Reti amiche? Una buona idea se….

di Carlo Mochi Sismondi

L’idea non è nuova, o per lo meno non nuova del tutto. Il Ministro Brunetta propone in 26 articolate e chiare slides una strategia che punta ad istituire “reti amiche” ossia utilizzare reti di sportelli, già capillarmente diffusi sul territorio, privati o pubblici che siano, perché eroghino servizi di base della pubblica amministrazione. Si parte con le Poste e con i tabaccai, seguiranno le banche, le stazioni dei Carabinieri, le farmacie, addirittura i supermercati.
L’idea non è nuova dicevamo: ricordo un progetto simile di Gianni Billia (ex DG dell’INPS) e una proposta fatta dalla Confesercenti all’allora Ministro Baccini. Ma nuovo ed encomiabile è lo spirito e anche la velocità con cui sono partite le prime due convenzioni (Poste e Associazione Tabaccai).

In generale i commenti sono stati tutti positivi (per leggere qualcosa di negativo consultate il sito delle Rappresentanze di Base del Pubblico Impiego o qualche commento scettico che, per la verità, pare dettato un po’ dalla gelosia del ruolo, da parte di qualche dipendente pubblico nel sito degli URP) e non stupisce essendo una proposta di buon senso, tesa a far risparmiare soldi per la PA e tempo per i cittadini.
Ovviamente mi schiero tra i favorevoli, ma, se guardo un po’ più a fondo, mi permetto di mettere qualche condizione al mio entusiasmo. L’idea è senz’altro buona se:

Se non si dimentica che il presupposto fondamentale delle reti amiche è che, per l’appunto, la PA sia effettivamente in rete e che quindi il famoso SPC (Sistema Pubblico di Connettività) funzioni non solo per il “trasporto” e quindi come rete materiale, ma soprattutto per i servizi avanzati di cooperazione, ossia quelli che permettono di lavorare in sicurezza, privacy e trasparenza sui dati di ciascuna altra amministrazione. Insomma facciamo pure i protocolli di intesa, ma acceleriamo anche l’interconnessione, altrimenti non sapremo che servizi offrire (l’esempio di come è andato a finire per più di metà del Paese il famoso “sportello unico” dovrebbe farci lezione). Ad oggi questa condizione non si è realizzata, potremmo, quindi, al massimo avere un affidamento di qualche servizio da singole amministrazioni (vedi INPS per le pensioni) a singole categorie di sportelli (vedi i tabaccai), ma non certo quello sportello amico che rende di vetro la PA che il Ministro giustamente auspica.
Se non costituisce quello che in artiglieria si chiama “falso scopo”. L’obiettivo è avere servizi online sulla rete Internet (persino Bill Gates si è accorto con ritardo che non c’è futuro se non lì!). Se ci avviamo su questa strada è chiaro che poi dobbiamo prenderci cura di quella fascia della popolazione italiana che non accede per diverse ragioni alla rete. Ben vengano allora gli sportelli amici, ma non dimentichiamoci che il tabaccaio deve avere davanti un sito Web (sia pure con le adeguate sicurezze) con servizi online efficienti. Anche qui scorciatoie non ce ne sono: riapriamo per favore la annosa questione dell’autenticazione in rete e del costo dei servizi altrimenti stiamo daccapo.
Se può costituire anche (ma soprattutto) un supporto sociale per la fascia (che statisticamente sarà sempre più marginale) della popolazione che non accede alle tecnologie. Questa fascia non solo non ha Internet e non smanetta sulla tastiera, ma probabilmente non legge neanche il quotidiano, è spesso in condizione non professionale (disoccupato, inoccupato, casalinga, pensionato, ecc.), fa fatica a capire istruzioni complesse diramate sui media, non si fida se non di chi conosce. Insomma ha bisogno di una presa in carico sociale. Invocare l’aggettivo che connota l’amicizia è, secondo me, il punto chiave. In questo senso la rete degli “amici”, composta dal tabaccaio sotto casa, dal farmacista, dall’impiegato delle Poste (quello tranquillo, non quello che ha i nervi e ha sempre fretta) e quant’altri, costituisce un’insostituibile ricchezza.
Infine, se la funzione è sociale e il target non è chi già potrebbe usufruire dei servizi online (…se solo ci fossero, ma questa è un’altra storia!), ma piuttosto quella “domanda assente” di chi non ha mai neanche sentito parlare di alternative alla fila e al numeretto (il passaggio dalla filosofia della fila a quella della passeggiata è uno dei punti più interessanti delle slides del Ministro). Se insomma dobbiamo crearla questa domanda, bene, allora facciamo attenzione anche al fattore “prezzo” e andiamoci piano con accelerazioni verso il mercato. Ci saranno, infatti, situazioni vantaggiose (i tabaccai del centro di Roma saranno già pronti!), ma anche situazioni in cui il costo di attivazione del servizio non sarà remunerato da qualche decina di pensionati la cui propensione a spendere non sarà certo alta e che costituiscono una domanda molto sensibile al prezzo. E allora? Io credo che ancora una volta e in molti dei casi in cui le reti amiche potrebbero fare la differenza, non ci si possa esimere da una “presa in carico” pubblica. Certo non dovunque, certo questo non vuol dire che i servizi devono essere pubblici né che i gestori debbano essere impiegati dello Stato, ma la presa in carico dei più deboli deve continuare ad essere una preoccupazione della politica e, quindi, di tutti noi.

Nulla di quanto scritto nella presentazione né nelle parole del Ministro è contro queste mie quattro semplici osservazioni, e posso, quindi, essere speranzoso e, a queste condizioni, associarmi al comune “evviva le reti amiche!”

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