UN LIBRO DIFFICILE DA SCRIVERE, FACILE DA LEGGERE, MA DAL CONTENUTO SOCIALMENTE DURO DA…DIGERIRE NELL’ATTUALE ERA TECNOLOGICA ALL’AVANGUARDIA

(Da sx Walter Pilotto, Luciano Gesiot, l’autore del libro Walter Basso con accanto lo scrivente Arnaldo De Porti)

Sabato 28 giugno us., nella prestigiosa Sala degli Stemmi del Comune di Feltre, lo scrittore Walter Basso, ha presentato il suo libro :”I due volti della morte nera. Morire di carbone in Belgio”. Si tratta di un racconto, molto legato anche alla famiglia dello scrittore, volto a far ricordare le tristi pagine che, quando esse ci… sono in quanto molti paesi come Russia e Cina tacciono, non dovrebbero essere mai scritte nel 2000 inoltrato… ed invece di miniera si continua a morire ogni giorno.

Al di là della “preziosità” del contenuto del libro di Walter Basso, io continuo a scrivere che di questi tempi, purtroppo, si è ancora portati a pensare che il minatore sia una figura che fa parte di un patrimonio storico del passato, non solo, ma pare che sia di dominio quasi comune, specie per le nuove generazioni – fatte salve quelle eccezioni che sono oggetto di parentela o comunque riconducibili in qualche modo alle vecchie generazioni , – non parlarne o parlarne poco, se non in occasioni di qualche disgrazia in miniera

Andrebbe pertanto ricordato più spesso, anche a scuola, che detta figura, alias il minatore, che ha lavorato ed – ahimè – anche perso la vita in miniera per cause indirette ad essa correlate – che con i suoi inimmaginabili sacrifici, ha offerto un contributo essenziale per la rinascita del nostro Paese dopo l’ultima disgraziata guerra, come primario artefice del riavvio di un oggettivo benessere che oggi stiamo godendo tutti, anche gli stessi giovani, seppur frustati dall’attuale tragica congiuntura economica in cui langue da anni non solo il nostro Paese: il Minatore insomma è e resta un eroe al quale vanno ascritti molti meriti, al pari, se non molti di più, rispetto ad altri contesti sociali.

Le cerimonie che ogni tanto si organizzano non sempre adempiono al loro vero obiettivo ma, sovente, soprattutto quelle politiche, lambiscono la formalità rispetto all’essenza che esse dovrebbero invece portare alla luce. E’ facile raccontare ciò che succede in queste occasioni, il più delle volte sottolineate, come è giusto, da celebrazioni religiose, da manifestazioni militari, dalla musica delle bande, pranzi e quant’altro, ma è raro sentire la voce di coloro che, di queste cerimonie ne gradiscono sì il loro svolgersi per motivi legati al sentimento umano, ma anche ne sono stati autentici e veri protagonisti della storia “nei tempi che furono” e che ora possono ancorar offrire la loro vera, genuina ed eloquente esperienza di vita vissuta..

Per questo, con il pretesto della presentazione del libro di Walter Basso, ho contattato alcuni nostri minatori, degli anni…anta, i quali mi hanno raccontato di buon grado le loro storie, invero inimmaginabili per il contesto nelle quali hanno avuto luogo.

C’è stato chi, come Mandis Luigi, persona meravigliosa, padre di Simonetta Mandis, direttore del Coro degli Alpini, che mi ha tenuto compagnia in varie commemorazioni, il quale, tanto per stemperare un po’ di malinconia e tristezza dei tanti fatti dolorosi della miniera, ha avuto la forza di farmi sorridere un po’. Mi ha raccontato di un prete che tuttora fa apostolato cristiano, il quale, ha fatto visita ad una miniera in Belgio. Ebbene, appena entrato nel “buco nero”, ha avuto delle forti remore (tanto per adoperare un eufemismo) al punto da dire che, da quel buco nostro Signore Gesù Cristo non poteva sentire le…bestemmie e, quand’anche le avesse sentite, le avrebbe giustificate in quanto quel buco nero e profondo non era altro che l’inferno. ….

Un mondo, quello della miniera che, dalle numerose testimonianze da me raccolte, è più che eloquente oltre che raccapricciante per i rischi verso i quali tanti nostri fratelli, sempre per fame, sono stati costretti ad inserirsi abbandonando la casa, la famiglia e gli affetti più cari per guadagnare il pane. Di questi, molti non sono più tornati e, coloro che sono tornati, hanno portato con se ricordi dolorosi di trattamenti anche disumani, incivili, ma anche di malattie che hanno portato alla morte.

Personalmente, come detto dianzi, ho parlato con alcuni dei minatori che sono ritornati e mi ha fatto specie la seguente frase detta da uno di essi : “ Quando scendevamo in miniera, anche a 1000-1200 metri sottoterra, ci auguravamo ogni volta di …tornar a giorno ”,..

Ho scritto diverse cose sulla miniera e vorrei trascriverle tutte, così come si recita più volte, con le stesse intenzioni, una preghiera, ma mi limito a qualche stralcio, per ovvi motivi di spazio.

