E’ reduce da Belgrado, quali novità?
Sono stato a Belgrado dal 18 di gennaio in occasione delle elezioni politiche generali in Serbia. Elezioni la cui posta in gioco, era la scelta definitiva democratica o il ritorno ad un nazionalismo isolazionista, antioccidentale e, vorrei dire, antidemocratico.
La delegazione era quella dell’organizzazione e della sicurezza e della cooperazione in Europa del Parlamento italiano e, in questa occasione, sono stato incaricato, assieme agli onorevoli presenti membri della stessa delegazione, di verificare la correttezza della consultazione democratica in seggi di campagna a 100 chilometri da Belgrado.
Abbiamo controllato una quindicina di seggi aiutati naturalmente da un interprete perché non parliamo il serbo. Abbiamo potuto appurare che c’è una volontà di non dimenticare il passato, ma di riflettere sugli errori commessi.
C’è una grande voglia di Europa e di normalità. Ecco, i cittadini di Belgrado ed anche i cittadini delle campagne site ad 80-100 chilometri da Belgrado, si sentono europei nel vero senso della parola e guardano a Bruxelles o alle grandi capitali europee, come a luoghi ove si decide il destino dell’Europa e quindi, anche il loro destino.
E’ compito nostro aiutarli in questa riflessione affinché maturi definitivamente per sempre questa loro grande conquista e cioè essere riconosciuti definitivamente figli dell’Europa democratica che vogliamo costruire assieme.
Mi sembra che anche i risultati elettorali abbiano dimostrato questo.
Vero è che esiste ancora un forte partito radical nazionalista col 28% il cui leader è in prigione all’AIA per delitti e crimini comuni, ma la coalizione democratica di tre grandi partiti più due altri piccoli, ha ottenuto un forte successo e quindi governerà la Serbia.
Una Serbia democratica figlia dell’Europa come io mi auguro, ma il compito nostro è quello di aiutarli economicamente, aiutarli a riflettere, adoperarci e fare un ulteriore sforzo per annetterli nel più breve tempo possibile nel contesto dei popoli e delle nazioni europee.
Si fidano degli italiani?
In generale, ho trovato un rapporto molto fraterno con gli italiani non senza qualche amarezza dovuta ai bombardamenti del ’99 in cui anche noi eravamo in una posizione molto delicata. Gli aerei partivano dal Veneto per andare a bombardare Belgrado, ma quell’intervanto fu necessario purtroppo perché era in atto, nel Cossovo, un eccidio di massa e bisognava interromperlo. Anzi, mi auguro che venga acciuffato al più presto anche Mladic, uno dei criminali che si dice viva indisturbato a Belgrado nascosto e protetto da consistenti fasce di collaboratori, stavo per dire coimputati. Sarebbe bello che fossero anche coimputati. Spero, dunque, che venga assicurato alla giustizia.
Era nostro dovere intervenire. In qualche settore di popolazione, ho trovato questa amarezza, ma una amarezza d’amore verso un grande popolo. Hanno preso il nostro intervento come un male necessario, non ho trovato rifiuto ed odio verso di noi.
Ha citato il Veneto. Vicenza con la base Americana osteggiata è una grande questione, almeno così sembra.
Spero di non essere fuori dal coro. Io distinguo i grandi paesi non in proporzione al numero dei loro abitanti o dalla loro estensione geografica. Per me un paese può definirsi grande quando opera per la pace e mantiene fede a tutti i suoi impegni internazionali.
Viviamo in un mondo globale, siamo tutti coinvolti, quindi, è inutile, non siamo più nel XX secolo. Oggi esiste la globalizzazione di massa. Quanto accade a Tokio, è come se succedesse a Roma ormai.
Quell’impegno è stato preso, se vi è una necessità di allargare la base americana, bisogna allargarla e l’Italia deve fare fronte ai suoi impegni.
Comprendo l’amarezza dei cittadini che si trovano vicino ad una base militare. Questo è successo anche per le centrali nucleari, tutti sappiamo che sono indispensabili, ma nessuno le vuole vicino casa sua, questo è il problema di fondo.
Ma noi non possiamo derogare ad una responsabilità che l’Italia si è presa.
I trattati internazionali del nostro paese vanno rispettati e, se fosse necessario cambiarli, occorrerà cambiarli con il negoziato ed il pieno rispetto tra le parti.
Stessa posizione vale per l’Afganistan?
Naturalmente. Fatto questo diverso dall’Iraq perché in Iraq, l’Unione che sta governando questo paese avendo vinto le elezioni, in campagna elettorale ha detto chiaramente che una volta chiamati a governare l’Italia avrebbe ritirato i nostri soldati dall’Iraq. Senza fuggire, certo, ma attraverso un programma serio e graduale, ciò che poi è avvenuto e con grande serietà e rispetto per le parti.
