di Tommaso Del Lungo
Il problema è evidente e chiaro da tempo: le strategie di sviluppo dell’e-Government intraprese fino ad oggi hanno prodotto numerose eccellenze, ma non si sono tradotte in un concreto beneficio per i cittadini. Non riuscendo a mettere a sistema le best practice si è andata a formare l’ormai famosa situazione a “macchia di leopardo”.
Più volte si è dichiarato che, se si vuole uscire da questa situazione, occorre una forte discontinuità rispetto al passato, ma cosa vuol dire? Come procedere? Che modelli utilizzare?
Se ne è discusso ieri a Roma, durante il convegno di presentazione del rapporto sull’ICT nelle Regioni e nelle Province Autonome, realizzato dalla società Netics, su richiesta del Ministero per gli Affari Regionali e il CISIS – il Centro Interregionale per il coordinamento dei Sistemi Informatici, geografici e statistici.
Il rapporto inizia focalizzando subito l’attenzione sulle amministrazioni regionali come uno dei motori principali per la definizione e la realizzazione di strategie per la diffusione della società dell’informazione e come il vero nodo attorno al quale si gioca il futuro della società dell’informazione nel nostro Paese.
Obiettivo principale della ricerca è, infatti, quello di fotografare la situazione del mercato dell’ICT proprio nelle Regioni e nelle Province Autonome e partire dal dato quantitativo della spesa in ICT, per valutare la qualità globale dell’investimento fatto e delle scelte effettuate in materia di governo dell’innovazione.
Un modo di procedere che porta a risultati piuttosto interessanti, soprattutto in merito ai modelli di governance utilizzati ed utilizzabili.
Partiamo dai dati quantitativi. Ben poche le sorprese da questo punto di vista. Se si prendono in considerazione gli investimenti (spesa) in ICT, il rapporto mostra un’Italia a doppia velocità: con il nord che copre oltre il 62% del totale (le quattro regioni del nord ovest da sole arrivano al 40%) e che ha livelli di spesa per dipendente, fino a sei volte superiori rispetto al sud.
Nulla di stupefacente, dicevamo, ma è proprio a partire da questi dati che può prendere avvio una riflessione importante per imprimere al Paese quella forte discontinuità di cui ha bisogno.
Gli investimenti in ICT, infatti, non sono assolutamente marginali, e nel complesso si parla di oltre 1.124 milioni di euro solo nel 2007 (in crescita rispetto all'anno precedente), tuttavia, anche laddove i livelli di performance sono più elevati, la percezione del cittadino rispetto alla pubblica amministrazione non è migliorata. Le eccellenze sono affossate in un magma di inefficienza generalizzato nel quale ciò che risalta (secondo le indagini effettuate da Unioncamere) è una pa vista ancora come ostacolo allo sviluppo dell’impresa, piuttosto che come elemento propulsivo o facilitatore.
Dove è lo sbaglio? Lo sbaglio è stato nello sperpero, nella cattiva gestione dell’innovazione, nella cattiva governance e nella moltiplicazione di modelli di governance.
In questi anni, ad esempio, le venti amministrazioni che hanno autonomia regionale hanno messo in piedi venti modelli di governance dell’innovazione diversi, non tutti ugualmente efficienti e non tutti ugualmente efficaci.
Se si vuole uscire da questa situazione di insoddisfazione da entrambe le parti, sia da quella dell’amministrazione che da quella del cittadino e dell’impresa, occorre semplificare la macchina del governo dell’innovazione che attualmente è troppo settorializzata e poco concertata. Ci sono troppe organizzazioni, livelli di governo e settori amministrativi che lavorano sulle stesse cose, magari anche con ottimi risultati, ma spendendo molto più di quanto necessario semplicemente perché si sovrappongono. Per citare un caso fra i tanti basti pensare al settore cartografico: quante banche dati non comunicanti esistono in Italia e quanti soldi sono stati investiti da ogni ente per creare da zero il proprio sistema? Troppi!
Dalle Regioni, ed in particolare dal CISIS e da Assinter – l’associazione che raggruppa le 13 società di gestione in-house dell’ICT delle Regioni e delle Province Autonome – arriva, dunque, una proposta di lavoro per una matura multilevel governance dell’innovazione.
“La cooperazione tra le regioni – ha sottolineato Giulio De Petra presente al convegno in rappresentanza dell’Assinter – è il modo più semplice, economico e veloce per operare una forte discontinuità con il passato e raggiungere risultati ottimali. Ci si siede ad un tavolo, si dividono i compiti per verticalizzazioni, si stabiliscono obiettivi e responsabilità e, in base a quelli, si chiedono trasferimenti allo Stato attraverso gli Accordi di programma quadro. Un modello fondato, non solo sulla concertazione, ma sulla cooperazione vera e propria tra regioni, è una ottima alternativa ad una politica centralistica che, inevitabilmente, si infrange contro la moltitudine degli enti che chiedono soldi, frazionandosi in minuscoli interventi poco risolutivi”. “Infine – ha chiuso – è anche un metodo sostenibile nel senso che permette a chi ha meno risorse di non restare indietro, ma di farsi trainare dall’esperienza e dalle competenze di chi è più avanti.
Il momento è piuttosto favorevole ad una svolta di questo tipo, dato che, come mostra l’analisi del rapporto Netics, attualmente gli obiettivi di medio termine delle Regioni e delle Province Autonome convergono verso quattro direzioni strategiche: riefficientamento della sanità; anagrafe tributaria informatica per la fiscalità locale, sicurezza dei cittadini e semplificazione amministrativa.
Le strategie da adottare potrebbero riguardare, poi, anche il versante della cooperazione verticale, sia verso l’alto, tra Stato e Regioni, rinunciando alla logica dei bandi centralizzati per puntare sempre di più verso gli accordi di programma quadro, sia verso il basso, adottando modelli organizzati di governance tra livello regionale ed enti locali. In questo caso il paradigma da prendere ad esempio potrebbe essere quello realizzato dall’Emilia Romagna con la community network, che si è configurato, non solo come modello infrastrutturale, ma, soprattutto, come esempio concreto di semplificazione del governo dell’innovazione, in cui si individuano e si mettono per iscritto, in una sorta di contratto, obiettivi, competenze e risorse.
“I successi a cui sono arrivate alcune realtà regionali non vengono per caso – ha sottolineato Gaudenzio Garavini, Vice presidente del CISIS – ma sono dettati da precise priorità individuate dai rispettivi governi regionali. Per cui, se si vuole allineare il sistema paese a questo livello di eccellenza, occorre estendere queste modalità decisionali ed organizzative a dimensioni di un progetto paese”.