi riservo, in sede di esame degli emendamenti, di approfondire gli aspetti concreti e specifici di questo provvedimento. Mi premeva dire al Ministro che non è così che si riforma la scuola e che dovrà avere molto più coraggio di quello che ha avuto adesso, se davvero vorrà rendere un buon servizio al Paese (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e del deputato Aprea).

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