Se l’Italia s’è destra, ma Parigi isegna che…

di Renzo Balmelli

Per dirla con una battuta ampiamente abusata: “l’Italia s’é destra” come non accadeva da tempo, tra gli schiamazzi dei saluti romani indirizzati al nuovo sindaco della capitale ed i caroselli selvaggiamente gioiosi dei tassisti. Dopo la tornata elettorale chi guarda a Roma scorge una situazione dai caratteri abbastanza preoccupanti, che ha già messo in allarme i corrispondenti esteri: Alemanno primo cittadino, Schifani al Senato, Fini a Montecitorio, Berlusconi a Palazzo Chigi formano in effetti un quartetto non molto rassicurante per l'imparzialità istituzionale, un quartetto assolutamente convinto di salire alla gloria del Pantheon, non esente di scorie post-fasciste. Manca soltanto il Quirinale, il non tanto oscuro oggetto del desiderio del Cavaliere. Ma con l'aria che tira l'assalto al Colle potrebbe diventare presto il tema caldo di aspre contese.
Sull’altro fronte la pseudo-sinistra veltroniana, che pretendeva di presentarsi nuova di zecca, deve rassegnarsi a prendere atto della mappa elettorale ridisegnata dai cittadini, cosi' diversa da come l'aveva immaginata. E’ come se il gruppo dirigente si risvegliasse da un lungo sonno e scoprisse di trovarsi in un mondo alieno che non ha assecondato le sue convinzioni. E c’è un retrogusto invero poco appetitoso nell’avanzata in forze di questa destra “pigliatutto” che si accinge a occupare i gangli vitali del Paese gustandosi la ciliegina della scalata al ridotto capitolino. Prigioniero dei propri abbagli, il Pd, come la zattera di Gericault sballottata nel mare in tempesta della storia, si ritrova svuotato di energie, palesemente incapace di frenare il carroccio dei vincitori. L’ascesa al Campidoglio di un ex missino mai pentito e croce celtica al collo è stata l’ultima goccia dell’amaro calice, a conclusione annunciata di scelte strategiche solitarie che hanno portato dritto dritto al disastro.
I profeti, disse una volta Boris Vian, hanno il grande torto di avere sempre ragione. Non occorreva Nostradamus per vaticinare il naufragio. Stava scritto. Quando la sinistra rinuncia a essere se stessa, quando cancella i suoi simboli, i simboli del socialismo, quando diventa il pallido Ersatz della sua orgogliosa tradizione, della sua indole pugnace, della sua vocazione operaia e internazionalista, è assai improbabile che possa avere la meglio sulle forze congiunte della reazione. Oskar Lafontaine, l’ex leader della socialdemocrazia tedesca, insegna che la sinistra ha successo quando è il contrario del riformismo, se per riformismo si intende lo smontaggio d'ogni conquista sociali. In altre parole: quando la “novità” equivale all'intento di ammainare le bandiere rosse, la sinistra riformista va in crisi, perché ha imboccato un corso contro gli interessi dei suoi iscritti. Lafontaine sa di che cosa parla visto che grazie a “ Die Linke”, il partito da lui fondato e che veleggia col vento in poppa, è riuscito a fare traballare la Grosse Koalition.
In Italia, alla luce dei risultati, i leader avranno d’ora in poi moltissimi motivi su cui interrogarsi e riflettere. Il progetto di Veltroni, che sembra precocemente avviato sul viale del tramonto, reggeva su basi troppo fragili, troppo distanti dal sentire comune, troppo lontane dalla gente per essere riproposto tale e quale come un possibile modello vincente. A questo punto solo una rapida autocritica priva di fronzoli puo' impedire la deriva e contribuire a tenere accesa una flebile lucina in fondo al tunnel di una crisi che si preannuncia snervante. Serve un passaggio che sia in grado di rianimare gli entusiasmi , di ridare un po' di linfa ai militanti mortificati, liquidati con tanta leggerezza da rischiare l'esilio.
La grande famiglia della sinistra, famiglia litigiosa, certo, ma cosi' piena di vita, la sinistra che fino a ieri era un punto di riferimento culturale oltre che politico per milioni di italiani, con le elezioni ha perso non soltanto consensi, ma anche l’anima , consegnando le chiavi del paese alla destra un po' becera, refrattaria al 25 aprile ed ai valori della Resistenza, i pilastri sui cui poggia l'Italia democratica. La nuova formazione ha pagato la mancanza di chiarezza, l'equivoco ideologico che a lungo
andare ha disorientato gli elettori , spingendoli nelle braccia della Lega e degli Alemanno di turno. In tempi grami la demagogia populista, imbottita con slogan di facile suggestione, ha un potere d'attrazione micidiale. Sarà lunga la ricostruzione, lunga e dolorosa. Mentre Veltroni , reso piu’ fragile dalla batosta, si prepara ad affrontare il cammino in salita del Partito democratico, la destra si attrezza per la stanza dei bottoni. Il programma è noto. Ci sono processi da blindare, i test psichiatrici per i magistrati che non si genuflettono, l’occupazione della RAI, gli editti per i giornalisti e i conduttori sgraditi, e altre varie amenità.
Essendo ancora imputato a Milano per falso in bilancio il Cavaliere si occuperà anzitutto delle sue vicende giudiziarie. Se ne avrà il tempo andrà magari da Vespa per ridisegnare il Paese . Ma sarà una sceneggiata. Il problema non è piu’ soltanto l’eredità governativa di Romano Prodi, che comunque non era neppure cosi’ male. Il Professore, né miliardario né un seduttore, è stato l’unico a battere due volte il reuccio di Arcore sventandone le boutade, togliendogli qualcosa di vagamente simile al ruolo dello statista, correggendogli i conti e mandandolo su tutte le furie. Le personalità come Prodi – osserva Giorgio Bocca – fanno uscire pazzi di rabbia quelli che di ogni incarico pubblico fanno un affare privato. Eppure sulla storia dell'ormai ex Presidente del consiglio peserà piu' del resto il brutto ricordo del “fuoco amico”, micidiale come quello americano in Iraq. Uno dei tanti misteri dei palazzi romani.
Conosciamo i vizi e le assurdità dell’Italia, capace di rieleggere per la terza volta una classe dirigente che nelle precedenti occasioni ha dimostrato tutta la sua inefficacia. Dovrà cominciare presto a pentirsene? In Francia nel giro di un anno la stella di Sarkozy è impallidita come nessuno avrebbe immaginato. La prova provata che in politica non si vive di gossip, operette ed inganni. Certo, nelle condizioni in cui versa la sinistra italiana la sfida è ardua, al limite dell’impossibile, ma non al punto di rassegnarsi alla sconfitta definitiva e alla disperazione. Parigi docet!

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