Ora i punti sono divenuti sette e…Buon anno

Eravamo rimasti a dodici. A quelli di Prodi che aveva elencato una serie di “cosette” da realizzare sino al termine della legislatura. Lamberto Dini, “giovanotto” pieno di pretese e rampante ideologo politico, “ardimentoso eroe di mille imprese”, ha sintetizzato ulteriormente, in maniera decisamente più stringata, la lista dei punti riducendoli a sette. Egli serve a far cadere un governo. D’altronde, qualcuno, prima o poi, dovrà pur rendersi responsabile di una spallata, uno spintone, uno sgambetto, chiamatelo come volete. Mister Mastella sembra essersi defilato anche perché l’incubo di una legge elettorale frutto di un accordo Veltroni-Berlusconi, potrebbe ridurlo a ranghi stretti visto lo spauracchio di uno sbarramemento che spazzerebbe via l’Udeur come un tornado americano. La sinistra, quella a sinistra del centrosinistra, che fa? Fa botti con i piedi. Strapazza i consigli dei ministri, sbraita nelle piazze un po’ di giustizia sociale in più ma, difesa da un messaggio mediatico che non fa una piega dal punto di vista propagandistico, è allineata e coperta ligia alle direttive del governo. Dunque, non resta che il buon Dini Lamberto. Per chi mastica proprio almeno un poco di politica, capisce subito che non sono le motivazioni politiche a fargli prendere posizione. Piuttosto la bramosia di visibilità e di protagonismo. Sia bene inteso, faccia anche cadere il governo Prodi, per carità, ma chi se lo prenderebbe in casa nel futuro uno che vira così all’improvviso? Non sembra essere certo un esempio di coerenza: 1996, forma la lista Dini formata da Rinnovamento italiano, Socialisti italiani e Patto Segni aggregandosi al centrosinistra con l’Ulivo di Prodi e con i quattro governi Prodi fa il Ministro degli Affari Esteri; poi, Rinnovamento italiano entra nella Margherita; nel 2006 è rieletto senatore nella Margherita; nel 2007 è addirittura uno dei 45 membri del Comitato Nazionale del Patito Democratico e, questo il 23 maggio; in settembre, il 18, si distacca dal Partito Democratico; il primo di ottobre dello stesso anno, s’intende, crea un nuovo partito dei Liberaldemocratici insieme a D’Amico e compagnia; dicembre 2008 vota la finanziaria però si sgancia dal centrosinistra quasi a dargli tempo per un riflessione: «guarda che la prossima volta ti stronco»; fine dicembre 2007, Dini compila sette punti, prendere o lasciare, e li sottopone a Prodi, se li accetterà, bene, altrimenti sfiducerà il governo.
Sarebbe arduo, da parte del senatore Dini, convincerci che la sua sia una presa di coscienza delle sorti del paese. Avrebbe fatto meglio a chiedere un ministero o a proporsi di guidare egli stesso il secondo governo del centrosinistra dopo un bel rimpastino. La polemica che sembra essersi innescata con queste considerazioni, non vuole essere affatto di difesa del governo ormai esanime tuttora in carica, ma prospetta solo considerazioni di fatto che fanno riflettere. Il vero problema della politica di questo paese è proprio la presenza di personaggi che hanno fatto il loro tempo e che nulla più hanno da offrire. Nell’interesse di tutti, bisognerebbe mandare in pensione politici che hanno calcato i palcoscenici troppo a lungo. Il Senatore Lamberto Dini, cosa crediamo, non farebbe le stesse cose anche con un governo Berlusconi? Certo che le farebbe! Perché no?

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