Abbiamo preso un impegno di grandissima importanza per il Libano che ha meritato di gran lunga anche il rispetto ed il prestigio internazionale che merita un grande paese.
Stiamo guidando una operazione di straordinaria delicatezza ed importanza e ciò a dimostrazione del fatto che questo governo sta assumendo impegni forti ed è intenzionato a mantenerli.
Ora, è altrettanto pacifico che, nei confronti dell’Afganistan, è stata presa una decisione, una missione pacifica e non di guerra e col consenso delle Nazioni Unite.
Siamo lì per difendere la pace e quindi è giusta la posizione del governo di rifinanziare la missione, poi, potrà esserci anche l’idea di una grande conferenza internazionale in cui tutti gli attori coinvolti si siedono ad un tavolo, perché sedersi non fa mai male.
Dopo la prima tornata di questo governo, intendo dire al giro di boa della finanziaria, lei ha fatto “spese” per gli italiani che rappresenta? Cosa ha comprato?
Qualcosa abbiamo comprato. Ma devo ammettere, non molto.
La finanziaria è stata una finanziaria di straordinaria austerità e, dunque, ha colpito anche l’estero. Abbiamo salvato i “mobili”. Anzi, c’è un piccolo incremento dopo le decurtazioni nei vari capitoli che riguardano l’estero: gli investimenti su scuola e cultura, le strutture consolari, i finanziamenti ad enti ed organizzazioni.
Vi erano, nella finanziaria, voci di decurtamento anche abbastanza significative ma che, con l’ausilio congiunto, devo dire, della delegazione di tutti i parlamentari dell’Unione di Camera e Senato, siamo riusciti ad ottenere questi 24 milioni che non sono pochi pur se non sufficienti. Ma non sono pochi.
Questi sono stati spalmati nei vari capitoli di intervento all’estero e consentiranno, come dicevo, di salvare i “mobili”, di iniziare una riflessione su di un rinnovamento totale delle strutture italiane all’estero.
A proposito di questo argomento, credo che bisogna andare verso una ristrutturazione anche del modo di essere, per esempio, dei consolati e, questo, soprattutto nell’Unione Europea quale è la nuova funzione dei consolati nel contesto unitario europeo.
Sono, per esempio, e lo dico con estrema sintesi per meno consolati generali per la funzione di rappresentanza e propaganda che in un Unione Europea non hanno più senso, e più agenzie e funzioni di prossimità.
Un servizio al cittadino di prossimità con tante agenzie consolari e con l’utilizzo di tutte le professionalità delle nuove generazioni italiane sul posto.
Il riordino di Rai International, è un tema che l’appassiona?
C’è questa questione che riguarda le trasmissioni televisive all’estero su cui si fa molta demagogia. Non farò la guerra atomica e non farò scoppiare la guerra mondiale per le trasmissioni delle partite internazionali di calcio che riguardano l’Italia. Mi sembrano cose un po’ stantie.
Sono per un’altra politica. Innanzitutto, tra poco, andrà tutto sul digitale quindi la gamma dei programmi televisivi mondiali captabili arriverà fino a 300. Naturalmente, noi dobbiamo fare in modo che le trasmissioni dei tre programmi televisivi nazionali ed anche dei tre di mediaste, siano possibilmente trasmessi sul territorio europeo.
Parimenti, credo necessaria una ulteriore riflessione che è dentro la modernità.
Rai International non deve essere la Rai International dei paesi extraoceanici ma deve essere lo strumento attraverso il quale l’Italia faccia una politica di forte cultura all’estero come avviene per la Francia e la Germania. Rai International come strumento di diffusione della cultura italiana nel mondo. Di tutto il mondo.
In questo modo si fa di Rai International un mezzo attraverso il quale proporre la cultura del nostro paese e che debba arrivare in tutto il mondo. Oggi non è cosi.
E,poi, direi, per quanto riguarda l’Europa, sono per la creazione di una rete europea di straordinaria grandezza culturale europea. Penso, per esempio ad Artè che è una promozione anglo-franco-tedesca di grande valore dove noi, però, non siamo presenti. Credo che l’Unione Europea debba dotarsi di una rete europea in cui dentro ci siano tutte le culture europee per permettere ai loro popoli di conoscersi.
Vorrei che a Roma si sapesse cosa si fa a Manchester, a Londra, a Stoccolma, Oslo, Madrid o Bercellona. Sogno che, attraverso questa rete, si inizi la costruzione del cittadino europeo.
Noi siamo stati eletti all’estero, se non facciamo questo, cosa facciamo allora?
Questo è il mio sogno.