LA FINESTRA DI MARIO BASTI
Per la FINESTRA d’oggi un tema d’obbligo: questi dall’inizio di giugno sono infatti per l’Italia, per noi Italia all’estero ( o, se preferisci Italiani nel mondo) ed anche per ognuno di noi specificamente, di noi italiani emigrati in Argentina, i giorni degli anniversari, degli anniversari piú importanti e di piú profondo significato, lasciando da parte, ma fino a un certo punto, gli anniversari privati. Due Giugno 1948 nascita della Repubblica Italiana, dopo l’approvazione della Costituzione, negli ultimi giorni dell’anno precedente. e in quei giorni, anche per ognuno di noi, italiani nati in Italia, un importante anniversario personale: 1946…1947…1948… 1949… per ognuno di noi, circa 60 anni di emigrazione, di esilio imposto dalle circostanze, doloroso come tutto quello che é imposto: sessanta anni, qualcuno di meno o qualcuno di piú, ma, a prescindere da una precisione assoluta, una svolta decisiva nella nostra vita ed anche in quella di molti dei nostri cari. E come non ricordarlo in una FINESTRA , se è un nostro personale e collettivo anniversario, cui si è aggiunto poi un altro specifico per noi emigrati qui in Argentina, la festa decretata dal Parlamento del Paese che ci ha ospitato, di noi EMIGRATI ITALIANI IN ARGENTINA, un omaggio che altri non possono vantare e che noi dobbiamo ricordare con grati sentimenti, pur consapevoli che quella legge è il riconoscimento che abbiamo meritato per aver dato un apporto notevole di lavoro, di sviluppo,di progresso in cambio dell’ospitalità ricevuta.
E allora, come non ricordare un anniversario collettivo e individuale per noi tanto significativo? E le luci e le ombre di esso? Più luci che ombre per alcuni, più ombre che luci per altri, ma tutti meritevoli di un ricordo. Perciò oggi la FINESTRA è dedicata a un anniversario, un sessantennio che è valido per tutti i lettori della TRIBUNA ITALIANA ed il suo significato è stato chiaramente sottolineato dal nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano nel messaggio la cui sintesi hai certamente letto nella TRIBUNA ITALIANA di mercoledì scorso e che ti invito a rileggere, anche come antidoto di cose che non vanno tanto bene come vorremmo o che per malanimo vengono presentate in maniera esagerata, ingiusta e irritante da certa stampa non soltanto straniera, ma anche italiana.
Al riguardo leggevo il 2 giugno nel “Corriere della Sera” in un’intervista all’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato, socialista, una acuta dichiarazione, questa: “L’inviato dell’ “Economist” viene a Roma per qualche giorno, ascolta quel che gli dicono i giornalisti italiani, li riprende pari pari perché dell’Italia non sa altro, gli stessi giornalisti informano che “l’autorevole ‘Economist’ ha scritto…”.Segno dell'eccesso di introspezione di un Paese (osserva l’intervistatore Aldo Cazzullo) che finisce per perdere il senso del confronto con gli altri”. Allora tutta responsabilità dei giornalisti? In altra pagina dello stesso giornale,vengono riportate queste dichiarazioni dell’eminente sociologo Giuseppe De Rita che, commentando il messaggio del Presidente Napolitano afferma che la responsabilità è nostra, “cioè di chi fa cultura, di chi informa, di chi fa opinione. Abbiamo spinto tutto ciò che portava alla liberazione: dalla casa, dal Paese, dalle proprie radici. E alla fine ci siamo ritrovati in una società che esalta l’individualismo, che ha rotto con le vecchie appartenenze e non riesce a crearne delle nuove”.
Autocritica, severa autocritica? Indubbiamente ha solidi fondamenti tanto quello che dichiara Amato, come quello che pensa De Rita. E altri fondamenti non mancano; basta, per rimanere alle notizie quotidiane che attendiamo dall’Italia e che ci amareggiano,come le notizie degli zingari, rom, clandestini che circolano per l’Italia, o della “monnezza” che ammorba Napoli, o dei politici della Lega o dell’Opposizione che mancavano alla celebrazione della Repubblica. O come le notizie che ci riguardano direttamente, quelle dell’indifferenza da parte di chi conta in Italia e dovrebbe provvedere meglio alle nostre annose richieste, di essere considerati, noi italiani all’estero, come gli italiani in Italia. L’autocritica è fondata, la frequente inesattezza – dovuta al malanimo e alla ignoranza – di quel che in Italia e all’estero si pubblica sulla realtà italiana è innegabile. Ma noi sappiamo, pur se viviamo a 13.000 chilometri di distanza, che la realtà italiana non è tutta materia per l’autocritica e la critica altrui, ma anche contributo di sviluppo, di cultura, di progresso, per il mondo intero.
Per questo, caro Lettore, possiamo e dobbiamo celebrare gli anniversari di questi giorni e, pur se tanti non abbiamo fatto l’America, possiamo tutti essere soddisfatti del contributo che abbiamo dato al progresso dell’umanità. Anche se tanti sogni di allora, di 60 anni fa, quando nasceva la Repubblica, sogni sono rimasti, là e qui. Peccato!
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