…confesso, scrivevo con molta umiltà, chiedendone il perdono non al confessore, ma a tutti i minatori di questo mondo, di essermi interessato poco, almeno fino al giorno in cui mi hanno affidato la direzione di un giornale: “Il Minatore”. Molto verosimilmente avrà inciso anche una sorta di fobia che mi assale quando entro in qualsiasi luogo chiuso, ma anche perché, quando si è inseriti in altri contesti rispetto a quello di cui sto parlando, si tende giocoforza a far mente locale sulla realtà specifica a cui si deve pensare per scelta professionale.

Di certo, ragionando ora a freddo, non avrei mai scelto di lavorare in miniera, non esimendomi peraltro dal pensare a chi oggettivamente ci lavora, compromettendo spesso anche la propria vita, con dolori immensi per i familiari che non vedono più tornare a casa il marito, il fratello, il figlio od una persona cara. Non per niente c’è stato chi ha detto che le miniere sono uno scandalo, se non addirittura un crimine verso la l’umanità…

Non sto a raccontare fatti accaduti che ormai sono di pubblico dominio: la morte di 262 minatori, di cui 136 italiani a Marcinelle avvenuta ormai oltre cinquantasette anni fa (1956) e che costituisce uno degli eventi tragici che, anche se con dinamiche diverse rispetto ai tantissimi morti causati dalla tristemente famosa Diga del Vajont, è una tragedia che va ascritta alla storia, come monito solenne e perenne ! Senza nessuna differenza fra l’una e l’altra ! Non mi riesce infatti nemmeno ora, mentre sto scrivendo, ad immaginare gli ultimi momenti di vita di questi minatori che erano lì per guadagnare onestamente il pane per le loro famiglie, sempre in ansia per la loro sorte.

Come già detto citando la Diga del Vajont, non ho voluto certo fare una discriminazione fra le dimensioni delle due tragedie, ma semplicemente ribadire agli uomini che così non si deve più morire, come da monito richiamato a titolo. O peggio, far morire…

Da bellunese, sia pur di importazione da Venezia, – allacciandomi al predetto accostamento, seppur diverso, fra Vajont e Marcinelle, – vorrei fare una considerazione, mutuando un pensiero scritto da Dino Buzzati dopo la tragedia del 1956 :

“… immaginate quei 139 minatori italiani tutti in fila e dietro di loro le 139 famiglie, padri, madri, mogli, figli, fratelli. Quanti saranno ? Di certo più che sufficienti per formare un paese intero, i cui abitanti, tutti con la nostra stessa faccia, sono piombati in un’angoscia perenne e senza nome…”

Un amico minatore, Zava Emilio, sempre presente alle cerimonie, mi ha scritto alcuni momenti della sua vita in miniera, che ricopio pari pari con le sue stesse parole:.

Io, il 15 di dicembre dell’anno 1951, scesi per la prima volta al livello, meno 650 mt. Nessuna impressione, perché mi son detto tra me e me, se tanti entrano in quella gabbia, beh! Ci entro anch’io.

E’ a quel momento che ti rendevi conto dove ti trovavi. In quelle gallerie basse e alte, illuminate da quella lampada a “forma di bottiglia” che ti portavi dietro, ti faceva vedere appena dove mettere i piedi, che poi andavi a sbattere con la testa, fortuna che avevi un casco di cuoio che ti proteggeva.

Nella miniera, dove io ho lavorato, l’ascensore scendeva fino al livello -750 metri e da lì si doveva camminare per alcuni minuti per raggiungere, ognuno il proprio cantiere. Vi erano delle gallerie discendenti per arrivare a dei livelli di -960 mt.,ad un massimo di meno 1060 metri dove vi si trovavano, le così chiamate vene di carbone.

Le vene di carbone trovandosi nei vari livelli di una miniera di carbone potevano essere di varie altezze, ne ho viste e praticate da 40 cm., fino anche a tre metri tra roccia e roccia, poi c’è l’inclinazione di una vena di carbone, dove il carbone abbattuto scendeva da solo, oppure dove si doveva aiutarlo, con alcuni metodi, perché potesse scendere e riempire i vagonetti (berline) che si trovavano nelle gallerie ed in seguito questi ultimi, trascinati da cavalli, o da locomotori, ecc., ecc., verso i pozzi di rimonta alla superficie.

Vorrei in conclusione citare una testimonianza atroce, ma molto eloquente, di un minatore, Angelo Verardo , da “Fumo nero” , Marcinelle (1956-2006).

……se oggi qualcuno venisse a chiedermi di andar a lavorare in miniera, preferirei ammazzarlo ed andare in galera…anche se si trattasse dei miei figli. E penso, a mente fredda, che se i miei figli lo avessero fatto li avrei ammazzati prima …

L’incontro con Walter Basso è stato molto gradito dalla Città di Feltre. La presentazione, da parte dello stesso autore, presente il Presidente della Mostra dell’Artigianato, Luciano Gesiot, lo storico libraio di Feltre, Walter Pilotto,(di cui a foto) e tante altre persone qualificate, è stata seguita con particolare interesse e soprattutto emozione. Anche da parte dello stesso autore che, in questa realtà ha perso padre e zio.

Arnaldo De Porti

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