Brasile-Italia, oriundi come risorsa

di Fabio Germinario

Colloquio con Fabio Porta, unico parlamentare eletto in Brasile alle recenti politiche. Che intende puntare sugli italobrasiliani per intensificare gli scambi culturali economici tra i due Paesi.

Siciliano di Caltagirone, classe 1963, sposato dal 1999, due figlie entrambe nate in America latina, laureato in Sociologia economica alla “Sapienza” con il massimo dei voti, Fabio Porta è l'unico parlamentare eletto in Brasile (in quota al Pd) alle politiche del 13 e 14 aprile. Vive in Brasile da metà degli anni 90, ma inizia un decennio prima il suo percorso all'interno delle strutture di partito e di patronato diventando segretario nazionale del movimento studenti dell'Azione cattolica dall'82 all'86. Poi inizia una lunga militanza nel sindacato (Uil) ricoprendo incarichi di responsabilità a livello nazionale e occupandosi di accordi internazionali di sicurezza sociale, di progetti di cooperazione e di educazione degli adulti.

Qui sopra e di seguito alcuni ritratti del neodeputato Pd, Fabio Porta (foto Claudio Cammarota)
Direttore della Scuola di formazione politica del Centro culturale “W. Tobagi” di Roma e docente di Sociologia della Comunicazione all'Università popolare di Roma, nel 1994 inizia ad occuparsi delle relazioni tra Italia e America Latina come capoprogetto di programmi di formazione sindacale finanziati dal ministero degli Esteri in Argentina, Brasile e Uruguay. Poi si trasferisci stabilmente in Sudamerica per dirigere e coordinare il patronato Ital, la Uim (Unione italiani nel Mondo), il Caaf (Centro di assistenza fiscale), la ong “Progetto Sud” (progetti internazionali di cooperazione sociale ed economica), l'Istituto di formazione “Armando Suffredini” (formazione professionale).

Nel 1998 è tra i fondatori del Centro “Spazio dei sogni”, un'entità socioassistenziale che si occupa di famiglie povere e dei loro bambini. Nel 1999 è nominato consigliere tecnico presso la Camera di commercio italiana. Nel 2000 partecipa a Roma alla prima Conferenza degli italiani nel mondo. Capolista nel 2004 della lista “Viva l'Italia – Uniti per l'Ulivo” alle elezioni del Comites di cui è attualmente è vicepresidente. Nel 2005 il presidente Ciampi gli conferisce l'onorificenza di “Cavaliere dell'Ordine della Stella della solidarietà italiana”. Manca di un soffio l'elezione come deputato Ds alle politiche del 2006, risultando primo tra i non eletti, ma con quasi 17mila preferenze raggiunge l'obiettivo alle recenti politiche. “Musibrasil Osservatorio Brasile” lo ha intervistato.

Dopo la sua recente elezione alla Camera italiana, come si comporterà? Farà la spola tra Italia e Sudamerica come un suo predecessore anche se stavolta la sua presenza non sarà indispensabile, sedendo tra i banchi di un'opposizione numericamente debole?

«Sarò al tempo stesso un parlamentare presente e responsabile ma pure un deputato vicino anche fisicamente agli elettori del mio collegio; non sarà facile, ma mi organizzerò per visitare almeno una volta al mese una o più città sudamericane, per mantenere vivo il contatto con la nostra comunità. Dal primo aprile è stato ripristinato il volo diretto Roma-San Paolo, e questo in qualche modo mi facilita nel tentativo di stare più vicino al Brasile, al Sudamerica e anche alla mia famiglia. Aggiungo poi che la nostra opposizione non e' “numericamente debole”: alla camera siamo oltre duecento parlamentari che sapranno fare una opposizione seria e responsabile».

Quali sono i temi principali su cui intende iniziare a lavorare?

«Anzitutto riprendere e – se possibile – intensificare lo sforzo iniziato dal precedente governo e sostenuto dai parlamentari eletti all'estero di rafforzare la rete consolare, con una attenzione specifica alla soluzione del problema delle lunghe attese per il riacquisto della cittadinanza. Quindi un impegno mirato all'avvio di un grande programma di scambi culturali ma anche economici tra giovani italiani e sudamericani di origine italiana. Infine la ripresentazione e approvazione dell'assegno di solidarietà per gli ultrasessantacinquenni nati in Italia e residenti all'estero che si trovano in gravi condizioni di disagio socio-economico».

