L’on. Antonello Soro sul Partito Democratico

L’on. Antonello Soro (L’Ulivo) componente della giunta delle elezioni ed è membro della XIII Commissione agricoltura.
Soro, è uno del gruppo dei 45 del Comitato del nuovo Partito Democratico.

Lei fa parte del Comitato dei 45 per il PD. C’è molta insoddisfazione tra i giovani, si parlava di rinnovamento ma i giovani non ci sono, come mai?

Si, insomma, i motivi di insoddisfazione credo siano altri e probabilmente più seri. Nel senso che il processo di costituzione del PD che nasce in una fase nella quale i partiti promotori sono al governo, vive una serie di difficoltà per separare in modo visibile il progetto dalla novità che è insita nel programma del PD dal profilo della realtà materiale nella quale si misura la capacità ed i risultati di un governo che, come tutti i governi, ha alti e bassi, luci ed ombre, difficoltà maggiori o minori, stagioni felici e meno felici.
Di solito, i partiti nuovi, quelli che nascono per fusione non per scissione, aprono la loro esperienza, la vivono in una condizione di opposizione che rende, come dire, più visibile il fascino della novità. Quindi, il problema dell’età è secondario. Naturalmente si pone anche questo. I gruppi dirigenti che hanno designato i partiti, hanno voluto, proprio per la posta in gioco così alta, designare, alla rappresentanza dei DS e della Margherita i propri vertici. I vertici hanno l’età che hanno a prescindere. Nel senso che non potevano essere designati nel Comitato di preparazione al partito democratico, in questa fase provvisoria, figure che non fossero nel quadro dirigente.

Si può affermare che la scelta sia stata obbligata per ragioni di opportunità?

La società civile che è stata consultata da Prodi, ha designato figure di quella età. La politica in tutte le sue fasi, in tutte le sue manifestazioni anche nella organizzazione dei movimenti presenti nella società italiana è sufficientemente priva del concorso militante di una generazione di trentenni. Dobbiamo farci carico di questo problema non tanto cooptando giovani dentro gli organi dirigenti, quanto creando meccanismi tali che possano assicurare, da poter assicurare, un ricambio periodico del gruppo dirigente all’interno del partito in tutte le espressioni della organizzazione istituzionale. Quindi, contano di più le regole piuttosto che i Comitati provvisori. Da questo punto di vista, noi abbiamo progettato un meccanismo per la fase costituente, io mi auguro anche nelle fasi successive nelle quali attraverso il sistema, una testa un voto, tutti concorrano, tutti siano eleggibili e quindi ci sia una apertura reale al ricambio di generazione.

I detrattori del PD, dicono che questo sodalizio tra DS e Margherita, sia stata la conseguenza non di una evoluzione politica in quanto tale, ma di un depauperamento di ambedue i partiti che, per fare fronte alle contingenze, abbiano deciso di fondersi e che se fossero stati in salute, ciascuno di questi non avrebbe mai pensato al PD.

Questa mi sembra una argomentazione priva di riscontri reali perché i DS e la Margherita hanno deciso di dare vita al PD, di fare un partito unico, prima delle elezioni politiche quando era nella visione di tutti il successo. Certo, con proporzioni maggiori di quelle che in realtà si sono verificate, con uno stato di benessere dei due partiti assolutamente indiscutibile. I sondaggi attribuivano ai DS ed alla Margherita percentuali molto alte. Quindi, non vedo perché si debba dire questo. Era proprio perché i due partiti, i DS come punto di evoluzione di una lunga transazione, la Margherita come espressione di un partito, di una volontà di rifondazione della politica italiana nata tutta all’interno del 21° secolo, avevano nel loro progetto il PD. Il fatto che si verifichi la sostanziale, la concreta creazione del partito nuovo in un momento nel quale siamo impegnati al governo, ha fatto si da subire qualche erosione di consenso. Devo dire probabilmente per alcuni, maggiore, per altri minore. E’ un fatto che non modifica il percorso che noi ci siamo dati. Lo abbiamo deciso, ripeto, in una condizione di assoluto benessere quando eravamo all’opposizione ma tutti assegnavano al centrosinistra ed all’ulivo, un grosso risultato elettorale.

Su quale nome “giovane”sarebbe disposto a scommettere?

Guardi, non ho il culto delle personalità. Ho una cultura democratica che predilige il lavoro di squadra al lavoro della provvidenza. Per cui non c’è, nel centrosinistra, nessun uomo della provvidenza, nessun uomo che da solo abbia capacità di creazione di un destino, di una sorte durabile e progressiva. Ma credo che da Dario Franceschini ad Enrico Letta da Anna Finocchiaro a Walter Veltroni, che pure non sono giovanissimi, ci siano delle personalità assolutamente capaci. Però abbiamo scelto un meccanismo, quello della chiamata dei cittadini interessati ad una scelta dell’assemblea costituente che apre la strada per chiunque abbia i numeri ed abbia la capacità di ottenere consenso. Nessuno parte da solo favorito. Vedremo.

E’ importante fare da subito il nome del leader del PD di domani?

No. Noi abbiamo proposto, e la nostra tesi non ha avuto un pieno consenso si è trovato, poi, un compromesso, che già da ottobre prossimo i cittadini potessero scegliere il proprio leader politico per guidare il processo nuovo separandone nettamente l’ambito di lavoro, di proiezione sociale, culturale da quella dell’esperienza in caso di governo proiettando il nuovo il leader politico verso il partito ed affidando, invece, il presente nei prossimi quattro anni, a Romano Prodi, la giuda del governo. Questo avrebbe consentito di rappresentare più nitidamente i contorni della novità del PD. Si è trovata una soluzione intermedia. Sarà l’assemblea costituente a scegliere il prossimo leader del partito ma credo che il risultato poi, non cambierà di molto.

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