Le pregiudiziali della contrapposizione politica

Chi è all’opposizione è brutto, venduto ed ha degli interessi. Come se chi è al governo, non ne avesse parimenti a quello. Chi chiede, chi si oppone, chi contesta e dimostra, non sa quello che fa e se lo sa è perché ha delle mire recondite, non coltiva certo gli interessi della gente, ma soprattutto disturba chi comanda e governa.
La geniale manipolazione poi delle parole, attraverso l’uso sapiente e non corretto dell’informazione, rende l’avversario politico, un manigoldo, un furfante che dovrebbe vergognarsi per quello che fa.
Tutto ciò, s’intende, anche quando il discredito non è supportato da fatti su cui basarne le deduzioni.
Il superamento della barriera puramente ideologica sulla contrapposizione della politica, è una chimera impossibile da realizzare. Eppure, essa, dovrebbe rappresentare il punto di partenza del confronto tra opposti schieramenti, invece, è sicuro, si evita in ogni modo e con ogni accortenza.
Neanche tanto grave, in fin dei conti, quando assistiamo a contrapposizioni insite e fortemente connotate all’interno di coalizioni politiche che hanno in mano i destini di tanta gente.
L’istituto della fiducia è un singolare modo di coartare la collaborazione all’interno di un gruppo che governa.
La gente comune accorda la sua fiducia a chi la merita e chi ne gode ne va orgoglioso. Di solito, quando essa viene meno, è revocata e, con essa, vengono revocati i rapporti conseguenti di collaborazione e di intesa reciproci.
Chi viene sfiduciato, almeno tra la gente comune, si sente offeso e colpito proprio nel punto di maggiore resistenza, alle fondamenta. Essere sfiduciati, significa che non siamo più quelli che gli altri credevano noi fossimo. Avviene una evoluzione negativa dei rapporti di collaborazione. E’ venuto meno il pilastro fondamentale di una sinergia senza remore ed allora, si insinua il sospetto e la diffidenza. In queste condizioni, non è consigliabile nessun tipo di rapporto che non sia di contrapposizione. Cambiando il rapporto su base fiduciaria, cambia, si deve interrompere irrimediabilmente, il rapporto di lavoro.
In politica ciò non vale, o meglio, non è poi tanto rilevante. Si tratta di matrimoni di convenienza dove la fiducia è una etichetta, una prerogativa che si dà per scontata ma che si richiede qualora i venti del tradimento comincino a soffiare.
La cordata politica di un governo, di qualsiasi governo si badi bene, fa conto su questo asso nella manica per superare le impasse e le difficoltà di percorso. Ad un certo punto, quando le cose cominciano a diventare difficili per una enorme quantità di idee vestite da opportunità e solo per l’occhio dell’elettore, ecco che dalla manica del governo esce fuori l’asso. Si chiede, in poche parole: «Hai o no fiducia in me? Voglio proprio vedere, in caso contrario verrai a casa con me. Muoia Sansone con tutti i Filistei. Ma lo dovrai dire davanti a tutti con la sfacciataggine di uno sfrontato passeggiando davanti al segretario d’aula di turno: no».
Allora comincia la passerella su chiamata nominale a rispondere pubblicamente se si o se no.
E’ un po’ come se costringessimo nostra moglie a dichiarare se ci ama ancora, in pubblico. E questa ci dirà di si per non passare per una poco di buono, forse solo per vergogna, quando non per interesse.
La cosa che sconcerta in politica, si ha quando quella fiducia viene confermata a seguito della richiesta forzata. Paradossalmente è più scandaloso quando la si conferma, piuttosto che quando la si revoca. Sì, perché se essa viene confermata, che bisogno c’era di chiederla?
Le persone normali si offenderebbero ad un tale dubbio. Un amico, un parente, una fidanzata, ad una tale richiesta non risponderebbe neanche o se lo facesse, direbbe seccata: «Ma per chi mi hai preso?».
In politica è una prassi, invece, anche per giustificare la debolezza delle proprie decisioni, dei propri programmi, delle proprie determinazioni. Qui non si offende nessuno anche perché, vi si ricorre soprattutto per restare seduti sugli scranni degli emicicli. Serve a continuare a governare, ad assicurarsi il potere.
Ogni pensatore che non fa parte del gruppo di potere in auge è uno stupido, un nemico, uno che la pensa all’opposto, un nemico subdolo, un cattivone. Ma soprattutto è uno che ha dichiarato di volerci schiodare da dove siamo perché si protesta migliore.
In tutto questo, i media giocano un ruolo di primo piano. In punta di penna il discredito viene organizzato in maniera sapiente e continua ai danni di chi governa e di chi è all’opposizione, a turno.
Il processo si articola su base consequenziale strumentalizzando ogni avvenimento.
Il potere è l’aspirazione prima ed ultima. Questa è la verità. Risponde all’assunto categorico: “chi non è con me è contro di me”.
Pare che già si sia sentita in giro una frase del genere declamata da chi, di potere assoluto, è Maestro. Ma questa è un’altra storia.

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