Che idea si è fatto degli italiani oriundi dopo alcuni anni di permanenza in Brasile? Li si dipinge come profondamente legati all'immagine di un paese che esiste perlopiù nei loro ricordi migratori, spesso indiretti, profondamente differente dalla realtà attuale. E' realmente così?

«L'emigrazione è cambiata, e non soltanto in Brasile. Accanto al cosiddetto emigrato (o figlio di emigrati) “nostalgico” che continua ad avere un'immagine idealizzata e distante del proprio Paese di origine, è cresciuta negli ultimi decenni un'altra faccia dell'emigrazione: sono i giovani di terza e quarta generazione, ma anche tanti giovani professionisti che hanno scelto di vivere fuori dall'Italia, come anche migliaia di pensionati trasferitisi in Sudamerica in maniera definitiva. In Brasile esistono tutte queste realtà e sarebbe errato continuare a riproporre un quadro omogeneo e stereotipato della presenza italiana in questo grande Paese».

Eppure non più tardi di un anno fa Sergio Romano dalle colonne del “Corriere” ha invitato Prodi a non cedere alla «retorica dell'emigrazione». Cosa che la indignò molto. Per quale motivo?

«Perché Romano non capiva, o forse non voleva capire, che proprio la grandissima presenza italiana in Brasile costituisce il volano principale delle relazioni politiche ed economiche tra i due Paesi. Fortunatamente lo capirono bene Lula e Prodi, che firmarono un lungo e articolato protocollo di intesa che sottolineava – al primo punto – proprio l'importanza strategica per i due Paesi della presenza in Brasile di oltre 26 milioni di discendenti di italiani».

A proposito, dato che gli italiani sono così tanti, per quale motivo la rete consolare in Brasile è così carente e inadeguata?

«Per tanti motivi che, in gran parte, vanno ricercati nella storia degli ultimi settant'anni di relazioni italobrasiliane. La “rottura” nel corso della seconda guerra mondiale prima e – nel dopoguerra – alcuni decenni di politica estera italiana che ha privilegiato chiaramente il rapporto con l'Argentina trascurando il Brasile. Il risultato è una rete con soli sei Consolati generali distribuiti in un territorio vasto quanto l'Europa, per fare fronte alla più grande comunità di italiani discendenti al mondo. Un altro dato eloquente: i due Stati dove percentualmente è maggiore la presenza italiana (Espirito Santo e Santa Catarina) non hanno un Consolato generale d'Italia».

In attesa che ne siano istituiti di nuovi, che cosa propone per rendere più efficienti e adeguati alle aspettative dell'utenza quelli già esistenti?

«In primo luogo, è chiaro, si tratta di aumentare in maniera permanente e non solo emergenziale gli stanziamenti a favore di questa rete consolare. Servono risorse per potenziare il personale ma anche per rendere alcune strutture più adeguate alle molteplici funzioni di un Consolato, come anche per rendere più dignitoso e umano il rapporto con il cittadino, che non può essere costretto a lunghe file fuori dalle sedi per mancanza di spazi all'interno di esse. In secondo luogo andrebbero semplificate, ove possibile, alcune procedure burocratiche, anche ricorrendo in maniera sempre maggiore ai sistemi informatizzati e al rapporto indiretto con l'utente. Utilizzando sia i servizi postali ma anche strutture qualificate come per esempio i patronati. Infine, dare più prerogative ai Consolati onorari, che in Paesi grandi come il Brasile costituiscono punti di riferimento essenziali per il disbrigo di tante pratiche e servizi».

Le risulta che tale inadeguatezza sia una eccezione limitata al Brasile oppure una situazione analoga esiste anche in altri paesi sudamericani?

«Il problema è generale, direi non soltanto in Sudamerica ma in tutti quei Paesi dove grande è la presenza italiana. Certo, in Sudamerica in questi anni la situazione è divenuta critica, soprattutto in Brasile dove si concentra oggi il maggior numero di pratiche di riacquisto della cittadinanza al mondo. L'esperienza di alcuni Paesi, anche sudamericani, ci dice però che è possibile trovare soluzioni al problema. Forse dovremmo fare circolare di più quelle che in inglese sono denominate le “best practise”, le migliori esperienze che hanno funzionato in una determinata realtà per vedere se applicate al Brasile riescano ad avere lo stesso successo».

