Il calcio col morto

Il calcio va fermato se produce violenza. Ma soprattutto va riformato.
Un calcio dopato, interessato, imbroglione, basato dunque sulla forza e non sulla bravura. I nostri ragazzi rischiano di non capire più lo spirito della competizione agonistica leale.
Vince chi è più “forte”, volente o nolente, con la frode e l’inganno, non chi è più bravo.
Il tifo ultras è un fenomeno in continua crescita, pubblicizzato da giornali e stampa specializzata istruendo i ragazzi all’”arte” dello striscione irriverente, volgare, quando non addirittura razzista.
A dire il vero, non ricordo più nemmeno cosa facessi all’età di 17 anni ma, sicuramente ricordo, senza tema d’essere smentito, di non avere mai avuto a che fare con l’uso di spranghe di ferro, lavandini e corpi contundenti. Ma, a dire il vero, neanche i miei amici d’allora: Giustino, Corrado, Luigino, Pasquale, Claudio, Peppino e tanti altri, hanno mai avuto a che fare col tifo “assassino”. Al massimo, ricordo, diatribe più o meno accademiche e tecniche sulla opportunità di perorare la candidatura di Rivera piuttosto che quella di Mazzola in Nazionale non senza abbondare in aggettivi di fede.
Gli anni settanta erano pur sempre tempi in cui, per apparire, era necessario essere anche se per finta ed anche se per poco.
I nostri ragazzi, invece, sono plagiati da una cultura edonistica fine a sé stessa.
Viviamo in un mondo che ha sancito in maniera categorica il valore delle cose e l’ostentazione di esse senza dare importanza alle idee.
E’ ovvio che, quando questa totale superficialità si trova a fare i conti con la necessità d’una qualche sostanza, allora scatta la violenza. Quando, cioè, si tratta di dimostrare quello che si è veramente, quando non si possiede alcun supporto cui fare affidamento, c’è il panico travestito da sicurezza.
La violenza corre in soccorso di chi non ha riserve cui affidarsi. Alcuni le chiamano “valori”.
Cosa è allora il fenomeno del bullismo presente tra i ragazzi se non la vacanza di sostanza a vantaggio di una violenza supplente alla contrapposizione quasi sempre insulsa delle opinioni?
Senza valori, senza ideologie e senza fede, senza una fede generale né generalista dove la squadra del cuore diviene un feticcio, un amore parossistico da difendere ad ogni costo quasi come fosse la propria patria, quanto e più della famiglia.
L’apoteosi della difficoltà oggettiva di non saper essere col sacrificio, la gavetta, il lavoro, l’impegno scolastico, pone questi ragazzi di fronte a situazioni apparentemente risolvibili solo col superamento d’ogni freno inibitorio.
Ma è lo sport, così come è diventato, che sgomenta ed invoglia al nichilismo in ogni senso.
Istruire ed aducare è un’idea semplice ma anche un antidoto per svilire il calcio di contenuti che con lo sport hanno poco o niente a che fare.
I bambini, i giovani, devono sapere che, se alla base dello sport c’è l’inganno, l’epo, l’arbitro compiacente, la violenza non è certo né un rimedio né una soluzione lecita per vincere la partita.

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