Intervista all’on. Sergio D’Elia Rosa nel pugno

La storia dell’on. Sergio D’Elia non può riassumersi in una breve intervista, ma è una storia che induce a riflettere. Pretende, comunque, il rispetto che merita

«Guardi, se io mi vedo seduto in questo parlamento, mi considero inadeguato, non all’altezza del mio compito; se però mi paragono a quanti pure vi siedono, mi dico: non c’è confronto con la mia storia»

Lei afferma che l’elezione a deputato «è come la parabola di una storia che è la storia di cittadinanza democratica e di accoglienza umana», molti suoi colleghi non sono affatto d’accordo

Per quanto mi riguarda, la mia elezione a deputato non è il punto di arrivo ma di partenza o, meglio, un nuovo inizio di una storia personale animata sempre dalla passione politica e dal tentativo di cambiare lo stato di cose presenti. Trenta anni fa, l’idea-forza era quella della rivoluzione comunista, idea ingenua e romantica, un’utopia che ha affascinato milioni di persone e che, forse, non ha del tutto perso la sua forza attrattiva. La mia lotta armata, durata due anni e dopo sei anni di impegno nel movimento extra-parlamentare, non è stata altro che il tentativo di bruciare le tappe, anticipare l’avvento o, comunque, verificare l’attendibilità del mondo nuovo che sognavamo. Che la violenza potesse essere “levatrice della storia” come pure che il fine potesse giustificare i mezzi, non era una convinzione solo di chi ha fatto la lotta armata, ma anche di tutta una filosofia e cultura storica di quel tempo e che, forse, ancora resiste. Che sia vero il contrario, cioè che la violenza, i metodi di lotta, pregiudichino i fini, li stravolgano e li distruggano, è stata per ma una verità che ho potuto acquisire con la mia esperienza politica. Non è stato un caso, infatti, che io incontrassi poi i radicali e Marco Pannella, l’unico politico italiano che negli anni di piombo ha costituito un argine a che un’intera generazione divenisse preda della violenza e del terrorismo. La sua lotta non violenta contro il regime (lo stesso che noi volevamo abbattere) ha rappresentato l’alternativa vera non solo alla scelta terrorista ma anche a un potere privo di legittimità. L’errore politico, più grave dei più gravi reati penali che io possa aver commesso, è stato quello di avere con la mia lotta armata alla fin fine legittimato uno stato non democratico, violento, che agiva fuori dalle regole minime di uno stato di diritto. Stiamo parlando di uno Stato i cui apparati, già alla fine degli anni ’60, progettavano, provocavano, effettuavano o coprivano stragi di persone, non solo di legalità repubblicana e costituzionale. La mia presenza oggi in parlamento significa il successo, non mio personale, ma di principi costituzionali e di stato di diritto e, forse, anche la prova che è possibile chiudere una fase storica del nostro paese, quella degli anni di piombo

Stando alle deputate Gabriella Carlucci e non solo, Vito, Bondi, Giovanardi, Leone, la sua presenza in Parlamento sarebbe un disonore per tutti gli “onorevoli” presenti e per le istituzioni

Guardi, se io mi vedo seduto in questo parlamento, mi considero inadeguato, non all’altezza del mio compito; se però mi paragono a quanti pure vi siedono, mi dico: non c’è confronto! Con la mia storia, con quello che ho fatto nella mia vita, tutta. Fa bene il Presidente Bertinotti a rivolgersi ai parlamentari chiamandoci “deputati” e non “onorevoli”. Cosa c’entra l’onore? Se fosse una questione di onore, e dicesse “onorevoli”, per cautela, dovrebbe aggiungere ogni volta “fino a prova contraria.

La mozione presentata contro di lei fu ritirata da F.I. e da UDC «lasciare Farina e D’Elia soli con le loro coscienze» ha affermato il capogruppo di F.I. Elio Vito. Perché? Non certo perché la Lega si astenne

La mozione è stata ritirata per una vera e propria rivolta che i presentatori hanno dovuto registrare innanzitutto da parte di decine di parlamentari garantisti seri – e non a giorni alterni o a senso unico – dei propri gruppi politici. Quanto alla mia coscienza, essa è a posto e limpida. Non so se Elio Vito si sente a posto con la sua, conoscendo la mia storia più di ogni altro, presente come era, plaudente, quel giorno del febbraio dell’87 quando, in un Congresso del Partito radicale, consegnai me stesso e la mia organizzazione violenta, Prima Linea, al partito del diritto e della nonviolenza, di cui anche lui faceva parte.

Non crede che sia più rischioso quando un deputato, indagato per gravi reati, si presenta candidato oppure, ancora più inquietante, non si dimette da un incarico istituzionale?

Che nei partiti che mi hanno attaccato ci siano personaggi indagati, rinviati a giudizio, condannati e prescritti di reati comuni compiuti per tornaconto personale, è un dato di fatto. Non ne farò mai argomento di polemica politica e delegittimazione personale. Polemica, speculazione politica e delegittimazione personale che alcuni autorevoli rappresentanti degli stessi partiti hanno invece deciso di fare contro di me. Io ho espiato con dodici anni di galera le colpe di trenta anni fa; sono stato eletto in parlamento dopo venticinque anni di lotta, anche contro la violenza e il terrorismo, oltre che contro la pena di morte e per l’affermazione nel mondo un po’ più di libertà, di giustizia, di democrazia, di rispetto di diritti fondamentali. Ne vogliamo discutere? Vogliamo fare dei confronti?