Come più volte è stato denunciato anche da queste colonne, i tempi di attesa per l'ottenimento della cittadinanza italiana “jus sanguinis” sono interminabili. Quasi biblici, secondo i dati forniti dalle organizzazioni di oriundi. Dipende da problemi organizzativi oppure si tratta di un segnale che l'Italia non è più interessata a concederla? Non crede che la politica dovrebbe dire con onestà e chiarezza come stanno le cose invece di coltivare clientelismo anche oltreconfine?

«La domanda già contiene parte della risposta, e la ringrazio per la giusta “provocazione”. Ho già denunciato, proprio all'indomani della visita di Prodi in Brasile e prendendo spunto dall'editoriale che lei citava di Sergio Romano sul “Corriere”, questa situazione: sono convinto che il vero ostacolo alla concessione della “doppia cittadinanza” sia di carattere culturale e non organizzativo o di risorse. Come anche che la situazione attuale, con i tempi lunghissimi di concessione che la caratterizzano, finisce con l'acuire proprio quegli episodi di clientelismo o di piccolo affarismo che dovremmo invece debellare. Si tratta di avere il coraggio di affrontare la situazione, in maniera oggettiva e senza creare allarmismi fuori luogo».

Ma lei continua a credere in questo diritto oppure è tra coloro che lo giudicano anacronistico? Condivide ad esempio che il governo italiano eroghi assegni di invalidità civile a persone che da generazioni hanno scelto di vivere all'estero? Come lei sa sono sempre di più quelli che nutrono forti dubbi in proposito e si collocano trasversalmente ai differenti schieramenti politici.

«Io continuo ad essere un sincero sostenitore dello “ius sanguinis” che, non a caso, ha da sempre caratterizzato la legge italiana sulla cittadinanza. Le dirò di più: proprio per la situazione attuale e per le prospettive sociali ed economiche dell'Italia la cittadinanza “ius sanguinis” potrebbe costituire un elemento sul quale puntare per lo sviluppo futuro del Paese. Sull'invalidità civile mi sembra che succeda proprio il contrario e semmai sono io a domandarle: le sembra giusto che un italiano, solo per il fatto di trasferirsi all'estero, perda il diritto alla pensione sociale o all'invalidità civile? E questo soprattutto in Sudamerica dove spesso queste persone si trovano improvvisamente senza nessuna copertura sociale, né del Paese dove sono nati e nemmeno di quello dove sono andati a vivere».

Lei ha affermato che la Finanziaria del governo Prodi ha concesso stanziamenti per le esigenze degli italiani all'estero, ma la situazione non è migliorata. Che fine hanno fatto questi soldi? Hanno preso altre vie o sono stati male utilizzati?

«Perlopiù non sono stati ancora utilizzati. Il grande progetto di rafforzamento della rete consolare in Sudamerica, e principalmente in Brasile, doveva partire nello scorso mese di marzo. Il piano prevedeva anche la costituzione della tante volte richiesta “task force” per la cittadinanza, con l'obiettivo di ridurre in tempi certi (2-3 anni) il grande arretrato accumulatosi presso la rete consolare. Le elezioni anticipate hanno ovviamente sospeso questa azione; l'ex viceministro per gli Italiani nel Mondo, nella sua ultima dichiarazione prima di passare le consegne al successore, ha dichiarato che le risorse saranno immediatamente disponibili e che nelle prossime settimane si darà avvio al piano stabilito».

Una parte di denaro necessario a migliorare i servizi non potrebbe essere reperito tramite tagli a talune strutture diplomatiche, in qualche caso inutili o ridondanti?

