A voler riassumere “Sulle obbligazioni naturali, tra doveri morali e doveri sociali. Spunti critici sullo studio delle vicende dell’obbligazione naturale” (Milano, 2013) di Marcello Mazzuca, basterebbe riportare quanto l’autore scrive a chiare lettere a pagina 76: “la disciplina delle obbligazioni naturali contribuisce a rivalutare ulteriormente i profili morali e sociali compromessi dalle specifiche e multiformi relazioni tra gli individui, i quali spesso restituiscono l’effettivo e più intimo fondamento degli istituti giuridici e ripugnano, in tal guisa, da interpretazioni formalistiche volte a degradarne il rilievo entro confini marginali”.
Che un giovane studioso di diritto si soffermi sulle obbligazioni naturali è, forse, conseguenza dei giorni nostri: quando il movente economico, da studio di prassi e immissione di benefici, diviene esso stesso dogma e davanti ad esso il dogma dell’unitarietà formale si sfarina. Quando la rilettura intenzionalmente monotematica degli istituti giuridici presta il fianco alla giustapposizione di fattispecie che, in realtà, hanno in comune solo l’etichetta. Mentre la valorizzazione dell’elemento morale, nel sistema giuridico, non è il frutto di un paternalismo di ritorno, presuntivamente legittimato dalla crisi, ma la giusta (e non “falsa”) coscienza di cosa spinga al compimento di un atto tipico, a prescindere da quelle categorie che, immobili e immacolate, non si prestano nemmeno a divenire valido e pragmatico strumento della risoluzione giudiziaria (in questo senso, intrigante l’appendice giurisprudenziale del volume, dove si restituisce in pienezza un’oscillazione non di poco momento della giurisprudenza generale di legittimità, anche sulla ricostruzione di questo tema).
Mazzuca centra questo risultato scomodando un tema che, per il vero, si è prestato a distorsioni interpretative: oltre all’asserito formalismo, che viene punto a punto smontato con la cassetta degli attrezzi del privatista di “campo”, su di esso hanno forse pesato quelle letture dell’inter-relazione tra Codice e Costituzione che, all’ombra dell’articolo 2, avrebbero mirato a fare delle obbligazioni naturali non già il permanente svolgersi di rapporti socialmente apprezzati, ma il paradossale grimaldello della conciliazione tra la legislazione del 1942, organicista quanto si vuole, e il compromesso cattolico-sociale del Costituente. Operazione, in parte, attendibile, ma in tutt’altra parte inappagante, se sminuisce il riferimento alla materiale evidenza di un’insoddisfazione complessiva verso il rapporto di “debito-credito” nel contesto delle obbligazioni naturali (come dimostrano le “scorribande” dell’autore in territori che a detto argomento parrebbero sottratte, rivelandosi invece di stretta pertinenza: dal diritto successorio a quello fallimentare).
Tanto più piacerà il libro ai cultori del diritto, quanto maggiormente l’occhio scivolerà sulle annotazioni bibliografiche, dove col gradimento di un piglio morbidamente esegetico il lettore vedrà le pagine belle di un diritto che (forse) non c’è più: Renner, Betti, Pugliatti, Gianturco, tra tutti. Vorremmo leggerli su molti altri libri.
Domenico Bilotti