di Patrizia Vita
Un commento sulla lettera del Vescovo di Brescia dopo l’arresto di un prete con l’accusa di pedofilia
Non ci siamo stupiti più di tanto quando abbiamo letto la lettera rivolta ai sacerdoti di Brescia, da parte del vescovo Monari, in occasione dell’arresto del vice rettore del locale seminario con l’accusa di violenza sessuale aggravata nei confronti di un minore di 14 anni e per detenzione di materiale pedo pornografico.
E’ un copione che oramai si ripete puntualmente ad ogni prete arrestato per pedofilia: non una sola parola di solidarietà e di conforto è stata dedicata da mons. Monari nei confronti del giovane seminarista stuprato e violentato a soli 14 anni, ma solo parole di stima e di encomio verso don Franco Baresi il prete arrestato. Le vittime per le gerarchie ecclesiastiche non contano nulla, conta solo “il buon nome” e la “reputazione” della “chiesa “, intesa come gerarchia ecclesiastica, da difendere a tutti costi.
Non possiamo non provare disgusto per un tale modo di procedere perchè non riusciamo a toglierci dalla mente le parole di Gesù: “piuttosto che scandalizzare un piccolo, è meglio per lui che si metta una corda attorno al collo legata ad una pietra e si getti nel mare”!.
E’ vero tutti possiamo sbagliare e non sta a noi giudicare, ma la pedofilia è un reato, oltre che un peccato, molto grave, paragonabile all’omicidio, poiché si uccide l’anima dell’abusato che rimane segnato per il resto della sua vita!!!
Come si può giustificare il fatto che don Baresi detenesse nella sua abitazione materiale pedo pornografico giudicato dagli inquirenti “raccapricciante con una sequela impressionante di violenze a danno dei minori”? Forse gli era stato commissionato qualche studio o qualche ricerca da parte di qualche superiore o del Seminario? O forse la Curia gli aveva richiesto un dossier sulla pedofilia? Si possono liquidare queste accuse, supportate dai riscontri effettuati come “insinuazioni” come fa il Vescovo nella sua lettera? E’ credibile dire che quel materiale è stato inserito anonimamente e arbitrariamente da qualcuno per colpire e discreditare la Chiesa o la Diocesi di Brescia o per incastrare don Baresi, come forse verrà sostenuto?
Certo giudicheranno i giudici ma la chiesa non può continuare a fare esclusivamente una difesa ad oltranza senza porsi alcun tipo di domande e senza chiedersi l’origine della pedofilia dei preti che, oramai è accertato, è un fatto endemico e molto diffuso, più di quello che si vuole lasciar intendere.
Si dice ora che il ragazzo vittima di don Baresi qualcuno lo voglia far passare per matto, per visionario, per disadattato. Anche questo è un copione già recitato che però è in contraddizione con la decantata severità nella selezione dei seminaristi più volte ribadita dal Vaitcano proprio sul tema della sessualità.
Ma la lettera del vescovo Monari è indicativa di un modo di affontare la questione pedofilia da parte della gerarchia ecclesiastica anche perchè egli non è un vescovo qualunque ma è Vice Presidente della CEI. Ma proprio perchè svolge anche tale funzione egli non può far finta che in quel seminario non sia successo nulla, se è vero come è vero che anche il predecessore di don Baresi è stato allontanato per accuse analoghe!!!
Allora non ci si può schierare solo ed esclusivamente dalla parte dei preti: questo è un indice di difesa corporativa di un corpo separato che si arroga il diritto di avere solo onori e nessun onere e questo Gesù, nel suo Vangelo, lo ha decisamente escluso.
Noi, con Gesù, stiamo dalla parte delle vittime.
Patrizia Vita
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Ecco la lettera che il Vescovo Monari ha rivolto ai sacerdoti di Brescia
“L’arresto di un vicerettore del Seminario è una ferita profonda e dolorosa per la Chiesa bresciana. Nutro profonda speranza che l’accusa si risolverà in una bolla di sapone; ho ascoltato tanti che hanno conosciuto don Marco, che sono vissuti insieme a lui per anni e il giudizio è concorde: non uno che abbia avanzato dubbi o riserve. Ma la ferita non si rimarginerà presto. Noi viviamo anche dell’immagine che gli altri hanno di noi e la notizia, sparata dai giornali come una bomba, unita a insinuazioni, ha segnato la nostra Chiesa. Anche se in futuro l’innocenza venisse riconosciuta, l’offesa rimarrebbe, impietosa. Sporcare ciò che è pulito è facile; ripulire ciò che è stato sporcato è difficile, lungo e produce un risultato imperfetto”. “Paolo scrive ai Romani che Dio «fa servire ogni cosa al bene di coloro che lo amano» (Rm 8,28). Che cosa può significare allora per noi, Chiesa bresciana, questa esperienza di sofferenza? Cosa ci sta dicendo e chiedendo il Signore? Provo a rispondere con la consapevolezza che ciascuno è chiamato a riflettere davanti a Dio e a dare una risposta personale, creativa, che lo faccia uscire più maturo da questa prova. La prima cosa che mi sembra di cogliere è un invito fortissimo all’umiltà, alla consapevolezza chiara del poco che siamo. Sant’Agostino scrive che non c’è alcun peccato che noi stessi non potremmo fare, se messi in determinate condizioni. Il bene che c’è in noi, la resistenza al male che riusciamo a mettere in opera, viene dal Signore, è sua grazia. Di questo possiamo gioire con stupore e riconoscenza, ma non possiamo