Il minareto della discordia

di Maria Gazepi

Salendo verso nord sulla strada che da Xanthi porta verso il confine bulgaro, si entra in una valle che appare sospesa nel tempo: sopravvive la monocoltura del tabacco, si usano ancora gli asini e si prega in moschea. Siamo nella zona della minoranza mussulmana in cui circolano soltanto giornali turchi, dove ogni casa, anche la più povera, ha installata una parabola satellitare, dove a scuola si insegna il turco (sono pochi coloro che parlano greco), dove la polizia è perennemente “disoccupata”, nel senso che, come spiega il comandante della stazione, «loro le controversie se le sbrigano da soli». Più a est, sempre al confine con la Bulgaria, tra Orfheas e Metaxades vive un’altra minoranza: sono i pomachi, parlano un dialetto turco, le donne portano i tradizionali “pantaloni” colorati che indossano anche le donne “rom” e appartengono ad una setta scismatica dell’alaulismo.
Queste due minoranze contano circa centomila membri (un quarto della popolazione della regione di Tracia) e sono l’ultima eredità, in terra cristiana, dell’impero ottomano. Per decenni, Atene si è dimenticata di loro: i giovani non facevano servizio militare, erano costretti a emigrare in Turchia per studiare. Anzi, il governo ellenico ha cercato in tutti i modi di ostacolare la loro integrazione, e ancora oggi sono una testa di ponte turcofona in terra ortodossa. C’è da aggiungere che Ankara i suoi “fratelli” li tratta con tutte le attenzioni e i riguardi. Alla loro cura provvede infatti il Consolato Generale di Turchia a Komitini, una città questa divisa in due anche nella via del mercato: a sinistra prodotti per la comunità mussulmana (quasi sempre di marche turche), a destra prodotti occidentali per la comunità ellenica.
Fino a pochi anni fa, pochi sono stati gli analisti che hanno considerato la Grecia come l’ultimo bastione dell’occidente cristiano: la minaccia del blocco sovietico era superiore. Il suo crollo ha modificato anche la posizione geopolitica del Paese e l’interesse, sia interno che internazionale, per queste comunità. Si deve pensare agli ingenti potenziali di crescita della regione, dovuti ai ciclopici progetti infrastrutturali come l’oleodotto di 280km, che potrà trasportare fino a 800mila barili di greggio russo al giorno dal porto bulgaro di Burgas al terminale petrolifero nei pressi della città di Alessandrupolis, sull’Egeo. Inoltre, rapporti dei servizi segreti, rivelano che in quelle zone arrivano ingenti somme elargite dai sauditi, somme destinate ad attività assistenziali e religiose.
Fino a quando i mussulmani erano soltanto quelli che abitavano zone impervie e povere del Paese, il problema era facilmente controllabile dalle autorità, in questo favorite anche dal terreno: si può infatti isolarli nelle loro valli. Oggi il problema per la Grecia è la continua crescita della comunità mussulmana nella capitale che si aggira sul mezzo milione di fedeli. La cartina di tornasole è il continuo rimandare della decisione di costruire una moschea. Già in vista dei Giochi Olimpici del 2004, il governo socialista aveva deciso di autorizzare la costruzione di un centro culturale islamico e di una moschea nella zona di Peania, nei pressi dell'aeroporto. Ma in seguito all’opposizione della Chiesa, favorevole alla creazione di una moschea, ma contraria alla realizzazione di un centro culturale, le autorità locali congelarono il progetto. Lo scorso anno, su proposta della Chiesa sfavorevole alla riapertura di una moschea ottomana di Monastiraki il governo ellenico ha dato luce verde alla costruzione di una moschea entro il 2010, che sorgerà nell’area di Eleonas, vicino ad Omonia. Una decisione difficile se si tiene in conto l’opinione degli ateniesi: più della metà sono contrari alla costruzione di una moschea.
Nel frattempo nel cuore di Atene si è instaurata una nuova base islamica instabile con decine di moschee approntate in appartamenti, garage e magazzini. Cinque di esse, in modo particolare, sono state identificate dalla SCA (Serious Crimes Agency) di Atene come luoghi in cui interagiscono e pregano elementi fondamentalisti. Da qualche mese, Atene ha ufficialmente il suo primo Centro arabo ellenico per la cultura e la civiltà, nella parte meridionale della città. Di fatto, l'apertura del Centro è una sorta di soluzione temporanea a una controversia da tempo aperta tra la comunità musulmana e le autorità elleniche in merito alla costruzione di una vera e propria moschea ufficiale nella capitale ellenica.
Terminata la costruzione sorgerà un altro problema: la nomina del gran Muftì della capitale. Fino ad oggi le autorità religiose mussulmane, in base agli accordi di pace tra Grecia e Turchia, sono riconosciute dal Ministero dell’Educazione degli Affari Religiosi e godono di alcuni privilegi. Ma loro appartengono alla minoranza mussulmana ellenica. Per i religiosi invece con una diversa nazionalità non è previsto, almeno fino ad oggi, alcun riconoscimento ufficiale.
Comunque, sia le somme saudite, sia l’attenzione turca, sia la presenza di gruppi “fondamentalisti” (alcuni affiliati sono stati arrestati alla frontiera ellinoturca), la Grecia non ha ancora fatto i conti con la sfida jihadista. Ma non va dimenticato che il Paese, unitamente ad alAndalus (la Spagna musulmana), è stato indicato dalla leadership dei Fratelli musulmani, come uno dei luoghi un tempo appartenenti alla patria islamica e che vanno adesso riconquistati, in vista della creazione di un califfato panislamico.

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy