di WALTER CICCIONE / TRIBUNA ITALIANA
Claudio Micheloni, presidente del Comitato per le questioni degli italiani all’estero del Senato, sostiene che la Finanziaria, se verrà approvata con gli emendamenti richiesti dai senatori eletti all’estero, segnerà una svolta nella soluzione dei problemi degli italiani all’estero. In una intervista a Walter Ciccione della TRIBUNA ITALIANA, il senatore eletto nella Ripartizione Europa nella lista dell’Unione e residente in Svizzera, avverte sui pericoli che potrebbero esserci per il voto degli italiani all’estero, parla sulla cittadinanza la cui trasmissione dovrebbe fermarsi ai nipoti e del lavoro dei parlamentari eletti all’estero. Di ce che non è stata fatta la foto di gruppo, ma che hanno garantito la governabilità del Paese.
TRIBUNA ITALIANA – Ci sono state riunioni tra i parlamentari eletti all'estero?
Claudio Micheloni – Abbiamo organizzato un paio di incontri, però non al completo, sicuramente più per impegni che per mancanza di volontà. Sono stati incontri informali e non hanno avuto un grande risultato. C’era la speranza di lavorare il più unitariamente possibile, ma oggettivamente è una cosa difficile nel quadro politico italiano perché qui tutto si muove secondo le aree politiche.
Ci sosteniamo volentieri insieme su alcuni punti. Adesso sull'assegno sociale alla Camera, si è fatto un passo unitario. Per un anno siamo stati sia alla Camera che al Senato senza uno strumento operativo per lavorare nelle istituzioni e questo é stato un handicap molto forte perché alla Camera dei Deputati era previsto un sottocomitato della Commissione Esteri che è stato insediato 2 mesi fa, dopo più di un anno! C’è voluto un anno per insediare una cosa che è prevista dal regolamento.
Qui al Senato, non era previsto nulla e per creare un comitato e non una commissione del Senato per la questione degli italiani all'estero, ci abbiamo messo 15 mesi. Nel Comitato siamo presenti i 6 Senatori dell'estero piú 11 Senatori italiani e questo è estremamente importante.
In questo Comitato si ragiona con uno spirito diverso che nelle altre commissioni, parliamo dei problemi ce rcando di limitare l'influenza partitica che, però, dopo riemerge nel momento che i temi arrivano in aula dove è molto difficile lavorare con lo stesso spirito.
T. I. – Non c’è mai scappata una fotografia di gruppo, una sorte di simbolo per gli italiani all'estero per diffondere un'immagine di cordialità tra i nostri 18?
C. M. – Non lo abbiamo mai fatto e, ha ragione, come immagine potrebbe essere una cosa da utilizzare. Ma il vero problema non é quello della fotografia e non é neanche quello delle riunioni dei 18. Il vero grosso problema è che il mondo politico italiano non conos ce la realtà degli italiani nel mondo, questa è la vera difficoltà. Quando in politica si affrontano temi la cui base non è conosciuta dai politici locali, diventa difficile concretizzare.
Qui non sanno cosa siamo diventati, cosa sono le nuove generazioni, non conoscono il nostro pro ce sso di integrazione, non hanno idea di quello che rappresentiamo. Ignorano questa realtà e questo rende tutto molto difficile.
Per esempio far capire ai politici che ci sono in alcune parti dei bisogni; che abbiamo ne ce ssità di promuovere la lingua italiana e la cultura e che peraltro abbiamo bisogno anche di servizi nei consolati. E soprattuto debbono capire che siamo una risorsa per il Paese, uno slogan che tutti i politici italiani utilizzano e che noi dobbiamo far diventare una realtà.
T. I. – Con la TRIBUNA ITALIANA abbiamo fatto una serie di tavole rotonde sul tema della risorsa e siamo convinti che lo siamo. Il problema è che se in Italia non lo capiscono dipende da noi farlo conos ce re e forse da voi parlamentari che ci rappresentate.
C. M. – In buona parte ha ragione, è responsabilità nostra, ma nella stessa misura lo è anche delle forze politiche che hanno avuto dei contatti, legami con le comunità all'estero, che ci anno sempre visto come un oggetto politico da utilizzare e non come un soggetto politico.
Oggi siamo in Parlamento, siamo dei soggetti politici attivi nel parlamento italiano. Questa novità, non è stata ancora nè capita nè metabolizzata nel mondo politico italiano e neanche da noi.