vantarci. Scrive san Paolo ai Corinzi: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?» (1Cor 4,7). Questa umiltà ci aiuta a essere meno risentiti di fronte alle accuse o alle insinuazioni: non le meritiamo, ma non le meritiamo per dono di grazia, non per virtù personale”. “Possono venirci lanciate le accuse più gravi; ma noi sappiamo quello che il Signore ha operato e opera nella nostra vita; sappiamo le motivazioni delle nostre scelte e dei nostri comportamenti; sappiamo l’amore e il disinteresse con cui cerchiamo di agire. Possiamo procedere con fiducia serena sotto lo sguardo di Dio, sotto il suo giudizio. L’errore più grave, la tentazione più sottile sarebbe quella di rispondere alle accuse col disimpegno, dicendo: «Se questo è il guadagno, vale meglio limitarci a compiere lo stretto dovere e nient’altro. Saremo più sicuri e meno vulnerabili». Ed è vero; ma saremmo anche meno cristiani e meno preti. Dietro a questo atteggiamento c’è l’orgoglio sottile di chi, per risentimento, dice degli altri: «Non mi meritano; s’arrangino e vedranno quanto valgo». È vero che un prete, proprio per la sua attività coi ragazzi e per i ragazzi, è vulnerabile; lo si può accusare facilmente, anche perché un’accusa simile è accettata facilmente dal sentire comune. Ma non possiamo rinunciare a operare, perché non possiamo rinunciare ad amare. L’amore è, per natura sua, attivo; non si ritira, ma prende sempre posizione a favore della vita, del bene, della gioia degli altri. Se ci ritiriamo dall’impegno nell’oratorio per l’educazione dei piccoli, per la loro crescita umana e cristiana, se riduciamo il nostro servizio all’adempimento burocratico delle prestazioni religiose, tradiamo la nostra vocazione. Di fronte agli inevitabili timori l’aiuto decisivo è quello che ci viene dalla contemplazione del Signore. Di lui si dice che «quando era oltraggiato non rispondeva con oltraggi e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a Colui che giudica con giustizia» (1Pt 2,23). Se Gesù si fosse lasciato spaventare dalla pericolosità della sua missione, se avesse cercato la sicurezza a ogni costo, come avrebbe potuto mostrare l’amore di Dio per noi? Dobbiamo allora rimanere inerti? Accettare passivamente di essere oggetto di sospetti umilianti? Anche qui la risposta è: no. ’No’ per un atteggiamento sano di difesa di noi stessi. Ma ’no’ anche per amore verso gli altri”. Quindi la Chiesa prosegua con le proprie attività, con la consapevolezza “che il diffondersi di un sospetto malizioso rovini le cose belle che ci sono nel mondo, che renda ambigui i rapporti più sani, le espressioni più pure di affetto e di attenzione agli altri. Non possiamo permettere che la paura di interpretazioni maliziose e maligne cancelli quello che è fonte di calore umano e di gioia. In alcuni interventi di questi giorni appare la gioia maligna di poter cogliere in fallo chi si presenta come portatore di un messaggio esigente sulla sessualità. Quasi a dire: «Vedete la Chiesa? Si presenta come paladina della verità, condanna tutti i vizi, esige una impossibile rinuncia alle esigenze della sessualità; poi cade anch’essa nei vizi che condanna». Siamo radicalmente fuori da questo tipo di critica. Predichiamo che la sessualità va unita con l’amore e il senso di responsabilità; e lo predichiamo non per ossequio formale a una legge antiquata o a una cultura settaria, ma per stima dell’uomo e della sua dignità, perchè solo una sessualità ricca di amore e matura nella responsabilità è degna di lui”. Dunque i sacerdoti devono ricordarsi che se si accusa un prete, si accusano nello stesso tempo tutti i preti. “Il fatto è tutt’altro che gradevole perchè ci sentiamo tutti insieme messi sul banco degli imputati senza che nessuno si sia preoccupato di guardarci in faccia e di misurarsi con noi. Ma forse questa situazione è la conferma di una realtà effettiva sulla quale abbiamo insistito spesso e cioè che tutti i preti di una diocesi costituiscono un unico presbiterio solidale attorno al vescovo. Naturalmente le responsabilità, sia morali che giuridiche, sono strettamente personali; ma i pesi (così come le gioie) si portano insieme. Né io vescovo posso tirarmi indietro dicendo: io non c’entro; né può farlo un qualsiasi prete del nostro presbiterio. Questo esige da noi un senso vivo di responsabilità: sappiamo che i nostri comportamenti, buoni o cattivi, ricadono sulle spalle degli altri. Abbiamo il dovere di crescere verso la maturità perchè il peso delle nostre immaturità è sopportato da tutti; dobbiamo tendere verso la santità, perchè il peso della nostra mediocrità finisce per intristire tutti. A tutti, però, chiediamo proprio per questo di essere leali. Se ci considerano una cosa sola nel presbiterio, considerino anche tutto il bene che c’è in mezzo a noi. Se tengono questo atteggiamento con sincerità. siamo convinti che avranno del presbiterio bresciano un’immagine bella. Non perfetta, purtroppo, per la nostra debolezza; ma certamente cristiana e umanamente ricca, per grazia di Dio. Questa è la nostra convinzione che esprimiamo con umiltà, ma anche con fiducia. Ai laici credenti chiediamo di esserci vicini in questo momento difficile così come sentiamo di essere vicini a loro nelle loro quotidiane tribolazioni e fatiche. (Il dialogo.org)