«E' in corso da alcuni anni un grande piano di razionalizzazione delle spese del ministero degli Esteri, che passa anche dal “taglio” di alcune sedi consolari; ovviamente è sempre difficile fare questo tipo di scelte. Credo però che nel caso del Sudamerica non esistano sedi “inutili o ridondanti” e che, al contrario, andrebbe potenziata la rete consolare. Forse si potrebbero fare scelte che ridurrebbero alcuni costi che risulterebbero così ottimizzati: mi riferisco per esempio ai “contrattisti locali”, una risorsa fondamentale che andrebbe valorizzata e utilizzata al meglio; mentre, dall'altro lato, alcune figure provenienti dall'Italia (quelle che incidono maggiormente sui costi) potrebbero essere ridotte».

Ma in un periodo di ormai palese recessione economica e di conseguenti ristrettezze e sacrifici, lo Stato italiano dove troverà ulteriori risorse?

«Ripeto, la strada maestra si chiama “ottimizzazione”: si riducono alcuni sprechi e si utilizzano meglio le risorse, senza ricorrere a somme aggiuntive. Poi esiste un'altra “parola magica”, la cosiddetta sinergia: si deve lavorare di più “a rete” con i patronati, i Comites, e tutte le altre entità che sul territorio mantengono un contatto vitale con la nostra collettività. Infine, non mi scandalizzerei se, come avviene in altri Paesi europei, per alcuni servizi consolari di urgenza si pagasse una determinata somma, integrando quelle che già entrano nelle casse dei consolati e che – debitamente utilizzate – potrebbero costituire un serio sostegno anche economico al mantenimento e al rafforzamento dei servizi consolari. A volte il buon senso e la creatività valgono più di tante risorse; certo, anche il potere legislativo (ossia, noi parlamentari) deve adesso fare la sua parte».

Se come lei afferma gli italiani all'estero rappresentano un investimento per il nostro paese, qual è il “ritorno”?

«Solo un miope non lo capisce. Gli italiani all'estero sono stati i primi responsabili, lasciando l'Italia oltre cento anni fa, per l'iniziale sviluppo di un Paese povero e sovrappopolato; c'e' poi stata la fase delle “rimesse degli emigrati” in Italia, che ha contribuito non poco allo sviluppo economico del Paese e al mantenimento di tanti piccoli centri soprattutto dell'Italia meridionale; adesso il “ritorno” può essere costituito dall'incommensurabile valore dei rapporti culturali, turistici, commerciali ed economici che possono partire da una intensificazione programmata degli scambi a tutti i livelli tra l'Italia e i suoi concittadini che vivono all'estero. Ed è proprio qui, in Sudamerica, che esistono le condizioni migliori per questo tipo di scommessa».

Ma i diritti di un italiano che si trova temporaneamente in Brasile per lavoro o per altri motivi sono a suo parere equiparabili a quelli di un figlio di terza generazione di italiani emigrati?

«Dobbiamo sapere distinguere, ma senza fare confusione. Una cosa sono i diritti e i doveri, uguali per tutti i cittadini italiani, indipendentemente dal fatto di essere nati o residenti dentro o fuori i confini nazionali. Altra cosa le situazioni contingenti; qui è chiaro che esistono alcune differenze, come per il caso degli italiani “nati” in Italia e residenti all'estero che non hanno diritto all'assegno sociale o all'invalidità civile, o anche – come dice lei – al lavoratore temporaneamente residente all'estero, che mantiene un rapporto con organico (anche formalmente) con l'Italia, che è diverso da chi risiede in maniera permanente in un altro Paese».

Dopo le ulteriori, recenti polemiche suscitate da presunti brogli o disservizi non sarebbe tempo di migliorare il sistema di voto all'estero?

«Senza dubbio. Ho detto più volte nel corso della recente campagna elettorale che la maniera migliore di preservare e difendere la grande conquista rappresentata dal voto all'estero è quella di migliorarlo tecnicamente, introducendo elementi che impediscano il sorgere di episodi e fenomeni che ne possano inficiare la correttezza dello svolgimento e la segretezza della scelta dell'elettore».

In proposito esistono alcune proposte di modifica. Qual è quella che più condivide, che introdurrebbe?

«Effettivamente già si discuteva di alcune modifiche che la prematura fine del governo precedente ha impedito di approfondire e introdurre. Credo che il problema principale continui a essere quello degli elenchi elettorali, ancora troppo imprecisi e precari. Forse la proposta della cosiddetta “opzione al contrario”, ovvero l'idea di predisporre un apposito elenco di elettori basato sull'iscrizione volontaria (fatta salva la possibilità, per chi non si iscrive, di votare in Italia) costituisce la proposta più efficace per evitare certi problemi sorti nelle due ultime consultazioni elettorali all'estero».

