Noi e le elezioni

di Marco Basti

Passata la Finanziaria e ottenuti i chiarimenti da parte delle varie componenti della maggioranza, c’era l’impressione, all’inizio di gennaio, che finalmente il governo di centrosinistra presieduto da Romano Prodi avesse imboccato la strada giusta e si accingesse a governare invece di essere costretto a mediare tra i bellicosi membri della coalizione. Lo stesso Prodi, nella conferenza stampa di fine d’anno, si era mostrato decisamente ottimista.
Invece l’impressione si è rivelata una pia illusione e il caso Mastella, scoppiato a metà gennaio, ha finito per precipitare le dimissioni di un governo la cui caduta era stata preannunciata praticamente fin dal giorno del suo insediamento, nel mese di maggio del 2006, a causa dell’eterogeneità della coalizione e della risicatissima maggioranza che aveva al Senato, che costringeva quasi tutti i senatori a vita al discusso ruolo di membri della maggioranza, per assicurare la vita al governo dell’Unione.
Una coalizione costituita da una miriade di partiti di estrazione molto diversa che andava dal centro alla sinistra estrema.
Dissidi sulla politica estera, sulla politica economica e sul welfare, le successive emergenze affrontate dal governo (ultima quella dei rifiuti nel napoletano), la divisione delle forze della coalizione e la nascita del Partito democratico con l’ascesa di Walter Veltroni al ruolo di leader della maggioranza, costretto da una parte alla lealtà verso il governo della coalizione e dall’altra a mostrarsi diverso da esso per poter conquistare uno spazio elettorale per il nuovo partito, son stati solo alcuni degli elementi che hanno portato all’affossamento del governo.
Come è noto, alla continuità del governo ha contribuito, finché ha retto, anche il voto del senatore Luigi Pallaro, indipendente, eletto (con il maggior numero di preferenze tra tutti i 18 senatori e deputati eletti nella Circoscrizione Estero) nella lista dell’Associazionismo nella ripartizione America Meridionale. Come aveva annunciato in campagna elettorale e poi una volta eletto, Pallaro ha appoggiato il governo che aveva conquistato una maggioranza di seggi, anche se esigua. “Non andiamo in Italia a decidere chi deve governare, appoggeremo la coalizione che avrà la maggioranza per fare il governo”, aveva detto, mantenendo tale posizione anche quando, nel mese di novembre, Berlusconi tentò vanamente la “spallata” per far cadere Prodi.
Questa volta invece, è stato diverso. “La maggioranza non c’era più, era entrata in crisi e non era certo il mio voto quello che avrebbe salvato Prodi”. Questo il ragionamento fatto dal Senatore italiano residente in Argentina a chi gli ha chiesto il perché della sua assenza nella definitiva votazione di giovedì 24 gennaio, a Palazzo Madama, in riferimento al fatto che due dei partiti della maggioranza, l’Udeur di Mastella e Dl di Dini, hanno negato la fiducia a Prodi. Il voto di Pallaro, non avrebbe modificato la sorte del premier bolognese al quale comunque Pallaro riconosce capacità, lealtà e sensibilità, nei riguardi degli italiani all’estero. Infatti, Pallaro ha fatto notare ai suoi interlocutori che quello di Prodi è stato un governo costretto all’ordinaria amministrazione fin dall’inizio, a causa dell’eterogeneità della coalizione presieduta dal Professore, e in un tale quadro, è riuscito a dare quello che poteva. “Nei vari incontri avuti con il premier in questi mesi per sensibilizzarlo sulla realtà degli italiani all’estero, dicono che ha riferito Pallaro, Prodi ci ha sempre ascoltato con attenzione, si è impegnato per ottenere i fondi per l’assistenza ai connazionali indigenti, che avevamo chiesto nella prima Finanziaria (‘che però non tutti i nostri deputati hanno votato’ – dicono che ha fatto notare Pallaro) e per il piano biennale di assistenza approvato nella seconda Finanziaria, così come i fondi per iniziare a migliorare i servizi consolari, secondo quanto avevamo chiesto”, ha spiegato Pallaro.
Ora, anche nei confronti degli italiani all’estero una tappa si è chiusa con la caduta del governo e si apre un nuovo periodo verso le elezioni.
In questo senso bisogna ricordare che per alcuni italiani residenti qui in Argentina e in altri Paesi dove risiedono comunità di italiani anche non numerose, la campagna elettorale per le prossime elezioni era cominciata subito dopo la chiusura dei seggi delle elezioni dell’aprile del 2006. Alcuni l’hanno fatta cercando di costruire reti di contatti, visitando comunità in altre città o Paesi o giocando la carta della rappresentanza politica o sindacale di partiti e patronati italiani. Altri hanno preferito farla attraverso i mezzi di comunicazione (molte volte per attaccare gli eletti all’estero) o giocando la carta dei rapporti con la politica locale o negli organi di rappresentanza della collettività, come i Comites o il CGIE. Sono comunque tanti quelli che aspirano a partecipare alla nuova tornata elettorale e tra loro ci saranno, quasi certamente, quasi tutti i senatori e i deputati che stanno per concludere anticipatamente il loro mandato elettorale.
Un panorama complesso quindi, per un periodo di tempo che per forza sarà molto ristretto, di fronte al quale c’è solo la certezza che gli italiani residenti all’estero torneremo ad eleggere i nostri rappresentanti la Parlamento: 12 deputati e 6 senatori.
Infatti, non sono arrivate in porto le modifiche proposte dai vari progetti di legge presentati alla Camera e al Senato, così come non sono decollate le varie proposte di modifica della legge elettorale. Nè di quella che riguarda l’Italia – e quindi si tornerà a votare con il cosiddetto “porcellum”, che ha provocato l’attuale situazione di instabilità al Senato – nè di quella che riguarda il voto degli italiani all’estero.
Specificamente per quanto riguarda questa elezione, si tornerà a votare per corrispondenza, secondo quanto prescritto dalla legge Tremaglia. Potrebbero ripetersi i problemi delle precedenti elezioni, con plichi non arrivati ai destinatari, con connazionali non iscritti nei registri elettorali, con buste non tornate nei Consolati e con un disorganizzato spoglio delle schede a Roma.
Alcuni di questi problemi potranno essere se non risolti, almeno ridimensionati, anche se va sottolineato che in questo campo, in un anno e mezzo, non è stato fatto praticamente niente, purtroppo.
C’è da augurarsi che tra i candidati ci si decida a non dare spazio ai nemici del voto degli italiani all’estero. Si presume che chi si presenta all’elezione per rappresentarci è qualcuno che almeno condivide con noi la consapevolezza di questo strumento, il voto, un diritto riconosciuto dopo anni di battaglie, se usato con intelligenza, non puo che essere di beneficio per l’Italia, per i Paesi nei quali residiamo e, naturalmente, anche per noi.
marcobasti@tribunaitaliana.com.ar

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