Intervista esclusiva all’on. Franco Narducci

L’on. Narducci riporta i fatti di Duisburg sul piano dell’analisi politica:

«i sistemi giudiziari risultano slegati e mal collegati a livello di Stati, ed è dunque evidente la necessità di rafforzare la cooperazione tra le istituzioni e tra i vari organi giudiziari e di polizia, nel segno di una collaborazione veramente globale per la lotta alla criminalità organizzata».

La strage di Duisburg ha fatto improvvisamente scoprire ai cittadini europei e ai media che la ndrangheta calabrese è una “macchina da export” con ramificazioni radicate e capillari a nord delle Alpi, e ha messo in luce la natura di alcuni settori d’attività illecite, che agli occhi dello Stato ospitante appaiono immacolate ma in realtà coprono un fiume di danaro da riciclare. Oltre alla cronaca dell’orribile delitto, quasi tutti i mezzi d’informazione europei hanno ampiamente analizzato la dimensione europea della criminalità organizzata calabrese e delle altre mafie che operano, spesso indisturbate, muovendo giganteschi capitali provenienti dal traffico di droga internazionale e altre attività illegali. In soldoni, si ritiene che il giro d’affari equivalga a ben 5 miliardi di euro di provenienza criminosa, “emigrati” in Germania e immessi in attività fruttuose che concorrono a rifinanziare la malavita.
Su questa situazione, sull’aria che si respira in seno alla nostra comunità e sull’atteggiamento tenuto dalla popolazione tedesca, abbiamo chiesto testimonianza all’on. Franco Narducci, Presidente del Comitato parlamentare sugli italiani all’estero, sottoponendogli alcune domande e alcune questioni assillanti.

Non ha l’impressione che i parlamentari eletti all’estero, in particolare quelli appartenenti alla circoscrizione Europa, hanno riservato poca attenzione a quanto accaduto a Duisburg?

È vero, per alcuni giorni un cono d’ombra ha sovrastato i drammatici fatti di Duisburg. Sono mancate dichiarazioni di condanna dell’orribile strage e soprattutto le testimonianze di solidarietà alla comunità italiana in Germania. Occorre rimarcare, a parziale giustificazione, che il deficit d’informazione causato dalla concomitanza con il Ferragosto (il delitto è avvenuto nella notte di Ferragosto), quando l’Italia si ferma nel vero senso della parola, ha ritardato qualsiasi genere di reazione sulla vicenda. Personalmente ho espresso a Radio Colonia, pochi giorni dopo, lo sdegno per i fatti gravissimi, le preoccupazioni che fondamentalmente tutti avvertiamo e la solidarietà ai nostri connazionali onesti e laboriosi che hanno contribuito alla costruzione della Germania ricca e moderna.

Siamo e ci sentiamo cittadini europei per tanti versi, ma non ha l’impressione che l’Europa non sia pronta a gestire la sicurezza in questo contesto sopranazionale?

L’efferatezza con cui è stata compiuta la strage – con il ricorso ad armi modernissime e una tecnica d’assalto ben studiata – richiama alla mente le azioni violenti del terrorismo internazionale, in netta contrapposizione con il crudele arcaismo della ‘ndrangheta calabrese, che a livello locale dà vita ad una faida sanguinosa tra due clan familiari in lotta per il controllo del territorio.
Mi pare che questa constatazione esprima il senso del salto in avanti che le tante mafie – italiane, est-europee e di altre provenienze – hanno fatto in questi ultimi anni e di quanto siano aumentate le difficoltà dell’Europa a contrastarle e a garantire sicurezza ai suoi cittadini. Ci troviamo di fronte ad una criminalità che non conosce frontiere, mentre i sistemi giudiziari risultano slegati e mal collegati a livello di Stati, ed è dunque evidente la necessità di rafforzare la cooperazione tra le istituzioni e tra i vari organi giudiziari e di polizia, nel segno di una collaborazione veramente globale per la lotta alla criminalità organizzata. Occorre rafforzare con tutti i mezzi la coordinazione tra forze di polizia a livello europeo per prevenire e reprimere l’illegalità, visto che i fatti del 15 agosto hanno alzato un velo su cifre di denaro sporco spaventose e su una piaga sociale che oramai non è più solo un problema del Sud Italia.
Il famoso settimanale tedesco Spiegel, spesso poco amico degli italiani, in un sondaggio del “dopo strage” rivelava che il 30% delle imprese italiane presenti nel territorio tedesco è controllato dalla mafia; un dato non solo impressionante, ma in dilagante crescita.

Come viene percepito dalla comunità tedesca il gravissimo fatto di sangue avvenuto a Duisburg?

La risposta è assai complessa e richiederebbe un’analisi molto articolata e approfondita. Premesso che ritengo estremamente riduttivo far emergere la riflessione da una logica di tipo binario – rosso/nero, buoni/cattivi, positivo/negativo – mi preme sottolineare che ciò che, più in generale è emerso osservando la superficie del giudizio sia da parte della stampa tedesca che del cittadino comune, è una sorta di dicotomia nei confronti dell’Italia, che oscilla tra l’ammirazione per la vitalità, l’individualismo e la creatività tipicamente latina del nostro popolo da un lato, e una sorta di disprezzo e di incomprensione delle istituzioni politiche che lo rappresentano dall’altro. Disprezzo ed incomprensioni dovute al fatto che le mentalità nordiche faticano ad accettare la frammentazione della politica italiana, le lungaggini burocratiche, la complessità e le bizze del sistema giudiziario, e soprattutto a subire la commistione d’interessi tra certe frange della politica ed il sistema mafioso, visto ormai come forma mentis e quindi quasi come parte integrante del corredo genetico della mentalità “dell’homo italicus”.
I fatti di Duisburg costituiscono senza ombra di dubbio un punto nero nella storia della comunità italiana in Germania, ma non possono certamente minare le fondamenta di quelle relazioni umane affermatesi nel tempo e fatte di dialogo e comprensione dell’altro, di curiosità intellettuale e di ammirazione per la rispettiva cultura e ricchezza del patrimonio storico, di interrelazioni industriali e cooperazione politica. E soprattutto dell’anelito che ha pungolato le rispettive comunità nella costruzione di una dimensione europea della storia contemporanea.

Lei condivide il tipo di visione negativa verso gli italiani?

Assolutamente no! Tuttavia è noto che vi siano stati e vi siano tuttora collusioni pericolosissime e tentativi reiterati da parte di organizzazioni mafiose che operano nel settore finanziario di condizionare, a vari livelli, il sistema politico istituzionale. Dipende da noi politici ed” in primis” dal senso di responsabilità civile ed umano della nostra comunità dare delle risposte ferme a questa forma di cancro che è il crimine organizzato. Personalmente sono rimasto assai colpito dal fatto che molti cittadini tedeschi abbiano deposto fiori sul luogo della strage mafiosa.
E’ stato un gesto di carità umana di fronte alla morte cruenta di alcuni esponenti del malaffare trucidati da altri mafiosi. In questi atti simbolici leggo il prevalere della solidarietà dell’essere umano per l’altro essere umano al di la del bene e del male incarnato da quest’ultimo e quindi, in ultima analisi, il prevalere della civiltà sulla barbarie.

La mafia in europea è un’anomalia italiana?

Nell’Europa occidentale, se vogliamo parlare di mafia e derivati in senso stretto (rituali atavici, radicalizzazione in certi territori della penisola, ecc.), direi di sì, ma se vogliamo allargare il discorso al mondo della malavita organizzata e delle sue ramificazioni e connivenze, per esempio, col mondo della cosiddetta alta finanza, direi assolutamente di no!
Purtroppo la globalizzazione dei mercati ha visto il prevalere del mondo della finanza su quello della politica e quindi il prevalere del dio denaro, della logica speculativo-finanziaria su quello etico e civile. Sta a noi cittadini invertire la rotta e restituire alla politica il ruolo centrale che le spetta, in fin dei conti, come diceva Aristotele l’uomo è un “animale politico” e non economico. E’ solo ritrovando la fiducia per la sfera politica, il senso di unità non solo linguistica ma etico e civile della comunità, e soprattutto il senso di responsabilità nei confronti dei nostri figli, delle generazioni a seguire e della collettività umana e sociale che potremo sconfiggere tutti insieme il fenomeno mafioso.
Come parlamentare italiano all’estero, sono vicino a tutti quegli italiani che con fatica si sono inseriti in una nazione diversa dalla loro, che non sporcano il nome dell’Italia ma vogliono tenere alto l’orgoglio di essere italiani e non mafiosi.

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