Quali ripercussioni hanno avuto sulle aziende italobrasiliane le recenti limitazioni imposte dalla Commissione europea all'importazione di carne brasiliana?

«Alcuni Paesi dell'Ue, in questo caso soprattutto i produttori scozzesi e irlandesi, hanno spinto per l'irrigidimento delle barriere all'ingresso della carne brasiliana in Europa; si tratta ovviamente di barriere “burocratiche”. In un primo momento tale blocco si basava sulla mancata presentazione, da parte del Brasile, di una documentazione completa che certificasse la perfetta idoneità delle sue fazendas all'esportazione di carne bovina; in un secondo tempo, quando una lunga lista di fazendas aveva provveduto a presentare tutta la documentazione necessaria, il problema è diventato più politico e meno tecnico. Sono questioni delicate, e credo che anche la mia funzione di parlamentare italiano eletto all'estero possa essere utile ad evitare certe incomprensioni come anche a superare ostacoli obsoleti. Cercherò in questo senso di lavorare in stretto raccordo con i miei colleghi del Parlamento europeo e con i parlamentari brasiliani e sudamericani in generale».

Ma come è sentito dalle aziende alimentari italobrasiliane il problema della legalità dei loro prodotti?

«In questi anni il settore agroalimentare brasiliano è cresciuto notevolmente, soprattutto nel campo dell'internazionalizzazione dei propri prodotti. E' un settore che, soprattutto al Sud del Brasile, è prevalentemente in mano a famiglie di origine italiana. La qualità e la legalità della produzione riveste un ruolo sempre più centrale e strategico per queste aziende; credo che dovremmo lavorare di più insieme tra governati e produttori dei due Paesi per superare certi ostacoli. Ero presente qualche mese fa alla visita dell'allora ministro dell'Agricoltura italiano, Paolo Di Castro, in Brasile; so che in questi giorni una delegazione del Parlamento europeo guidata dal deputato del Partito socialista europeo, l'italiano Lavarra, è a Brasilia. Sono azioni politiche che indicano una tendenza positiva, sulla quale dobbiamo tutti lavorare».

Vi è preoccupazione tra gli italobrasiliani per gli esiti del berlusconismo?

«Non le nascondo che ho ricevuto in questi giorni diverse lettere ed email di elettori o semplici cittadini italiani e italobrasiliani che mi ponevano questa preoccupazione; ho risposto che la mia speranza è che il presidente Berlusconi riesca a non accettare il ricatto di un partito come quello della Lega nord, da sempre ostile all'integrazione degli stranieri in Italia ma anche contrario alla rappresentanza in Parlamento degli italiani residenti all'estero; la seconda speranza è che il nuovo governo presieduto da Berlusconi sia più attento al Sudamerica e al Brasile, visto che negli anni che fu al governo il centrodestra non priorizzò nella sua politica estera questo continente tanto importante anche per la presenza degli italiani. Ecco, spero davvero che tante preoccupazioni siano infondate; la risposta l'avremo nei prossimi mesi…».

Berlusconi vincerebbe le elezioni anche in Brasile?

«Oggi in Brasile, se si votasse, vincerebbe nuovamente Lula; non mi sembra che sia molto simile né vicino alle posizioni politiche di Berlusconi. Anche tra gli italobrasiliani, visti i risultati delle ultime elezioni, Berlusconi perderebbe. Il Partito democratico infatti, in Brasile, è risultato il primo partito».

Alle sue figlie augura un futuro in Brasile o in Italia?

«Auguro loro di poter scegliere liberamente tra una delle due opportunità; per questo voglio che crescano dominando le due lingue e avendo coscienza e responsabilità dell'appartenere a due culture e a due Paesi diversi ma tanto legati tra di loro. Vorrei che le mie figlie crescano così, orgogliose dell'Italia e del Brasile: sono convinto che in entrambi i Paesi troveranno stimoli e possibilità di crescita culturale e professionale. Chissà, forse una delle due deciderà di rimanere in Brasile, l'altra tornerà in Italia…». (www.musibrasil.net)

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