Alitalia, la Storia Infinita

di Alessandro Carbone

Tra le numerose riflessioni che le attuali vicende della nostra compagnia aerea nazionale mi hanno sollecitato ce n’è una che mi ha assorbito più di altre. Faccio memoria, per capirci, di due circostanze della vicenda Alitalia. Nei primi mesi di questo anno l’accordo per l’acquisto da parte di Air France della nostra (ex) compagnia di bandiera sembrava cosa quasi fatta se non che, quasi sul finale, le richieste da parte di alcuni sindacati confederati portarono alla rottura del possibile accordo e al ritiro definitivo da parte dei francesi. Mi ricordo allora la paradossale situazione di molti dipendenti Alitalia, piloti e steward in primis, disposti ad accettare condizioni meno favorevoli di quelle che gli stessi sindacati, loro rappresentanti, esigevano al tavolo della trattativa.
Una seconda situazione si è avuta nelle ultime settimane, durante la nuova fase di accordo, questa volta intrattenuta con la CAI (la cordata di imprenditori italiani): abbiamo assistito di nuovo ad un possibile fallimento della negoziato questa volta per ragioni opposte. I maggiori sindacati nazionali, pur in accordo con le proposte degli imprenditori, non rappresentavano però tutte le categorie di lavoratori interessati, pertanto non si sono sentiti legittimati a sottoscrivere, anche per questi ultimi, un patto per il destino della compagnia aerea e dei suoi dipendenti.
Nel primo caso siamo stati testimoni di una rappresentanza che, al tavolo negoziale, è risultata esser ben più rigida e pretenziosa degli stessi rappresentati; per certi versi sorda alle loro più globali necessità. Nel secondo si è realizzato uno scrupolo di rappresentanza che, questa volta, esigeva di ascoltare le istanze di tutte le categorie, anche quelle minoritarie, per garantire una decisione se non unanime almeno a larghissimo consenso.
Questi episodi mi riportano alla questione dell’effettiva capacità di rappresentanza che le istituzioni democratiche in genere incarnano nei confronti dei cittadini, o in questo specifico caso, dei lavoratori di una azienda. Riscontro, almeno in questo duplice esempio, la complessa fatica di supplire i propri rappresentati dando voce effettiva alle esigenze del singolo e della collettività.
Ho scelto di partire dal caso Alitalia per non citare immediatamente, ma lo faccio ora, la politica, sebbene sono cosciente che anche nel primo caso di politica si tratti.
È generalmente risaputo oggigiorno che la comune disaffezioni politica da parte dei cittadini, testimoniata dalla crescente scarsa affluenza alle urne e da una ancor minore partecipazione alla vita pubblica degli stessi, è conseguenza di questa inadeguata rappresentatività che amministrazioni locali, i governi nazionali e regionali, la scuola e altre istituzioni democratiche esercitano nei confronti dei cittadini e dei territori che sovrintendono.
Alcuni sociologi addebitano la causa di questa crisi a due elementi tra loro complementari. Da un lato la complessità della gestione della “res publica” che richiede, da parte di politici e dirigenti, la capacità di trovare equilibri tra elementi non solo così differenti tra loro, ma anche tra loro interdipendenti, tanto da rendere impossibile la missione dell’equo bilanciamento dei diversi interessi di una comunità locale o nazionale. Se poi ad esso si aggiunge che i rappresentanti non hanno sempre una preparazione e la capacità gestionale nel ricercare tali equilibri, e per di più spesso antepongono proprie priorità a quelle della gente che dovrebbero rappresentare, allora la distanza che si crea con la base diviene abissale.
Dall’altro lato tale incompetenza, a sua volta, ha reso i cittadini stessi incapaci ad esprimere le proprie opinioni, a manifestarle nei modi più efficaci e a prendere conseguentemente delle decisioni che li riguardano non solo in quanto singoli, ma in quanto comunità locale, comunità nazionale. È indicativo infatti che ai nuovi fermenti della società civile cui assistiamo (quali l’associazionismo, il volontariato, i movimenti) non corrispondano parimenti una visibile crescita della democrazia e della partecipazione alla vita della polis, alla politica.
Esistono in Europa, e in alcuni casi anche in Italia, buone prassi che vanno in contro tendenza a questo fenomeno di lontananza tra rappresentanti e i rappresentanti. Molte realtà locali, diverse esperienze all’interno della scuola, hanno infatti iniziato a sviluppare processi di “governance” nella gestione della cosa pubblica; la scuola in diversi paesi ha già sperimentato tale approccio da tempo e con una certa efficacia. Governance è l’attitudine ad amministrare la realtà locale, la scuola, un territorio attraverso meccanismi di mobilitazione di tutti i livelli di governo e della società civile tramite processi di attivazione della cittadinanza, di partecipazione e di coesione sociale. Ciò avviene in un flusso dal basso verso l’alto (non viceversa) dove i cittadini sono chiamati a coinvolgersi, a dare consulenza ai loro amministratori, non solo nella fase di presa di decisioni, ma anche e soprattutto nella gestione delle decisioni prese. In altre parole, i rappresentanti lavorano fianco a fianco con i loro rappresentati attraverso azioni di coinvolgimento e partecipazione in tutte le fasi del governo della comunità.
Perché la governance possa concretizzarsi, e con efficacia, occorre che da un lato i decisori politici, i dirigenti sindacali, quelli scolastici e dall’altro i cittadini apprendano competenze adeguate. Per quanto riguarda i primi la governance richiede capacità di serio ascolto, di visione globale della collettività al di là di interessi di singoli o categorie, richiede perizia nell’attivazione della cittadinanza, nel coinvolgimento e nella partecipazione. Ai secondi, i cittadini, è richiesta una visione complessiva e non settoriale dei problemi, l’interesse per la comunità di appartenenza e non solo per “il proprio orticello”, l‘apprendimento dei “modi della partecipazione”; insomma richiede lo sviluppo di competenze civili, sociali, culturali e interculturali.
Le buone prassi ci dicono che tale approccio al governo della cosa pubblica è virtuoso non solo perché accresce l’attiva partecipazione di tutti, e quindi incrementa democrazia, ma anche perché responsabilizza entrambi, decisori e cittadini, nelle scelte di governo. La governance accresce motivazione nel realizzare le scelte fatte, le rende durature mentre smuove un numero consistente di risorse anche umane che, in tempi di crisi come i nostri, sono elemento assai prezioso per l’economia delle realtà locali.
In questo modo si può sperimentare la straordinaria occasione per ricostruire legami significativi e credibili fra rappresentati e rappresentanti gestendo difficili decisioni, come anche quelle di una compagnia aerea, in tempi e modi davvero degni di un sistema democratico.

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