La gogna tecnologica

“Certe” cose non si dicono per telefono. E’ una frase ricorrente. Chi non si è mai preoccupato di stare attento a dire “certe” cose col telefono? Perché, al telefono, gli esseri umani si trasformano. Trovano il coraggio di dire ciò che, di persona, non avrebbero faccia di dire; fanno avances alla bella di turno ma di persona arrossirebbero; concludono e pianificano accordi illeciti con disinvoltura. Si fa un gran discutere delle intercettazioni telefoniche ultimamente. La questione spazia nei campi più svariati: giurisprudenza, morale, etica, privacy ecc. Perché tutti diciamo “certe” cose al telefono e non stiamo attenti. Allora è una necessità? Non si può fare a meno, dunque, di parlare al telefono e neanche di dire “certe” cose? Dire “certe” cose è, allora, un diritto riconosciuto?
Quando, però, il nostro nome lo vediamo trascritto in una intercettazione, allora, la collera ed il livore ci farebbe commettere ogni sorta di reazione. Se Tizio, parlando con Caio, a sua volta sottoposto ad intercettazione,di Mevio dice ad esempio, “quel ladro”, allora, nel turbine della notizia dei fatti che riguardano Caio, viene a farne parte anche Tizio, pur se con connotazioni diverse. Al telefono è facile inoltrare raccomandazioni per favorire uno piuttosto che l’altro, concordare strategie politiche, parlare di donne come di scrofette usa e getta, avviare e stroncare carriere come nulla fosse, pianificare reati e via discorrendo. Solo pochissimi sanno che del telefono bisogna addirittura disfarsi. Ci insegnano che è una tecnologia pericolosissima. Ne sono di esempio i “pizzini” di Provenzano, miseri foglietti di carta pieni di numeri e sporchi di sugo ma sostanziosi nei contenuti e nelle direttive. Ma soprattutto non tecnologici. Ci sottoponiamo volentieri a questa gogna del telefono. Andiamo su tutte le furie, però, se veniamo intercettati mentre diciamo qualche schifezza.
Anima e corpo al telefono: il lavoro, il sotterfugio, l’accordo, il pettegolezzo, la trama avvengono al telefono. Bisogna trovare una strada, la strada. Tutta l’attività connessa a questi bisogni, avviene telefonicamente. Mentre si partecipa ad un gran gala di beneficenza, si può disporre un omicidio, oppure una assunzione. Quando, poi, per colpa di qualcuno, saremo scoperti nell’atto di dire “certe” cose al telefono moralmente censurabili, non sarebbe meglio e più dignitoso pagare pegno in silenzio? Abbiamo, dunque, diritto ad essere amorali, indegni e riprovevoli basta che sia nell’ambito della nostra privacy? Mettiamo in conto che, prima o poi, le nostre conversazioni potrebbero essere intercettate. Dovremmo, però, avere la dignità di non lamentarci se, una volta intercettati, l’opinione pubblica smaschererà la nostra vera indole.
«Se la “vergogna”, come ci insegna Marx Scheler, è alla base del sentimento del pudore, come possiamo far crescere in noi questa qualità morale se l’eccessiva tutela della privacy non ci fa più temere (vereor) l’esposizione (gognam)?
Oggi i “candidati” a cariche pubbliche, politiche, amministrative non indossano più la tunica “candida” che gli antichi romani indossavano nel monento in cui si esponevano al giudizio della gente. E allora, se i telefoni ci consentono di sapere qualcosa sul candore della loro condotta, perché proibircelo?» (estratto dal commento di Umberto Galimberti all’articolo).

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