La democrazia sotto scacco

Corrispondente da Dallas, Texas

“Vogliono sovvertire la volonta’ popolare attraverso un blitz operato da giudici politicizzati” !

Questo e’ l’assunto attraverso il quale Berlusconi, ancora una volta, invocando il rispetto della volonta’ popolare, vuole sottrarsi al giudizio che la magistratura si appresta ad emettere in ordine ai presunti reati da lui commessi prima, dopo e durante i suoi incarichi a capo del governo italiano.

E’ una accusa gravissima la sua. Qualora le sue accuse avessero fondamento si potrebbe ben dire che la magistratura tiene in scacco la nostra povera e giovane democrazia.

Ma le accuse per essere credibili e per avere qualche effetto devono essere provate. E naturalmente qualunque persona dotata di normale buon senso non si accontenta delle accuse ai suoi giudici pronunciate dall’ imputato o dai suoi avvocati difensori.

(Berlusconi addirittura, calandosi sempre piu’ spesso e piu’ a fondo nella sua foga vittimistica di persona perseguitata, non si accontenta nemmeno di individuare qualche giudice piu’ o meno parziale, ma mette proprio tutta la magistratura sul banco degli imputati, chiedendo che essa venga messa sotto il controllo del governo o, almeno, del Parlamento (che lui attualmente controlla).

Appare fin troppo chiaro come tale richiesta sia altamente lesiva dei fragili equilibri di una democrazia, in particolare essendo fatta proprio da chi si trova al massimo livello istituzionale e di potere, ma e’ contemporaneamente nella veste di imputato per reati gravissimi fatti proprio a dispetto di quelli che dovrebbero essere i valori di una democrazia.

Se le prove che accompagnano l’accusa fossero concrete, lui non potrebbe negare, in giudizio, di aver fatto le cose di cui viene accusato, esse sarebbero inconfutabili e non potrebbero essere ignorate nemmeno da giudici compiacenti.

La strategia che offre maggiori garanzie di successo in tal caso e’ quella di evitare i processi. E infatti questa appare proprio essere la strategia scelta da Berlusconi e dai suoi legali.

Da qui partono le sue impellenti richieste di impunita’ che, per apparire meno personalistiche vengono avanzate comprendendo nella salvaguardia altri soggetti, ma che comunque lascerebbero in eredita’ una giustizia che, non solo nella sostanza ma anche nella forma, non sarebbe piu’ uguale per tutti.

Lodo “Schifani”, lodo “Alfano”, decreti “bloccaprocessi”, e quant’altro riescono ad inventarsi le miriadi di professionisti al servizio di Berlusconi, si susseguono da una legislatura all’altra sempre nell’intento di raggiungere quello che in una normale democrazia e’ semplicemente irraggiungibile: l’immunita’ di qualcuno di fronte alla legge, l’esenzione dal reato per il potente o i potenti che detengono il potere. Nessuna seria democrazia lo ammette, e nemmeno alla nostra sarebbe consentito farlo, ma gli interessi in gioco sono troppo forti e Berlusconi, da fine estimatore del Machiavelli, non si perde in sofismi quando c’e’ da applicare a suo vantaggio il principio del “fine che giustifica i mezzi”.

Ecco pero’ che una cosa gli si mette di traverso e lo costringe ad un atteggiamento piu’ morbido.

Cosa e’ successo?

Vediamolo in sequenza per capire:

Alla prospettiva del decreto “salvapremier e bloccaprocessi” Veltroni ha minacciato di mettere fine al suo atteggiamento “morbido” nei confronti del governo.
Berlusconi ha risposto con la solita arroganza, ma non altrettanto ha fatto Bossi, che invece si e’ subito proposto da paciere e da intermediario tra le due posizioni.
Il Ministro della Giustizia, Alfano, ha preparato e portato (oggi) all’attenzione dei capigruppo della Camera un nuovo provvedimento che stralcia dal decreto “Sicurezza” la cosiddetta norma “bloccaprocessi” e ne inserisce una che garantisce invece l’immunita’ giudiziaria alle 4 piu’ alte cariche dello Stato (una delle quali e’ appunto Berlusconi).
Quindi Berlusconi di fatto non molla, ma cosa ha indotto Bossi a intervenire da moderatore cosi’ rapidamente e drasticamente, tanto da minacciare addirittura la tenuta della maggioranza ?

E’ presto detto: Bossi sa per esperienza che per approvare le riforme alla Costituzione occorre una maggioranza parlamentare non solo ampia, ma anche solida, e non tutti, anche nella maggioranza, sono fieri sostenitori del suo “federalismo fiscale”. inoltre, per diventare effettiva senza dover passare il vaglio del referendum popolare (che Bossi evidentemente teme) la modifica alla costituzione necessita dell’approvazione di almeno i due terzi di entrambe le assemblee parlamentari; che il centro-destra da solo non ha, e abbisogna percio’ dell’accordo col centro-sinistra per farle approvare senza il ricorso al referendum.

Bossi quindi ha capito al volo che se Veltroni si arrabbia, lui si puo’ scordare il “federalismo fiscale” al quale sta lavorando da una vita, e di conseguenza ha subito “toccato il tempo” a Berlusconi per fargli capire che su quella strada il suo governo sarebbe durato molto meno di quello di Prodi.

Berlusconi ha dovuto mitigare i toni e scendere a piu’ miti consigli, non per il rispetto delle regole della democrazia, ma per tenere in piedi il suo traballante “trono”.

In conclusione, una soluzione rabberciata al “nodo giustizia” e’ ora in vista, quella al “nodo democrazia” e’ invece ancora molto lontana.

Sono tre le forze che, sulla carta, la tengono in scacco: 1) I giudici, 2) Berlusconi, 3) Bossi.

Quale di queste tre forze operera’ la mossa dello scacco matto ?

Corrispondente da Dallas, Texas

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