L’IdV ha presentato un progetto di legge che inibisce le candidature a pregiudicati di gravi reati con sentenze passate in giudicato ed anche ad indagati sino a sentenza di assoluzione. E’ d’accordo?

L’Italia dei Valori consulti i testi fondamentali del diritto dello Stato italiano e del diritto internazionale, prima di avanzare certe proposte di legge. E abbandoni la demagogia, il moralismo e il giustizialismo come metodo e argomento di lotta politica.

Lo scandalo su di lei è scoppiato solo due mesi dopo la sua elezione a deputato, praticamente dopo l’elezione a segretario d’ aula. Scoppio ritardato o che altro?

Io ero stato già candidato alle elezioni del 2001. Che io fossi candidato a queste ultime elezioni era noto a tutti, e in una posizione di sicura elezione. Oltre che in Lombardia 2, ero candidato anche in Campania 1, cioè a Napoli, città in cui vive e, se non sbaglio, è stato eletto anche Elio Vito, il quale non può dire quindi che non sapeva. Chi, dopo la mia elezione, ha deciso di fare una campagna di delegittimazione contro di me, gridando allo scandalo di una mia lezione a segretario d’Aula che è la diretta possibile conseguenza della elezione a deputato, spieghi ai suoi elettori perché non ha detto o fatto nulla nel momento decisivo, quello della competizione elettorale. Mi hanno attaccato per colpire Marco Pannella, i radicali, i socialisti e la Rosa nel Pugno perché sono risultati decisivi nella vittoria di Prodi e dell’Unione e la sconfitta di Berlusconi e della Casa della Libertà.

“Nessuno tocchi Caino”, è stato un mezzo, un itinerario o un approdo per la sua intima riabilitazione?

La fondazione e l’impegno in Nessuno tocchi Caino è solo un esempio di un percorso di riabilitazione vera. Negli ultimi venti anni ho militato giorno e notte nel Partito radicale di cui l’associazione contro la pena di morte è una delle tante espressioni. Ho vissuto la militanza radicale come ho potuto e saputo fare, e non sono pochi quelli che hanno stimato anche questo più “recente” periodo della mia vita come un tentativo concreto e socialmente utile, non solo di riparare agli errori commessi, ma anche per impedire che altri commettessero i miei stessi errori e che tragedie come quella del terrorismo potessero ancora accadere in Italia e nel mondo.

«Io posso esprimere la massima distanza da quello che ero nella misura in cui faccio qualcosa per uomini che vivono condizioni di libertà negata il più distante da me». Che significa, non vuole che qualcuno pensi a lei come a Cicero pro domo sua?

In questi anni, nei comportamenti e con l’impegno politico quotidiano e ininterrotto su diversi fronti, ho cercato di operare a difesa di valori di popoli, di persone e per obiettivi nei quali tutti credono, non solo io, non solo per salvare me stesso. La mia salvezza, se vi sarà mai, potrà essere l’effetto non la ragione della mia condotta.

«Ci dispiace tremendamente di aver fatto la lotta armata ma, se questo è possibile, ci dispiace ancor di più di non aver fatto sin da subito la democrazia» (29 ott. / 2 nov. 1986), ha messo in conto che, proprio attraverso un processo democratico, qualcuno potrebbe riscrivere e ridefinire le leggi compreso il concetto di riabilitazione?

Il concetto di riabilitazione è fondato sul principio costituzionale della pena finalizzata al reinserimento sociale. Il reinserimento è vero e pieno se la persona che ha espiato la sua pena partecipa alla vita civile del suo paese. E’ una garanzia non solo per l’ex detenuto che, una volta pagato il debito con la società, non debba essere costretto alla clandestinità dei rapporti sociali, a nascondersi sul posto di lavoro o a vergognarsi di essere stato in galera. E’ una garanzia per la società stessa e la sua sicurezza se il ritorno nella comunità, di chi la comunità ha offeso, avviene senza pregiudizi e con diritti pieni di cittadinanza, di partecipazione attiva alla vita democratica.

E’ stato votato il 18 luglio scorso, alla Camera, lo stralcio del provvedimento dell’indulto da quello dell’amnistia. Di Pietro ha minacciato addirittura la crisi di governo. Che cosa ne pensa dei due istituti?

Sia l’amnistia sia l’indulto non sono (solo) atti di clemenza, ma atti di buon governo volti a ripristinare la legalità nei tribunali e nelle carceri. L’amnistia serve ai magistrati, perché essi possano, liberati dai processi per reati meno gravi, impegnarsi a concludere quelli più gravi. Non dimentichiamo infatti che sono quasi dieci milioni i processi pendenti che stanno soffocando e impedendo l’amministrazione della giustizia. L’indulto, alleggerendo di quindicimila detenuti le carceri, ha riportato le stesse in condizioni non solo più umane, ma anche luoghi nei quali la legge possa essere applicata secondo i dettami costituzionali: far uscire persone almeno un po’ diverse e meno pericolose di quelle che erano quando furono recluse.

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