Qualche volta mi chiedo se noi parlamentari abbiamo coscienza di questa cosa, e me lo chiedo seriamente, non è una battuta perché ho l'impressione che non ci comportiamo sempre da parlamentari della Repubblica in rappresentanza di questa straordinaria risorsa. Un po’ sarà dovuto ai nostri vincoli, un po’ alle difficoltà oggettive che si incontrano, ma questa responsabilità ce l'abbiamo. Ancora oggi, qui in Parlamento, nelle fasi di riflessioni, di discussioni che si stanno avendo sulle riforme delle istituzioni, la tentazione di rimettere in questione il voto all'estero è molto forte. E questa tentazione c’è dopo 18 mesi che i parlamentari esteri sostengono e garantiscono la governabilita del Paese. Non dimentichiamo che se non ci fosse stato il collegio Estero, non è che vin ce va un'altra parte, il Paese era ingovernabile perché una Camera aveva una maggioranza e l'altra ne aveva un'altra. Il Paese si sarebbe trovato nel 2006 in una situazione politica estremamente complessa e pericolosa perché bisognava tornare a votare immediatamente con estreme difficoltà.
Dunque, malgrado questa realtà, noi abbiamo garantito la governabilita, non faccio un discorso di parte, si è potuto fare un governo. Malgrado questo non c’è la consapevolezza della nostra ne ce ssità in Parlamento.
Questo sarà superficialità del mondo politico italiano che è molto provinciale, che è molto chiuso in se stesso, ma in buona parte e anche responsabilità nostra, che non abbiamo fatto discorsi che ci portano dentro la politica italiana . Io dico sempre ai miei colleghi che non possiamo e non dobbiamo occuparci solo dei problema degli italiani all'estero. Se ci comportiamo in questo modo, diventeremo i rappresentanti di una riserva indiana – senza mancare rispetto agli indiani che mi stanno molto simpatici – non andremo a nessuna parte.
Ma oggi sta cambiando un po’ questo clima. Devo dire in questi giorni, nella seconda Finanziaria che stiamo fa ce ndo, tutti gli emendamenti che abbiamo proposto per gli italiani all'estero, portano le 5 firme dei Senatori, 4 della maggioranza quelli della Unione, più la firma di Pallaro.
Questo e un fatto estremamente positivo e importante. Abbiamo fatto una conferenza stampa tutto il gruppo prima della Finanziaria annunciando che saremo duri, lo abbiamo fatto assieme perché si sta ce rcando questa volta di dare un'immagine migliore, non credo che il problema sia risolto, però si sta tentando di dare un'immagine migliore.
T. I. – Cosa prevede questa Finanziaria per gli italiani all’estero?
C. M. – Come era stata presentata inizialmente dal Governo, non ci riservava niente di buono e per questo non ci convin ce va. Ma abbiamo iniziato un lavoro unitario tutti e cinque, abbiamo presentato diversi emendamenti che rispondono alle esigenze urgenti della nostra comunità. Che vanno dalla rete consolare all'assistenza per gli indigenti dell’America Latina. La diffusione della lingua e la cultura. Abbiamo toccato insieme i problemi. E’ un lavoro politico il cui esito dipenderà dalla nostra capacità di difendere gli emendamenti. Le richieste fatte sono importanti. Credo che questa Finanziaria segnerà una svolta nella soluzione dei problemi degli italiani all'estero. Se il governo non dovesse accogliere queste nostre richieste, allora dovremmo fare una valutazione politica del comportamento della delegazione dei senatori della circoscrizione estero nel confronto del governo. Daremo questa valutazione il 15 novembre …
T. I. – Lei parlava delle riforme istituzionali e dei pericoli per il nostro voto…
C. M. – C’è un progetto costituzionale che secondo me non ha nessuna probabilità di andare avanti in questa legislatura, però secondo me, e posso sbagliare, spero per l'interesse dell'Italia di sbagliarmi, perché l'Italia ha bisogno di questa riforma, non credo che ci siano le condizioni politiche per farla, ma se si apre questo cantiere bisognerà essere estremamente vigilanti e convin ce nti per far sì che la tentazione trasversale, di ce ntrosinistra e di ce ntrodestra di togliere il voto all’estero, non diventi maggioranza.
T. I. – Quali altri argomenti ci sono sul, tappeto?
C. M. – Dobbiamo affrontare la riforma del CGIE e dei Comites. Abbiamo avuto una riunione nel Comitato per le questioni degli italiani all'estero del Senato , nella quale abbiamo messo come priorità il lavoro sulle riforme segnalate. Il nostro Comitato ha partecipato alle ultime tre riunioni continentali del CGIE , – Miami, Lussemburgo e Guayaquil -. Per me era importante la participazione dei Senatori italiani e non tanto di quelli dell'estero. Ed in effetti era giusta questa mia spinta perché sono tornati con la convinzione che il CGIE è un organo ne ce ssario, cosa che non credevano prima.
