Due pesi e un dubbio

di Andrea Ermano

Walter corre solo. Solo con Tonino. E con nessun altro. L'Italia dei Valori dell'ex magistrato di tangentopoli Antonio Di Pietro prenderà parte alle prossime elezioni politiche in coalizione con il Pd. Di Pietro manterrà il proprio simbolo durante la campagna elettorale, ma poi in Parlamento confluirà nel gruppo unico del Partito Democratico. L'ex procuratore di Tangentopoli rappresenta al momento l'unica eccezione nel panorama di quello che i media hanno definito il nuovo “bipartitismo veltrusconiano”, i cui due leader – Berlusconi e Veltroni appunto – avevano finora respinto le pretese di apparentamento dei partiti minori rivendicando l'esigenza di combattere la frammentazione della politica.
La ragione per cui Veltroni concede ora al ministro uscente Di Pietro quel che ha negato ad altri può apparire enigmatica o quanto meno doppiopesista. Bisogna tenere a mente, tuttavia, che il privilegio dipietrista non viene al mondo in questi giorni, ma esiste già da molti anni. E' la seconda volta che l'ex magistrato più famoso d'Italia riceve un favore plateale da parte del gruppo dirigente del Pci-Pds-Ds-Pd. La prima fu quando il dott. Di Pietro uscì (sbattendo la porta) dalla procura milanese. Ne seguì una velenosa polemica nella quale Di Pietro ribadì, sottolineò e mise in evidenza come lui stesso, in quanto magistrato, non aveva affatto risparmiato il Pci-Pds.
Sulla vicenda delle dimissioni dalla magistratura, passata agli annali, Wikipedia riporta questa ricostruzione: <> (vai alla voce “Antonio Di Pietro” su Wikipedia).
Qualche tempo dopo l'ex magistrato ebbe da D'Alema una candidatura blindatissima nella circoscrizione del Mugello. Quella candidatura premiava un uomo che si era molto distinto nella lotta alla corruzione. E, per inciso, chiuse in faccia la porta della “Cosa 2” ai boselliani. Era il 1998. Dieci anni dopo le stesse cose ritornano. Oggi Di Pietro fa deroga alla solitudine veltroniana (“Yes we can, il Pd corre solo”), e le ragioni di oggi paiono le stesse di quelle valevoli ai tempi del Mugello: dare visibilità a colui che debellò la corruzione in Italia.
Ma c'è un po' di calo della fede. L'Italia in effetti non sembra un Paese a corruzione debellata. E gli stessi magistrati milanesi, gli ex colleghi di Di Pietro, hanno in varie occasioni proclamato che, sul fronte delle “mani pulite”, la situazione è se possibile ulteriormente peggiorata. Se dopo quindici anni di transizione verso il “nuovo che avanza” questo è quel che ci resta, meglio tacere delle istituzioni, del movimento operaio, del socialismo europeo e dello stesso concetto di sinistra italiana… Forse qualcuno dentro il gruppo dirigente del Pci-Pds-Ds-Pd dovrebbe impegnarsi a chiarire un po' meglio gli accadimenti di questi tre lustri, anzitutto in ambito storico.
Sul piano rigorosamente storiografico, registriamo intanto che è tornata all'ordine del giorno, in tutte tre le sue ragioni sostanziali, la questione socialista: 1) è all'ordine del giorno la prospettiva cosmopolitica che può essere articolata a sinistra solo all'interno del PSE e dell'Internazionale Socialista; 2) è all'ordine del giorno la questione sociale riemergente dopo un ventennio di latenza mediatica; 3) è all'ordine del giorno la laicità delle istituzioni messa in forse dall'ondata neo-guelfa. Non si tratta di tre ragioni da poco. Forse per questa lora preponderanza, per una sfida enorme anche sul piano teorico, la costituente di Boselli e Angius fa fatica a decollare. Senza contare una legge elettorale penalizzante a causa di cui la pattuglia parlamentare dei boselliani rischia ora di rimanere esclusa dal Senato e forse persino dalla Camera. Ma nella storia più che centenaria del socialismo italiano non sarebbe la prima volta che ciò avviene. Come diceva Pietro Nenni, che di difficoltà e rinunce tante ne dovette affrontare: “Nessuno è veramente sconfitto fino a che non accetta di esserlo”.
A proposito delle sconfitte subite dal vecchio Nenni sia concesso richiamare qui il giudizio consolidato degli storici, secondo i quali il principale errore commesso dal leader socialista consisté nel patto con Togliatti. All'indomani della seconda guerra mondiale il PSI continuò ad agire come se fosse ancora in corso la guerra civile spagnola. La principale voce “anti-frontista” del socialismo italiano fu allora questa testata che, nel tentativo di rinnovare la cultura politica socialista, propose di abbracciare il “Manifesto di Ventotene” di Colorni e Spinelli in luogo dell'obbedienza moscovita, il riformismo economico del “Socialismo liberale” di Rosselli in luogo del rigido classismo imperante, e la lista politico-programmatica potrebbe continuare.
Ma Eugenio Colorni, che rappresentava il punto di riferimento del laboratorio zurighese, venne assassinato per mano fascista sicché, quando nel 1944 il Psi rinacque, Colorni non poteva più impedire la glaciazione neo-frontista. Così avvenne che “i socialisti nostrani ancorché (particolare non irrilevante) nel 1946 fossero il primo partito della sinistra italiana restarono, unici nell'Europa democratica, avvinghiati al Pci”, ricorda Paolo Mieli sul Corriere della Sera dell'8 febbraio scorso.
Il direttore della maggior testata italiana, come altri grandi operatori dell'informazione legati alla componente liberal del mondo industriale, è un socio di riferimento del Partito Democratico nonché fautore convinto del nuovo corso veltrusconiano. L'Italia ha bisogno per Mieli di un partito di centro-sinistra in grado di candidarsi a governare il Paese “al riparo da veti e intrusioni da parte di entità politiche collocate su posizioni estreme”. Insomma, nell'Italia del 2008 tutti pazzi per il riformismo socialista, democratico e liberale, ovviamente in chiave neo-moderata, fatte salve le prebende comiziali per Antonio Di Pietro e la portonate ai “laicisti”.
Va bene così. Tutto logico. E però lasciateci esprimere qui il nostro dubbio. Qui: da queste colonne, dove gli scritti di Colorni, Spinelli e Rosselli apparvero in tempi non sospetti, noi dubitiamo fortemente che i veltrusconiani concordino davvero, per intima convinzione, con il pensiero politico di Eugenio Colorni, Altiero Spinelli e Carlo Rosselli.
Ma non dubitiamo e siamo praticamente certi invece che Colorni, Spinelli e Rosselli non sarebbero per nulla d'accordo con il veltrusconismo. Anzi, loro oggi, quanto meno nella valutazione dell'epoca in cui viviamo, aderirebbero probabilmente alla diagnosi di Pietro Nenni.

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