T. I. – Crede realmente che il CGIE sia tanto necesario oggi che abbiamo i nostri parlamentari?
C. M. – Non si può prescindere del CGIE perché se lo togli, tagli la possibilità ai parlamentari di funzionare. Il Consiglio rappresenta un gruppo di persone che hanno il ruolo e la competenza di far la sintesi dei Paesi. Si tratta di uno strumento indispensabile se vogliamo essere efficaci nelle rappresentanze.
E’ importante un Consiglio Generale di raccordi tra il Parlamento e le comunità nazionali. Non si può immaginare che due senatori, per parlare solo del Senato possano correttamente rappresentare le istanze dell'America Latina o altri due quelle dell'Europa. I continenti sono immensi e le realtà molto diversificate.
C’è bisogno di un'altro tipo di strumenti. Il CGIE dev’essere quell'organo che ha la missione di far la sintesi delle potenzialità e delle ne ce ssità di una comunità nazionale e diventare l'interlocutore dei parlamentari e il legame fra i parlamentari e le comunità nazionali. Sono contento della reazione dei senatori italiani che finalmente ac ce ttano che c'è bisogno di un CGIE , ma questa struttura va modificata, trasformata.
T. I. – E come sarebbe questo nuovo CGIE ?
C. M. – Sull'argomento il lavoro è a l'inizio, ci sono molte idee sul tavolo
T. I. – E nel caso dei Comites?
C. M. – Rappresentano le comunità locale e anch’essi vanno modificati. Se prende la legge dei Comites, in teoria possono fare tutto, ma in realtà non possono fare niente. Questa è la situazione di oggi. Io preferisco un Comites che all'inizio gli si di ce “tu puoi fare poco, ma questo poco lo puoi fare” e dunque chiarire i rapporti fra il Consolati e i Comites che non possono essere uno strumento utile se c’è un Console intelligente o che non serve a niente se c’è uno negativo.
Bisogna chiarire questi aspetti.
Ripeto, dare ai Comites meno funzioni, perché in teoria ne hanno molte ma nella pratica zero, però quelle poche devono averle e devono farle.
T. I. – Un parere sulla nuova legge di cittadinanza italiana?
C. M. – Due parole le dico molto volentieri. Il progetto come disegno di legge, è attualmente alla Camera dei Deputati, il lavoro si trova in commissione e riguarda tutti i casi, compresa l’acquisizione della cittadinanza da parte degli immigrati. Abbiamo deciso tutti i parlamentari di mettere dentro la legge i punti che ci toccano a noi italiani all'estero.
Per la cittadinanza degli emigranti la mia posizione, che difenderò quando arriverà al Senato, è che la cittadinanza si può richiedere se qualcuno ha un nonno italiano, e non si può andare al di là di questo.
Ci dev’essere poi una corsia preferenziale, a con ce ssione praticamente a vista, per un cittadino nato in Italia, che ha dovuto rinunciare nel passato per motivi di leggi di altri Paesi.
Risolvere l'annoso problema delle donne prima del 1948.
Per me questo deve essere il con ce tto di cittadinanza e dobbiamo capire tutti, in particolare in America Latina che se noi dell'estero non siamo rigidi sulla cittadinanza ci togliamo moltissime probabilità di risolvere altri problemi, perché nel mondo politico italiano c'è una reazione, che, secondo me, è giustissima: qualsiasi legge che ci riguarda, che ha imputazioni di responsabilità dello Stato, economica, sociale, politica ecc. diventa difficile per noi difenderla, se non c'è un quadro chiaro di chi sono e quante sono le persone che a questi diritti potrebbero un giorno fare appello.
Se noi continuiamo a raccontarci la favola che 15 milioni di argentini sono di origine italiana, che altri 50 milioni lo sono nel Brasile, ecc. ci raccontiamo una favola che spaventa – e giustamente – al mondo politico italiano.
Ho intenzioni di battermi per questa storia. Dobbiamo avere l'onestà di presentare una visione chiara per dire: questa è la platea dei cittadini italiani e a questa viene dato il servizio, vanno riconosciuti i diritti e va valorizzata come risorsa. Per quelli di origine italiana che per altra parte hanno interesse di avere rapporti con l'Italia non hanno bisogno della cittadinanza, del passaporto.
WALTER CICCIONE / TRIBUNA ITALIANA